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Channel: Rossella Neiadin, Autore presso Dissapore
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Raindrop Cake? Fatta! La ricetta perfetta

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La gente fa cose stupide, io faccio cose stupide, continuamente.

Pagare il biglietto del cinema per vedere Titanic venti volte di seguito, comprare Playboy per leggere gli articoli, fare la fila e sborsare otto fruscianti dollari per mangiare una palla di gelatina condita che sembra una protesi mammaria.

Succede a New York, dove sennò.

E sto parlando di una torta (!?) che conoscete bene: l’ormai famosa Raindrop Cake.

raindrop cake

8 dollari, 7,05 euro.

Su Amazon.com ci comprate un pulsante per le stronzate (“That was bullshit!”), un oggettino appropriato per la ricetta perfetta di oggi.

raindrop-cake-ricetta 3

Hai rifatto la “torta” di cui parlano tutti? E il Cronut? Vuoi dire che esiste un dolce più inutile del macaron?

Queste e altre risposte all’interno del post.

raindrop-cake-completa

Prequel

Come sospettavo, la ricetta della Mizu shingen mochi è vecchia come il cucco, c’è gente messa peggio degli hipster di Brooklyn che la fa con i glitter e la chiama “Unicorn Tear” (lacrima di unicorno).

raindrop-cake-

Trattasi di un trademark della Kinseiken Seka Company, situata nella città di Hokuto, prefettura giapponese di Yamanashi.

E la notizia non è che Darren Wong, spacciatore di protesi col baracchino allo Smorgasburg, abbia fatto la scoperta dell’acqua rassodata, la notizia è che Hokuto esiste davvero.

Tentativo n°1

raindrop-cake-ingredienti

Dosi:
500 ml di acqua
15 g di agar agar
12 g di zucchero semolato

Fonte: Hey! It’s Mosogourmet!! (!!!!!!!!)

Acqua ce l’abbiamo, agar agar (gelificante di origine vegetale) comprato, ho trovato pure kuromitsu (melassa giapponese) e kinako (farina di soia tostata).

In cima alla playlist di Youtube, il video tutorial di Mosogourmet datato 29 Agosto 2014.

La faccenda pare semplice: basta fare un mix di zucchero semolato e agar agar, versare poca acqua alla volta e sciogliere il tutto nervosamente, facendo molto rumore.

Un salto sul fornello, lasciar sobbollire per qualche minuto, colare negli stampi e far rassodare in frigorifero per qualche ora.

stampi-raindrop-cake

Aspettative: una palla tremula e trasparente, uguale e spiccicata a quella di Darren Wong.

Realtà: due semisfere di poliuretano espanso, opache e deturpate da una gragnuolata di microscopici crateri.

mosogourmet-raindrop-cake

È evidente, Mosogourmet ha fumato ghiandole di pesce palla.

Mai preparata una porcheria simile prima d’ora, è il primo cibo della mia vita che rassomiglia ad un materiale edile.

mosogourmet-raindropcake

Decido di riprovare, la curiosità è donna, e ti fa fare un sacco di cazzate.

Tentativo n°2

agar-agar-raindrop-cake

240 ml di acqua minerale
2 g e ½ di agar agar
1 pizzico di zucchero

Fonte: Medium

Occhei Rossella, prendi e porta a casa, tu sai fare la Torta delle 4 città, ricordi?

Decido di lesinare col gelificante, le bocce prostatiche di prima mi hanno traumatizzata.

tentativi-raindrop-cake

Stessa procedura, rapporto agar/acqua differente, medesimo risultato.

Due sferette gommose, più morbide di quelle appena gettate nel bidone dell’umido, ma egualmente ripugnanti.

2-tentativi-raindrop-cake

raindrop-cake-fail

Tentativo n°3

preparazione-raindrop-cake

160 ml di acqua
0,2 g di agar agar
un pizzico di zucchero semolato

Fonte: Krist Yu

Da un eccesso all’altro, dal quartetto d’archi al reggaeton.

Prima di sfoderare il bilancino da precisione, decido di comprare in farmacia un altro barattolo di agar agar, il terzo della serie.

agar-agar

agar-agar-caratteristiche

Agargelosio, gelosina, ittiocolla vegetale, gelatina cinese o giapponese, per gli amici E 406.

Osservando i filmati dei colleghi giappo, tipo questo, ho notato che la polvere utilizzata in ricetta è visibilmente più chiara, di un bianco puro.

raindrop cake-4

Ho pensato che l’agar utilizzato in laboratorio fosse quello giusto.

Sbagliato.

Eseguo la procedura a memoria, miscela a freddo e poi fornello, la soluzione è comunque opaca e lattiginosa.

Risultato: gelatina troppo molle. Capovolgo lo stampo in silicone e le semisfere si trasformano in un blob informe.

gelatina-agar-agar

Infierisco sul piattino come farebbe Godzilla sui grattacieli di Tokyo.

Come si dice “fottiti” in giapponese?

Tentativo n°4

raindrop cake macro

450 ml di acqua
1 g di agar agar
1 g di zucchero semolato

Fonte: emmymadeinjapan

Giuro che questo è l’ultimo, lo giuro sulla Saint Honoré.

La videoricetta inizia con i fallimenti di Emmy, anche lei vittima dell’internet truffaldino e di quell’infame di Mosogourmet.

Scatta la solidarietà, la ragazza sembra a posto: mi faccio coraggio e riprendo bilancia e provette.

raindrop-cake-2

Risultato: Ta-daaaaaan! È lei, la tetta gelatinosa più famosa del web, Brazzers a parte.

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Siamo ancora lontani dalla trasparenza della goccia originale, per ottenerla avete bisogno di una tipologia di agar differente, ma la consistenza sembra perfetta (allego gif animata per gli scettici).

L’assaggio

Va bene esaltarsi con poco, “Guarda come rimbalza!”, ma tra un gridolino di gioia e l’altro andrebbe pure assaggiata.

raindrop-cake-10

Per completare il dolce (non ridete) adagio un cucchiaio di farina di soia e tostata e un cucchiaio di sciroppo nero ai lati della goccia.

raindrop-cake-kinako raindrop-cake-sciroppo

raindrop-cake-ricetta-2

Esame olfattivo: puzza di biscotti per cani

Consistenza: bizzarra, come acqua imprigionata in una membrana croccante. Uno spasso tenerla tra le mani, proprio come una tetta vera.

Sapore: POCO. Rinfrescante, questo sì, la farina di soia ha un retrogusto di arachide tostato, lo sciroppo è l’unico ingrediente che salverei dei tre.

agar-agar-gelatina

E’ un po’ come masticare una gelée di frutta, solo più umida.

Forse sostituendo l’acqua con un altro liquido (tè, caffè, succo di frutta) potremmo dare un senso alla prima supercazzola della pasticceria.

raindrop cake-8

Esperimento terminato, la mia Raindrop cake comincia a sciogliersi lentamente, e quasi mi sembra di sentire una voce provenire dallo schermo: ma una bella torta della nonna, no?

[Crediti| Link: Youtube, Raindrop Cake, Amazon | Immagini: Rossella Neiadin]


Bombamisù, tiramisù da passeggio: la ricetta perfetta

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Si può dire Bombamisù in pubblico? O è una di quelle cose da bisbigliare piano, tappando le orecchie ai bambini?

Tranquilli, il BDSM non c’entra nulla, anche se  il tiramisù da passeggio dello chef Niko Romito, Ristorante Reale a Castel di Sangro, meriterebbe una categoria apposita su Youporn.

Una bomba di piacere cotta al forno, che a friggerla pareva brutto, intinta nel caffè e ripiena di crema di mascarpone, panna, e tonnellate di cacao a pioggia.

La polvere da sparo avrebbe fatto meno vittime.

bombamisu-2

Sì, Niko li ha stesi tutti con questa ricetta, la trovate nel volume “Tiramisù. Storia, curiosità, interpretazioni del dolce italiano più amato”, scritto dai critici gastronomici Clara e Gigi Padovani, insieme alle rivisitazioni di Albert Adrià, Lidia Bastianich, Enrico Cerea, Mauro Colagreco, Enrico Crippa, Gualtiero Marchesi, Davide Oldani, Giancarlo Perbellini.

Se le torte glassate a specchio sono la noia assoluta (le fa pure il pasticciere sotto casa mia), col dolcetto rotondo è stato amore fin da subito.

Succede sempre così quando mi approccio a ricette nuove, ricette che nessuno ha avuto il tempo di replicare, scruto la lista ingredienti con inquietudine e mi sento come Neo che decifra Matrix.

bomba-forno

Numerini verdi luminescenti e poi, boom, ecco dove l’ho già vista.

Unforkatable (la video-enciclopedia delle ricette di Romito).

Io quell’impasto l’ho provato e apprezzato (vi piazzo le dosi qui) , tanto vale sperimentare la versione bombarola.

bombamisu-4

Ennò, aspetta, qui non c’è la grammatura delle uova.

Ma come, Niko? Mi pesi anche il sale e ti dimentichi delle uova?

Dopo tutte quelle notti passate a letto, io sull’Ipad e tu con le mani a ravanare cibo sulla musica chill-out, dopo tutti quei “Proviamoci inzième” mi ripaghi così?

Un uovo intero può pesare dai 63 grammi ai 73, fare un macello in cucina è un attimo, in più quella dose d’acqua mi pare troppa.

Metto da parte la presunzione e recupero gli ingredienti, tu sei uno chef da tre stelle Michelin, e io non riesco a vincere premi manco con la scheda a punti del supermercato.

ingredienti-bombamisu

Per l’impasto delle bombe

Farina W250 g 400
Burro g 60
Zucchero g 60
Uova 2
Acqua ml 160
Lievito di birra g 10
Sale g 6

mascarpone

Per la crema tiramisù

Mascarpone g 360
Panna fresca g 300
Tuorli 5
Zucchero g 150
Acqua g 50

Per la bagna

Caffè lungo 5 tazzine
Per la finitura
Cacao amaro in polvere

Inizio sciogliendo il lievito nella dose d’acqua, faccio un vortice con la forchetta e metto da parte il liquido torbidino .

Disobbedisco e no, non impasto a mano. Protendo le braccia verso l’adorata planetaria e monto il gancio. Clack.
Verso nella ciotola la farina setacciata, lo zucchero, il burro a pezzetti e il miscuglio di acqua e lievito.

Avvio la macchina a velocità molto bassa, attendo che la farina assorba i liquidi e aggiungo le uova a filo (pesano 115g), poco per volta.

Lascio incordare per 15 minuti circa, e una volta ottenuto un impasto liscio ed elastico, termino la procedura inserendo il sale. Lascio assorbire per qualche secondo e spengo l’arnese.

A questo punto la ricetta enuncia: “formate una palla”.

impasto-bomba

Formacela tu, una palla, col Saratoga.

Copro la pasta con un panno e lascio lievitare fino al raddoppio del suo volume, di solito questo passaggio aggiusta tutto.

Nel frattempo mi dedico alla preparazione della base tiramisù, pâte à bombe per le genti francesi, quella manovra che dovrebbe eliminare il rischio di salmonellosi.

Quante paranoie, mi direte voi.

E il leggendario beverone di Rocky, fatto di sole uova crude? Stallone ne ha ingollate 5 di fila, intere, e alle 4 del mattino.
Quante volte avranno girato quella scena? Perché non è ancora morto? Non è invecchiato benissimo, diciamolo, ma forse lì le uova non c’entrano.

base-tiramisu

Arraffo un pentolino dal fondo spesso, verso la dose d’acqua indicata in ricetta e lo zucchero, giro con un cucchiaio.

Sposto sul fornello e attendo che lo sciroppo raggiunga i canonici 121°, a parte faccio schiumare leggermente i tuorli lavorandoli con la frusta elettrica.

Faccio un check con il termometro, lo sciroppo è pronto, metto in moto la macchina e verso il magma incandescente a filo nei tuorli, sul bordo della ciotola.

Sul bordo, ripeto tra me e me, non sulle fruste, sennò al pronto soccorso ci finisco lo stesso, e non per il mal di pancia.

Lascio montare fino a completo raffreddamento, copro con la pellicola e sbatto nel frigorifero.

Riprendo il fagotto appiccicoso, capovolgo sul tagliere leggermente infarinato e divido in pezzi da 65 grammi.

Formo delle palline rollando con il palmo della mano, la pasta mi si attacca alle falangi come un alien.

Vengono fuori dalla fottute pareti”, mi verrebbe da dire, cerco di tenere a bada la pasta infarinando leggermente le dita.

bomba al forno

Dispongo le palline su una teglia rivestita di carta forno, distanziandole di 4cm circa, metto tutto sotto coperta e lascio lievitare fino all’aumento dei 2/3 del volume.

pasta-bombe

Preriscaldo il forno a 170°, modalità statica, cuocio le bombe per 30 minuti e me ne pento.

Forse 25 minuti (nel mio forno eh) erano più che sufficienti, la crosta si è seccata un po’.

bomba-al-forno-interno

Lascio raffreddare.

Mescolo la base tiramisù con il mascarpone, e una volta ottenuta una crema liscia ed omogenea, unisco la panna fresca montata a lucido (semi-montata in pratica), lavorando il composto dal basso verso l’alto.

crema-tiramisu panna-lucida

Taglio le bombe a metà, inzuppo l’interno con caffè amaro e freddo, farcisco con due cucchiate di crema tiramisù.

Prima della spolverata di cacao finale, rimango come incantata da quella crema che cola dai lati.

Sempre di più, e più velocemente.

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Brandisco la brioche prima che si smonti, do un morso assestato e il ripieno finisce pure sul soffitto.

Ho una macchia di crema sulla maglietta, credo di aver inalato del cacao e sono molto, molto felice.

bombamisu-romito

Perplessità

Partiamo dall’impasto: troppo molle, lavorarlo è veramente difficile.

Vi consiglio di ridurre il quantitativo di acqua e uova, e di seguire la ricetta della pasta krapfen di Romito pubblicata qui, su Unforketable (sostituite il latte con l’acqua).

Anche la crema pecca in consistenza, forse più adatta ad un tiramisù a bicchiere.

bombamisu-6

Meraviglioso mangiare il cibo con le mani, i dolci poi, ma con questa crema che cola a fiotti sulle dita diventa un’operazione complicata, pure per i golosi scostumati come me.

Mi faccio piccola piccola e vi suggerisco di aggiungere alla base tiramisù 8-10g di gelatina in fogli. Riscaldatene metà, sciogliete all’interno la gelatina ammollata in acqua e strizzata, mescolatela con il resto.

Fate raffreddare pazientemente e procedete come da ricetta.

crematiramisu

Conclusioni

Incidenti a parte, il bombamisù è quel dolce godurioso che mi aspettavo.

La “brioche” è leggera e poco zuccherata, perfetta per un ripieno così ricco e dolce, e l’amaro del caffè e del cacao a fare da contrappeso.
In una parola sola: equilibrio. Tutt’altro che scontato in pasticceria, solo quelli bravi ci riescono.

Allora, chi ci prova? Sono io l’incapace, probabile assai, o è la ricetta ad essere sbagliata?

Mentre riflettete sul da farsi, io continuo a farmi di Bombamisù.

Crema pasticciera di Ernst Knam: io contro il Bimby

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Ovunque è Thermomix, peggiore traduzione di sempre dopo “Se mi lasci ti cancello”, film cult con Kate Winslet e Jim Carrey.

Sarà per il nome miserabile, ma il Bimby l’ho sempre snobbato.

Oppure è colpa del purè di mia zia, “Senti che buono questo mastice”, del fatto di dover cucinare alla cieca, con quelle lame sempre in mezzo, e poi a che prezzo, mortacci.

Non mi fraintendete eh, sono contro il luddismo di certi cuochi e posseggo nell’ordine: una planetaria rosso fiammante, un essicatore imponente, una gelatiera a compressore, un cutter da film horror, un minipimer d’acciaio, ho pure l’estrattore di succhi. Il sogno resta l’abbattitore.

bimby-tm31

Ma di Bimby manco a parlarne, non me lo sono mai filato.

Fino a ieri almeno.

bimby-coperchio

Il successo misterioso e inarrestabile di questo elettrodomestico mi ha dato da pensare, di fanboy ne è pieno il mondo. Anche gli chef stellati ne hanno uno in cucina, e mica so’ scemi quelli, con tutto il rispetto per mia zia.

Decido di provarlo.

Ma seriamente però, con ingredienti e cronometro alla mano, che a leggere una scheda tecnica basta la scuola dell’obbligo, le chiacchiere si fanno al bar e io bevo troppo caffè.

Uomini contro macchine

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ll Bimby va forte con le salse, dalla maionese tanto decantata alla besciamella per le lasagne. In uno slancio di inaspettata bontà d’animo, sedata la belva ipercritica  che alberga dentro me, decido di testare il giocattolo preso in prestito con una preparazione semplice: la crema pasticciera.

Ma prima di brandire l’arnese e procedere col test dimostrativo, breve parentesi accademica su questo classico della pasticceria. Aria sulla quarta corda – premere play.

Come deve essere

crema-ernst-knam-vulcanica
Aspetto: superficie liscia, lucida, colore giallo uovo
Consistenza: struttura uniforme, cremosa e priva di grumi, non deve cedere liquidi
Gusto: sapore leggero di vaniglia, aroma chiaramente distinguibile, non oppone resistenza al palato e non è farinosa

Problemi comuni

Crema bruciata sul fondo del tegame:
accade quando manca il pastorizzatore (chi non ha un pastorizzatore) e si cuoce la crema a fuco diretto.

Cause: fiamma troppo violenta, azione manuale (con la frusta) insufficiente o tegame poco adatto (deve essere di acciaio inox con triplo fondo)

Formazione di grumi:
avviene quando, durante l’aggiunta degli amidi, non si batte a dovere il composto, oppure quando la crema cotta viene lasciata scoperta e ferma durante il raffreddamento. In quel caso si forma in superficie una patina spessa, impossibile da riamalgamare.

Perdita di consistenza e formazione di liquido:
succede quando la crema non è stata cotta abbastanza e gli amidi non ha avuto il tempo di agglutinarsi (di legare insomma). Contrariamente, una cottura troppo lunga ne riduce la capacità legante.

Sensazione di farinosità sul palato:
è il segnale che la cottura della crema è insufficiente, e si verifica quando si usa esclusivamente farina.

Okay, il ripassino l’abbiamo fatto, quando arriva il momento in cui l’autrice fa a mazzate col Bimby?

La ricetta di Ernst Knam

crema-vulcanica-ernst-kanm
“Crema vulcanica”, il pasticciere teutonico la definisce così. Procedura identica a quella di scuola Montersiniana, descritta in questo recente post, che consiste nel versare la mescola di tuorli, zucchero e amidi sul latte in ebollizione. Funziona alla grande, ci si impiega un attimo ed il risultato finale è notevole.

Dunque, ho adattato la ricetta di Knam all’arnese compatriota, senza modificare ingredienti e dosi, ma attenendomi con rigore alle istruzioni di casa Vorwerk. Scarto a priori l’ipotesi contraria, mi ribello alla dittatura del ricettario rilegato in verde e seguo passo passo la sequenza di bottoni e temperature.

Io e il Bimby ce la giochiamo ad armi pari.

Ingredienti

ingredienti-crema-pasticcera

500 ml di latte intero
½ bacca di vaniglia Bourbon
120 g di tuorli (circa 6)
85 g di zucchero
30 g di amido di mais
10 g di farina di riso extrafine*

*solitamente la sostituisco con l’amido di riso

Fatto col Bimby

Modello TM31, costato quasi 1000 cucuzze, 4 anni di servizio, corpo d’acciaio Made in Germany. Oggi sostituito dal TM5, 1189 euro di upgrade touchscreen, un boccale più capiente e qualche peggioramento.

Plus: funziona anche da bilancia digitale.

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Procedo con ordine: polpa della vaniglia nel boccale, premo sulla bilancina stilizzata, verso lo zucchero semolato, sigillo col coperchio e regolo il timer: 10 secondi a Velocità Turbo.

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Dopo qualche istante lo zucchero viene sparato contro il tappo, il rumore è infernale, il boccale comincia a fumare come una capanna Sioux.

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E’ il segnale di fumo del Bimby, mi fa capire che lo zucchero è talmente fine da infiltrarsi tra misurino e foro, alla ricerca  della libertà.

Farà male inalare ‘sta roba?

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Certo che per 1000 euro una valvolina o una guarnizione potevate mettercela, cari tirchioni della Forwerk.

Sniffato lo zucchero a velo, è il momento della svolta. Aggiungo i tuorli d’uovo, l’amido di mais, la farina di riso ed il latte. Smanetto con la manopolina del timer: 7 minuti, velocità 4, 90°.

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Basta, finito, non devo fare altro.

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Avvio l’aggeggio e osservo le lucine del termostato illuminarsi come in un’astronave, sento uno strano swoosh che con il trascorrere dei minuti si trasforma in un sinistro cick ciack.

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Ad un tratto il silenzio.

Oddio, cosa sarà successo lì dentro, fatemi passare.

Il segnale acustico, brutto come il clacson della Fiat Panda, mi avverte che la crema è pronta.

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Sollevo il coperchio, gocciola del latte evaporato e successivamente condensato, la zaffata di uova è potente ma passeggera.

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Verso in una ciotola pulita e copro con pellicola a contatto.

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Risultato finale: crema liscia e spessa, perfettamente addensata e lucida. La cottura graduale ha gelificato gli amidi alla perfezione.

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Tempo impiegato: 7′ 10” netti
Stato d’animo: inquietudine mutata in sincero stupore
Fattore disordine: ho 4 pezzi da lavare, boccale, lame, coperchio e misurino.

Nonostante il nome da scemo, questo Bimby ha davvero carattere.

Fatto a mano

crema-pasticcera-ernst-knam
Rossella, caucasica, fresca trentenne, abbastanza abile nel confezionamento di dolci, vale tanto oro quanto pesa (molto).

Che sono capace a far la crema pasticciera l’avete visto più volte, qui trovate il video dimostrativo di una tecnica altrettanto rapida ed efficace. Il super-coso rotante non mi fa paura.

uova-intere

Prima di passara alla crema, trucchetto vecchio come il cucco per separare in un lampo i tuorli dagli albumi: rompete tutte le uova in una terrina e pescate con le dita i tuorli, delicatamente.

separare tuorli

Verso il latte in un pentolino d’acciaio con fondo spesso, immergo il baccello di vaniglia privato della polpa e lascio scaldare sul fuoco.

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Nel frattempo mescolo i tuorli con i semi della bacca e lo zucchero, il composto non va montato, impiego pochi secondi per farlo disciogliere completamente.

tuorli-zucchero
Aggiungo l’amido di mais e la farina setacciati, amalgamo con la frusta.

tuorli-zucchero-amidi

Tempo impiegato per terminare questa fase: 1 minuto. Alla faccia di quello là.

Quando il latte è caldo, sollevo il baccello di vaniglia e verso la mescola di tuorli, senza girare.
Il composto si espande e forma una specie di tappo, la faccenda accelera il processo di ebollizione del latte sottostante.

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Cominciano a spiccare le prime bolle, la massa comincia a salire pian piano, a separarsi, è il momento di spegnere il fuoco e girare energicamente con una frusta per almeno 30/40 secondi.

Easy, la crema è pronta.

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Verso il tutto in un nuovo contenitore pulito, continuo a mescolare per portare la temperatura sotto i 50°. Meglio sarebbe far raffreddare il composto in un bagnomaria di acqua e ghiaccio, rende la crema lucida ed evita la formazione dell’insopportabile pellicina.

crema-knam

Risultato finale: crema priva di grumi, vellutata e densa
Tempo impiegato: 6′ 33”

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Stato d’animo: sollevata e soddisfatta, il timore di attaccare tutto sul fondo è sempre dietro l’angolo
Fattore disordine: Ho sporcato 2 fruste, 1 pentolino, 2 ciotole, 2 contenitori per le pesate.

Comparazione

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La crema Bimby (A)

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Colore: giallo carico, da attribuire ai tuorli. Nonostante abbia utilizzato uova dello stesso brand, la variazione cromatica tra i due preparati è netta (dato ininfluente)
Odore: speziato di vaniglia, debole quello delle uova
Consistenza: quasi gelatinosa, molto soda
Sapore: equilibrato, zuccheri contenuti e buon sapore di vaniglia

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La crema fatta a mano (B)

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Colore: giallo tenue, ma non ci importa granché.
Odore: l’uovo è una punta più arrogante, ma il sentore predominante è quello magico della vaniglia
Consistenza: liscia e cremosa, perfettamente amalgamata, più fluida della sorella meccanica.
Sapore: praticamente identico, si distingue appena.

Conclusioni

Non si è trattata di una gara a tempo, col minutaggio siamo lì, ma con il Bimby le probabilità di combinare un disastro sono pari allo zero.
Affidabilità che solo le macchine ed il tuo cane possono darti.

Ecco, la riuscita praticamente assicurata fa davvero la differenza, di lavare un paio di cianfrusaglie in più non m’importa, né mi pesa dare due giri di frusta in un tegamino.

Insomma, il tritaghiaccio costoso ha avuto la meglio, 1 a 0 per lui. Ma questo successo, seppur inaspettato, non basta a giustificarne il prezzo proibitivo.

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Piaciuto il crash test? A me sì, soprattutto per la doppia razione di crema (è per lavoro!) che mi accingo a divorare.

Affondo il cucchiaino nella prima tazzina, un biscottino d’accompagnamento non sarebbe male, e confabulo su un ipotetico match tra elettrodomestici.

Chissà come se la cava l’aggeggio con i lievitati…

Massimo Bottura: il migliore del mondo per la 50 Best Restaurants

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L‘Osteria Francescana di Modena è il ristorante migliore del mondo. Ieri sera a New York un’edizione della 50 Best Restaurants che ricorderemo per anni ha assegnato a Massimo Bottura il riconoscimento inseguito a lungo e finora solo sfiorato.

Una scalata finalmente completata che ha permesso al ristorante italiano di passare dal secondo posto del 2015 al primato di quest’anno tra i 50 ristoranti migliori del mondo.

Il risultato, unito alle tre stelle assegnate a Massimo Bottura dalla Guida Michelin nel 2011 e al primato in buona parte delle guide internazionali, segna il punto più alto di una corsa che sembra inarrestabile.

Sul secondo gradino del podio i fratelli de El Celler de Can Roca, trionfatori della precedente edizione, seguiti dall’Eleven Madison Park di Will Guidara e Daniel Humm, a New York.

La scheda ufficiale pubblicata sul sito della 50 Best Restaurants

Il Miglior Restaurante del mondo? Sì, una giuria di circa 1.000 esperti internazionali ha deciso così. Dopo due anni in seconda posizione, il ristorante di Massimo Bottura compie il balzo che da una piccola strada del centro di Modena lo porta ad aggiudicarsi la corona mondiale, riflettendo la crescente creatività dello chef, la sua immensa abilità, la passione non offuscata e la determinazione feroce nello sfidare la sorte.

Quali erano i suoi ostacoli? La tradizione italiana.

Il 53enne cuoco-proprietario, che ha celebrato il 20 ° anniversario dell’Osteria Francescana nel 2015, ha giocato a lungo con gli standard culinari italiani – reinventandoli, sovvertendoli e migliorandoli . Ma in un paese in cui la cultura del cibo è profondamente conservatrice  è un percorso audace e talvolta controverso da prendere. Bottura non solo ha raccolto consensi a livello mondiale, ma anche conquistato la critica gastronomica della propria nazione.

Cosa ci si può aspettare: insolito per un ristorante di questo livello, l’Osteria Francescana offre anche un menu alla carta accanto a due diversi menu degustazione. Tra questi, Sensazione è quello stagionale e progressivo, il capolavoro che cambia sempre; Tradizione in evoluzione somiglia a un greatest hits che celebra l’Emilia Romagna e Modena, i luoghi in cui lo chef è nato.

Alcuni piatti forti: Il famoso Cinque stagionature di Parmigiano Reggiano sviscera il formaggio attraverso la temperatura, la consistenza e, ovviamente, il gusto. Al contrario, Autumn in New York riflette il carattere internazionale dello chef oltre che le sue influenze (sua moglie Lara è americana).

Le verdure autunnali sotto forma di conserve e sottaceti sono unite a un brodo minerale insieme a funghi secchi e concrentrato di zucca, con risultati spettacolari.

La sala: Le creazioni di Bottura sono fortemente influenzate dall’arte e dalla musica (in particolare, la musica jazz), e le tre sale che formano il ristorante sono decorate con pezzi di arte contemporanea di grande valore. Questo offre un contesto lussuoso, ma comunque studiato per gli avventori contemporanei.

Cos’altro?: l’effervescente Bottura ha fondato il progetto no-profit Food for Soul all’inizio del 2016, il suo modo di combattere la fame nel mondo e lo spreco alimentare.

Al momento della premiazione, lo chef si congeda con una omelìa familiare per chi conosce i suoi celebri speech.

Il lavoro è dura fatica, ogni giorno in cucina. L’ingrediente più importante per il futuro è la cultura. La cultura porta conoscenza e la conoscenza porta coscienza. La coscienza porta senso di responsabilità.

Tra un paio di mesi vi aspetto tutti a lavorare a Rio de Janeiro nelle favelas.

Senza l’osteria, Davide, Beppe, e tutto il team, non ce l’avremmo potuta fare.”

50-Best-Restaurants-2016-Massimo-Bottura

La lista completa dei vincitori:

1. Osteria Francescana, Modena (Italia) – WORLD’S BEST RESTAURANT AND BEST RESTAURANT IN EUROPE (+1)

2. El Celler de Can Roca, Girona (Spagna) (-1)

3. Eleven Madison Park, New York (USA) – BEST RESTAURANT IN NORTH AMERICA

4. Central, Lima (Peru) – BEST RESTAURANT IN SOUTH AMERICA (+2)

5. Noma, Copenhagen (Danimarca) (-2)

6. Mirazur, Menton (Francia) (+5)

7. Mugaritz, San Sebastian (Spagna) (-1)

8. Narisawa, Tokyo (Giappone) – BEST RESTAURANT IN ASIA

9. Steirereck, Vienna (Austria) (+6)

10. Asador Etxebarri, Atxondo (Spagna) (+3)

11. D.O.M. , Sao Paulo (Brasile) (-2)

12. Quintonil, Città del Messico (Messico) (+23)

13. Maido, Lima (Peru) – HIGHEST CLIMBER AWARD (+33)

14. The Ledbury, London (UK) (+6)

15. Alinea, Chicago (USA) (+11)

16. Azurmendi, Larrabetzu (Spagna) (+3)

17. Piazza Duomo, Alba (Italia) (+10)

18. White Rabbit, Mosca (Russia) (+5)

19. Arpège, Paris (Francia) (-7)

20. Amber, Hong Kong (Hong Kong) (+18)

21. Arzak, San Sebastian (Spagna) (+4)

22. The Test Kitchen, Cape Town (Sud Africa) – BEST RESTAURANT IN AFRICA (+6)

23. Gaggan, Bangkok (Thailandia) (-13)

24. Le Bernardin, New York (USA) (-6)

25. Pujol, Città del Messico (Messico) (-9)

26. The Clove Club, London (Regno Unito) – NEW ENTRY più votata

27. Saison, San Francisco (USA) (+29)

28. Geranium, Copenhagen (Danimarca) (+23)

29. Tickets, Barcellona (Spagna) (+13)

30. Astrid Y Gastón, Lima (Peru) (-16)

31. Nihonryori RyuGin, Tokyo (Giappone) (-2)

32. Restaurant André, Singapore (Singapore) (+14)

33. Attica, Melbourne (Australia) – BEST RESTAURANT IN AUSTRALASIA (-1)

34. Restaurant Tim Raue, Berlin (Germania) – NEW ENTRY

35. Vendôme, Bergisch Gladbach (Germania) (-5)

36. Boragò, Santiago (Cile) (+6)

37. Nahm, Bangkok (Thailandia) (-15)

38. De Librije, Zwolle (Olanda) (+33)

39. Le Calandre, Rubano (Italia) (-5)

40. Relae, Copenhagen (Danimarca) – SUSTAINABLE RESTAURANT AWARD (+5)

41. Fäviken, Järpen (Svezia) (-16)

42. Ultraviolet, Shanghai (Cina) (-18)

43. Biko, Città del Messico (Messico) (-6)

44. Estela, New York (USA) – NEW ENTRY

45. Dinner by Heston Blumenthal, London (Regno Unito) (-38)

46. Combal.Zero, Rivoli (Italia) (+19)

47. Schloss Schauenstein, Fürstenau (Svizzera) (+1)

48. Blue Hill at Stone Barns, Tarrytown (USA) (+1)

49. Quique Dacosta, Denia (Spagna) (-10)

50. Septime, Paris (Francia) (+7)

[Crediti: Link e immagini: 50 Best Restaurants]

Non chiamatelo Pata Negra: guida al prosciutto più caro del mondo

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Duecentocinquanta euro al kg, che moltiplicati per 8 fanno 2.000 cucuzze. È questo il prezzo di uno Jamon Pata Negra Albarragena, l’ex prosciutto spagnolo più caro al mondo, appena superato dall’andaluso Dehesa Maladua.

State buoni, non ho finito coi numeri.

La produzione annuale conta solo 100 unità, i 50 maiali selezionati dall’esperto Manuel Maldonado, proprietario della leggendaria azienda situata in Extremadura, grufolano per due anni in un campo compreso tra i 6 e i 10 ettari per unità, cibandosi esclusivamente di ghiande di leccio, sughero e rovere.

Aggiungete alla conta un affinamento di 48 mesi e avrete una zampa di maiale stagionata che costa quanto uno stipendio.

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Tutti soldi ben spesi, mangiare quel prosciutto è un’esperienza che ti segna, e poi lo sanno tutti che gli spagnoli fanno prosciutti più buoni dei nostri, non c’è Sardo o Cinta che tenga.

Pausa.

A questo punto del post, azzardando con l’insiemistica, vi sarete senz’altro divisi in tre gruppi:

1. Quelli che il prosciutto italiano è superiore, e costa pure di meno
2. Quelli che il Pata Negra lo mangiano a colazione, con una grattatina di tartufo bianco
3. Quelli che il Pata Negra non l’hanno mai assaggiato, e vorrebbero saperne di più

Pata negra: è giusto chiamarlo così?

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Iniziamo dalle basi: il nomignolo “Pata Negra”, letteralmente “unghia nera”, stava a differenziare i prosciutti di porcelli spagnoli con gli zoccoli scuri. Vuol dire tutto e niente, non ha valore semantico dal punto di vista normativo.

Non tutti i maiali iberici hanno l’unghia nera né l’unghia nera è un’esclusività di questa razza, sono altre le caratteristiche che distinguono un prosciutto spagnolo di qualità, e sono tutte racchiuse in un decreto emanato nel 2014 dal Ministero spagnolo dell’Agricoltura.

Questo non è il Vietnam, ci sono delle regole [cit.]

La legge del 2014

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Ci hanno provato in tutti i modi: zoccoli di prosciutti scadenti dipinti di nero, unghie bruciacchiate e un po’ di make-up per far passare prodotti mediocri per merce eccellente e costosa.

A tutelare produttori e consumatori ci pensa un decreto, alleluja, che riconosce solo tre tipi di denominazioni di prosciutto iberico, tutte stabilite in base al tipo di alimentazione dei maiali durante la fase di ingrasso:

Prosciutto Iberico De Cebo, alimentato con mangimi a base di cereali e leguminose
Prosciutto Iberico De Cebo De Campo, allevato a regime semibrado e combinato di mangimi, foraggi e risorse campestri
Prosciutto Iberico De Bellota: durante la Montanera, il periodo che va da ottobre a dicembre, il maiale vive allo stato brado e si ciba esclusivamente di ghiande di leccio, sughero o rovere.

maiale-iberico

Un altro fattore cardine per la classificazione del prosciutto iberico è il grado di purezza della razza, vale a dire la percentuale di geni iberici presenti nel maiale.

Il prosciutto 100% Iberico è quello realizzato macellando animali di pura genetica iberica. Ciò significa che i due progenitori, padre e madre, dovranno essere 100% iberici e figurare nel libro genealogico ufficiale.

Soltanto “Iberico” è invece il prosciutto ricavato da animali con almeno il 50% del loro patrimonio genetico di razza pura. Le madri dovranno essere sempre 100% iberiche, ma i padri potranno essere di razza duroc o incrociati iberico-duroc.

maiale-dehesa

Questa classificazione rimanda al nuovo sistema di individuazione mediante sigilli in plastica e divisi per colore.

Quello bianco indica che il maiale è iberico De Cebo, ma con una percentuale di razza iberica del 50 o del 70%, che deve essere sempre indicata sull’etichetta.

Il sigillo verde viene utilizzato per identificare prosciutti iberici De Cebo De Campo, mentre il rosso indica che l’animale è stato alimentato nei pascoli durante la fase di ingrasso, è di razza iberica (al 50% o 75 %) e si è cibato di sole ghiande.

Il sigillo nero è riservato ai prosciutti migliori, i Pata Negra veri, ricavati da maiali 100% iberici puri e alimentati esclusivamente con ghiande.

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La Dehesa

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È un vocabolo intraducibile, “el bosque humanizado”, così lo chiamano in Spagna.

La Dehesa era un terreno boschivo inadatto alla coltivazione, grazie all’intervento selettivo dell’uomo e alla puntellatura di alberi di quercia, si è trasformata nel pascolo ideale, un Eden dispensatore di frutti zuccherini e saporiti: le ghiande, in spagnolo bellotas.

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Durante il periodo della Montanera, che corrisponde agli ultimi mesi dell’anno, i maiali fanno il pieno di erbe e acido oleico, la stessa sostanza presente nelle olive. Il gusto si insinua lentamente nel grasso degli animali, al punto che gli spagnoli chiamano i maiali iberici “olive con le zampe”.

Il consumo del maiale varia in funzione del suo peso, mediamente si considerano da 6 ai 10 kg al giorno per animale, oltre a circa 3 kg d’erba e erbette aromatiche, come il timo ed il rosmarino.

Produzione e stagionatura

zone produzione - jamon iberico - pata negra
Il “porco di razza Alentejana” è un siluro di grasso su gambe sottili.

La Denominazione di Origine conta 4 regioni: a nord, la Salamanca e la città di Guijuelo, a est la provincia di Huelva e in particolare la città di Jabugo. Valle de Los Pedrochas è denominazione meno conosciuta, il viaggio termina ai confini con l’Andalusìa, nella regione dell‘Extremadura, dove la lavorazione dei prodotti iberici è particolarmente estesa (quasi un milione d’ettari di dehesa per 1500 allevamenti).

Le principali zone di trasfomazione si ritrovano sulle sierra del sud ovest di Badajoz, Ibor e Villuercas, Gredos Sur, Sierra de Montánchez e Sierra de San Pedro.

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Il processo di elaborazione delle carni avviene in 4 fasi:

Salatura e lavaggio

Dopo la macellazione, i prosciutti vengono ricoperti di sale marino per una settimana o dieci giorni, a seconda del peso. La temperatura di stazionamento può oscillare tra 1º e 5ºC, l’ umidità all’ 80 o 90%.

Trascorso questo tempo, i prosciutti vengono lavati con acqua tiepida, per eliminare ogni traccia di sale.

Riposo

Le cosce lavate trascorrono dai 30 ai 60 giorni ad una temperatura che oscilla tra i 3º ed i 6º, in questa fase il sale si distribuisce in maniera uniforme, innescando il  delicato processo disidratazione e conservazione.

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Essiccatura e maturazione

I pezzi vengono trasferiti in un essiccatoio naturale nel quale l’umidità e la temperatura sono controllati tramite meccanismi di ventilazione manuali. La temperatura oscilla tra i 15º ed i 30º, durante i 6 – 9 mesi successivi il prosciutto continua a disidratarsi e trasudare, diffondendo il grasso tra le fibre muscolari.

Invecchiamento

I prosciutti trascorrono dai 6 ai 30 mesi in cantina, la bodega. La temperatura può oscillare tra i 10º ed i 20ºC, e l’umidità relativa si attesta tra il 60 e l’80%.

In questa fase l’attività della flora microbica si aggiunge ai processi biochimici iniziati durante la stagionatura, processi che conferiranno l’aroma peculiare e il sapore finale del prosciutto.

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Lo specialista vero, invece, impara a tagliarlo da sé, o alla peggio lascia fare alla mano esperta del Cortador, il tagliatore di prosciutto.

E gode dell’estetica codificata di certi gesti tentando di rubarne i segreti.

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E poi, diciamo la verità, il taglio a macchina è roba da pivelli, e in più produce frizione e riscaldamento, tutte cose che rovinano l’aspetto e le fette di prosciutto risultanti.

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Importante: il prosciutto deve essere consumato a temperatura ambiente, preferibilmente intorno ai 21°. Soltanto a questa temperatura potrete scorgere il brillìo del grasso naturale, quando il prosciutto è freddo risulta opaco e perde punti-fascino.

I più volenterosi possono porzionare il prosciutto con le proprie manine, seguendo questa procedura:

1. Collocare il prosciutto

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Il porta prosciutto deve essere collocato ad un’altezza e in una posizione che agevoli il taglio, senza forzare i movimenti né la posizione del corpo.

Se pensate di consumare tutto il prosciutto in poco tempo, ingordi che non siete altro, iniziate ad affettarlo dalla parte centrale, anche detta fiocco (maza).

Se invece volete prolungare il piacere per più di 2 giorni, cominciate ad affettare il prosciutto dalla zona del cosciotto (Babilla).

2. Pulire il prosciutto

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Nell’ordine: togliere la cotenna e il grasso esterno che ricoprono questa zona, insistere sino a quando appare la fibra muscolare.

La parte esterna del prosciutto è ricoperta di muffe ed essudati naturali, frutto del processo di asciugatura e stagionatura, tutte impurità e nefandezze che devono essere eliminate dal contorno della zona di taglio, rischio retrogusto di rancido durante l’assaggio.

3. Affettare

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Tagliare il prosciutto a fettine molto sottili, quasi trasparenti, rispettando la larghezza del prosciutto e non superando i 6/7 cm di lunghezza. Man mano che si taglia, rimuovere dai bordi la cotenna ed il grasso esterno.

I tagli saranno sempre paralleli tra loro e in direzione contraria all’unghia, lasciate sempre alla vista una superficie piana, senza striature.

Arrivati all’osso dell’anchetta, fate un taglio profondo intorno all’osso in modo che le fette vengano fuori belle pulite.

La carne più vicina alle ossa non va affettata, ma tagliata a dadini: potrete usare i preziosi cubetti nella preparazione di brodi e stracotti.

Quando avrete divorato la parte del fiocco, girate il prosciutto, rivolgendo l’unghia verso il basso. Disponete le fette in un piatto, in un unico strato o leggermente sovrapposte.

La degustazione

Esame visivo
Il prosciutto spagnolo dei sogni ha una forma allungata, lo zoccolo nero o scuro, le ossa abbastanza sottili, il tutto ricoperto da un velo sottile di muffe.

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Eliminata la cotenna, si può intravedere un primo strato di grasso giallognolo, e man mano che l’atmosfera si scalda e si inizia a preparare il pezzo per l’affettatura, si può osservare una bella quantità di grasso bianco attaccato ai muscoli, sviluppatosi durante il periodo di Montanera.

Se il tono di questo grasso vira sul rosa significa che abbiamo un gran cu.., ahem fortuna, e ci troviamo di fronte ad un prosciutto di quelli da incorniciare.

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Anche il magro dice la sua: nelle zone meno stagionate e a temperatura ambiente, un buon prosciutto ha un colore rosso o rosa intenso,  brillante per l’effetto del grasso intramuscolare, e ricoperto da tutta una mirabolante serie di amminoacidi cristallizzati.

Aroma

Tutto dipende dall’alimentazione dei maiali in regime di montanera e dal tempo e le condizioni ambientali durante la stagionatura. Anche il punto di sale ricopre una parte importante, quando è equilibrato asseconda la percezione di tutte le sfumature profumate.

Consistenza

Gli elementi da valutare sono tre.

La succosità, prodotta per effetto combinato del grasso e di un contenuto equilibrato di sale.

La secchezza, che tende ad aumentare se il pezzo è stato esposto a un periodo di maturazione eccessivo e, in tutti i prosciutti, si concentra nella parte più superficiale.

La quantità di fibra contenuta nel prosciutto: se il prosciutto è buono, avrà meno contenuto fibroso e più grasso fluido.

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Gusto

Finalmente si mangia.

Assaporando la fibra tenera ed untuosa, scioglievole come nessun prosciutto al mondo potrà essere, coglierete note stagionate che ricordano le erbe selvatiche, il fungo, il tartufo, che aumentano di intensità e complessità a seconda della stagionatura.

Oppure mangerete senza percepire nessuna di queste cose, chissenefrega dei sentori, l’importante è godere.

I voti

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Ghianda: quando a temperatura ambiente si può percepire il sapore di ghianda nelle fette di prosciutto.

Salato: positivo solo quando è equilibrato

Dolce: una sfumatura tipica dei prosciutti spagnoli sottoposti a lunghi periodi di stagionatura in cantina, seguendo i metodi tradizionali

Piccante: dev’essere moderato, non invasivo. Di solito il piccante segnala un’ accelerazione anomala nel processo di stagionatura.

Rancido, che in misura molto ridotta, udite udite,  può essere considerato, positivo e interessante.

Tra le note gustative “positive” si registrano anche: il sapore di zucchero bruciato, quello di cantina e di frutta secca (ghiande, noci e nocciole)

LA CLASSIFICA

1. Carrasco Guijuelo59 € /Kg

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La più famosa delle aziende produttrici di Guijuelo, una delle cinque Denominazioni d’Origine.

La famiglia Carrasco alleva da quattro generazioni maiali neri di razza pura, nei pascoli di Salamanca e Estremadura.

Fibra tenace e texture succosa, il Jamon Carrasco Guijuelo vibra di un colore tra il rosa ed il rosso porpora, brillante al taglio e cesellato da infiltrazioni di grasso ben distribuite.

2. Sierra de Sevilla – 42 € /Kg

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Miglior prosciutto iberico del 2015 secondo la testata spagnola ABC.

Con una piccola produzione di circa 14.000 maiali iberici puri, questa azienda produce a Siviglia, più precisamente sui monti a nord della provincia, una sparuta selezione di prosciutti leggendari, dal sapore persistente, intenso, ingentilito sul finale da una sottile nota zuccherina.

3. Maldonado Gran Reserva DOC Extremadura – 64 €/Kg

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Tecniche ancestrali e 48 mesi di stagionatura per un prosciutto pluridecorato, leggermente dolce e dall’aroma intenso.

I maiali grufolano felici nei querceti della provincia di Caceres e Badajoz (Extremadura), habitat eccezionale per una produzione riservata a pochi e fortunati eletti.

4. Don Augustin Etichetta Oro Summum Guijuelo – 54 €/Kg

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Qualità in vetta e produzione centellinata, la parte magra di questo jamon è corposa e densa, burrosa la parte grassa in cui affondano senza sforzo le dita.

La carne ha un colore brillante, magnifica la marezzatura dalla tinta color avorio. L’aroma è persistente quanto il sapore, segnato dal gusto di nocciole tostate e ghiande lievemente affumicate.

5. El Zancao – 39 €/Kg

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Jamon ricavato da maiali allevati in Montanera nella riserva naturale di Arribes del Duero (Salamanca).

I prosciutti e le paletas (zampe anteriori) prodotti ogni anno sono solo 500, la stagionatura dura 36 mesi.

6. Ibesa Los Pedroches – 58 €/Kg

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Prendete il verde della Valle de Los Pedroches, a Villanueva de Cordoba, aggiungete maiali di pura razza iberica, il clima giusto e una microflora unica. Lasciate stagionare per almeno 24 mesi e otterrete uno Jamon Iberico de Bellota buono come pochi.

7. Señorio de Montanera – 56 €/Kg

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Recuperate mappa e pennarello, individuate il confine tra Portogallo e Spagna e cerchiate la cittadina di Burguillos del Cerro.

È qui che Felipe Perez Corcho, fondatore della cooperativa Señorio de Montanera insieme ad altri 72 allevatori, produce dal 1992 uno dei migliori jamon de bellota di tutta la Penisola Iberica.

8. 5 Jotas Gran Reserva – 65 €/Kg

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Il “5 J” è probabilmente il prosciutto iberico più noto, Sánchez Romero Carvajal è stato un pioniere della produzione di jamon iberico puro, responsabile principale della fama del prosciutto DO di Jabugo.

Allevare maiali 100% iberici rende meno e costa di più, ma i sacrifici vengono ripagati da un gusto intenso e persistente, che ricorda quello dei prosciutti di Huelva.

9. Jabugo Sierra Mayor 10 Vetas – 51 €/Kg

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Altro prosciutto del Consorzio di Jabugo, prodotto nella località Sierra de Huelva, Andalusìa.

I prosciutti, a seconda del peso, hanno una stagionatura tra i 26 e i 40 mesi, il grasso brilla di luce propria e la carne si tinge di rosa con sprazzi di bordeaux.

10. Joselito Gran Reserva – 76,90 €/Kg

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Grugno rosso su fondo nero, il logo di Joselito è il più conosciuto tra i marchi di prosciutto iberico.

Jamon di stazza considerevole, con più grasso interno ed esterno, poco salato e stagionato a lungo: 24, 30 o 96 mesi (edizione Vintage / 3000 euro al pezzo).

È il prosciutto preferito degli chef, da Alain Ducasse a Joël Robuchon. Ferran Adrià ha addirittura fondato uno spazio di ricerca, il Joselito Lab , dove crea oli, burri e un’insolita maionese, utilizzando la parte grassa di questa costosissima specialità.

[Crediti | Link: ABC, Dissapore | Infografiche: Dissapore]

Nutella: quanto costerebbe a Ferrero sostituire l’olio di palma

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Ho mangiato un biscotto senza olio di palma e non sono morto.

Potrebbe essere il titolo di un nuovo docu-film alla Michael Moore, con il regista americano che abbraccia un orango in copertina.

O un barattolo di Nutella, il prodotto a base di olio di palma più venduto al mondo.

Sarà questo l’ingrediente segreto?

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Nutella, che rappresenta il 50% circa delle vendite Ferrero, deve la sua consistenza setosa e la sua conservabilità proprio ai grassi ricavati dall’Elaeis guineensis, la palma della discordia.

Preparare la Nutella “senza” non si può, si otterrebbe un prodotto diverso, probabilmente inferiore, come fare un lungo passo indietro inciampando in un barattolo.

Ma quanto costerebbe sostituire l’olio di palma con un altro olio vegetale?

Facciamo un po’ di conti.

L’olio di palma costa 800 dollari alla tonnellata, quello di girasole 845 dollari, quello ricavato dalla colza viene venduto sul mercato a 920 dollari.

Ferrero utilizza circa 185.000 tonnellate di olio l’anno, che in soldoni si traduce in un aumento dei costi di produzione di 8-22 milioni di dollari.

Cifre che fanno passare la fame.

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Sembrava essere passata la buriana del terrorismo alimentare, delle flagellazioni sui social, Ferrero ha addirittura organizzato un convegno scientifico (“Olio di palma: una scelta responsabile, basata sulla scienza“ ), per quanto molto contestato.

Ma è successo, è successo di nuovo.

Un gruppo di 60 eurodeputati ha presentato un’interrogazione parlamentare per chiedere a Efsa, Autorità europea per la sicurezza alimentare, di intervenire sulla faccenda olio di palma a tutela dei consumatori.

Come intende gestire i potenziali rischi dovuti all’assunzione di acidi grassi di palma? Ci sono i margini per regolamentare la presenza di composti pericolosi all’interno di questi oli?

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Sì perché Efsa ha recentemente concluso che “vi sono prove sufficienti che i glicidil esteri degli acidi grassi (contaminanti che si formano durante la lavorazione di oli vegetali raffinati, per superamento del tetto di 200C) sono genotossici e cancerogeni.

I più alti livelli di glicidil esteri degli acidi grassi sono stati trovati negli oli di palma e nei grassi di palma.”

L’ha detto l’Efsa, mica Topo Gigio.

E se da una parte gli scaffali del super si riempiono di prodotti bollati coi “senza”, senza ogm, senza glutine, senza olio di palma (il mercato dei prodotti “senza” vale due miliardi di euro) Ferrero se ne sbatte e risponde a muso duro, argomentando.

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Il diavolo, si sa, sta nei dettagli, e a causare pericolo e sofferenza sarebbero le alte temperature utilizzate per rimuovere dall’olio di palma il colore (rosso di natura) e l’odore.

Ferrero dichiara di adoperare un processo che non supera i 200C incriminati, il tutto combinato con una pressione estremamente bassa, che minimizza lo sviluppo di eventuali contaminanti.

L’olio di palma utilizzato da Ferrero è sicuro, perché ricavato dai frutti premuti a freddo, processati a temperature controllate. E come se non bastasse proveniente da coltivazioni di palma sostenibili, con il benestare di oranghi e Movimento 5 Stelle.

Nutella galleggia placidamente su un mare di grassi saturi.

Non sono bastati l’Efsa, Coldiretti, i distinguo dei più noti marchi italiani che con pedante puntualità precisano “senza olio di palma”. Neanche l’apocalisse e quei dannati nutellotti (i biscotti ripieni di Nutella) che impestano il web.

Ferrero non ha mai smesso di macinare nocciole e guadagni.

Quella di Alba è la sola azienda alimentare che continua, in direzione ostinata e contraria, a usare sfacciatamente olio di palma.

E gli effetti si sono visti: da agosto scorso Nutella ha perso circa il 3% del fatturato.

Ma la campagna pubblicitaria di Settembre, quella dello spot con la musichetta commovente di Little Miss Sunshine, ha riattivato la macchina e fatto risalire le vendite del 4% , segnando una crescita costante del 5-6% annuo.

Il bilancio del 2016 si è chiuso ad Agosto a 10 miliardi di euro, e 2 miliardi del fatturato provengono proprio dalle vendite di Nutella.

Non è la specie più forte a sopravvivere, e nemmeno la più intelligente. Sopravvive la specie più predisposta al cambiamento, e Ferrero non vuole che Nutella muoia.

[Crediti | Link: Reuters, Il Test, Parlamento Europeo, Dissapore | Immagini : Il Fatto Alimentare | Video: Ferrero]

Colomba di Pasqua: i segreti e la ricetta di Alfonso Pepe

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Via Nazionale n°2, siamo a Sant’Egidio del Monte Albino (SA), alle pendici dei Monti Lattari, proprio dietro l’enorme cartello stradale che segnala l’inizio del piccolo Comune svetta una grossa “P” attorcigliata su un fondo verde bottiglia.

(“P” sta per Pepe, Alfonso Pepe, colui che, complici ingredienti tipicamente meridionali come agrumi, frutta del Vesuvio, fichi del Cilento, nocciole di Giffoni e burro di bufala ha spostato il baricentro del panettone classico milanese al Sud, rubando il primato del più buono d’Italia ai pasticcieri delle nebbie lombarde).

Una rampa di scala e poi giù, nel laboratorio delle meraviglie.

Faccio un po’ di ritardo perché mangiare un cornetto al pistacchio come quello della Pasticceria Pepe ha una sua ritualità, i suoi tempi di degustazione.

E poi filmare a stomaco vuoto mi pareva cosa troppo rischiosa.

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Alfonso Pepe è già al lavoro da un paio d’ore, spalanca la porta sorridente e fa le dovute presentazioni:

Vedi, questo è il mio bambino, senza di lui le colombe non volano”.

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Sul piano di lavoro d’acciaio, il suo lievito madre, allevato come fosse un pargolo, con tanto di copertina rimboccata.

Impettito, esplosivo, mette quasi timore.

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Mastro Pepe inizia il suo percorso di pasticciere nel retrobottega dello zio Gaetano, circa 30 anni fa, poi le grandi scuole, L’Etoile, Cast Alimenti, alla corte dello stimatissimo Iginio Massari.

L’esperienza francese presso l’Ecol, le lezioni con Achille Zoia e Mauro Morandin, impareggiabili incantatori di lieviti.

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Nel 1995 entra a far parte dell’Accademia Maestri Pasticceri Italiani, entra nel loop di colombe e affini, li studia, li migliora, non se ne stacca più.

Ero stanco di quei lievitati preparati con ingredienti scadenti, sempre più simili a biscotti, pieni di canditi duri e uvetta asciutta”.

In pochi anni fa del panettone borbonico il migliore d’Italia, con quella mollica soffice e inebriante, giallissima, la tessitura dell’impasto che è quasi una firma, l’equilibrio perfetto tra la rotondità del burro e l’aromaticità dei canditi.

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Non gli piacciono i piedistalli, ma finisce sempre in cima ad ogni lista, alla Tv e i caroselli sui social preferisce le (faticose) giornate in laboratorio con Prisco e Giuseppe:

Nei periodi prefestivi iniziamo a rinfrescare il lievito alle 6 del mattino e terminiamo a notte fonda”.

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Un equilibrio consolidato negli anni il suo, tarando continuamente le ricette, a seconda delle peculiarità di certi ingredienti (le farine cambiano di anno in anno, il lievito è vivo, in continuo mutamento).

Una di queste ricette la trovate qui sotto, la migliore in circolazione, senza filtri, spiegata passo passo e immortalata in un video.

Osservate la gestualità di un professionista, non fatevi ipnotizzare dalla danza dell’impastatrice a braccia tuffanti e occhio alla faccenda della pirlatura.

Fare la figura dei pirla è un attimo, ve lo dico.

COLOMBA TRADIZIONALE

dose per 8 pezzi da 1 kg

Lievito naturale: i rinfreschi

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Ore 6:00
1. Si procede con il classico “bagnetto”, tagliando a fettine il lievito naturale e immergendolo in una soluzione di acqua tiepida e poco zucchero (1 g per litro).

Quando il lievito viene a galla è pronto per essere strizzato e impastato con il 30% di acqua, 1 parte di farina e 1 parte di lievito.

Si trasferisce il tutto in cella a 28°-30°.

Ore 9:30
2. Si continua con il secondo rinfresco, impastando il lievito con il 50% del suo peso in acqua, sempre 1 parte di farina e 1 di lievito madre.

Si ripone nuovamente in cella in ambiente a temperatura controllata.

Ore 14:00
3. Si conclude la fase dei rinfreschi ripetendo la stessa operazione (punto 2) e tenendo da parte un pezzo di lievito per il giorno successivo.

Ore 17:00

Primo Impasto:

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Farina 0 W 360 – 380 | 2000 g
Zucchero | 750 g
Acqua | 1050 g
Tuorlo | 250 g
Burro | 600 g
Burro liquido | 150 g
Lievito naturale | 625 g

Sciogliere lo zucchero in acqua calda (35°- 40°), inserire la farina e impastare per circa 10 minuti.

Aggiungere il lievito naturale , lasciare incordare e incorporare, in due volte, l’emulsione di burro a pomata, burro liquido e tuorli.

Trascorsi 30 minuti trasferire in cella a 30° per circa 12-14 ore (o fino a quando il volume non sarà triplicato), impastare con:

Secondo impasto:

_DSC3667

Farina 0 W 360 – 380 | 500 g
Zucchero | 375 g
Miele di arancio | 250 g
Tuorlo | 550 g
Sale | 25 g
Burro | 650 g
Burro liquido | 100 g
Pasta arancia | 600 g
Burro di cacao | 15 g
Vaniglia in bacche del Madagascar | 4 n
Cubetti di pasta di mandorla | 163 g
(1 parte di mandorla e una parte di zucchero)
Arancia candita a cubetti | 1000 g

Mettere in macchina il primo impasto e aggiungere la prima parte di pasta arancia. Poi addizionare la farina, lasciar incordare e unire la seconda porzione della stessa pasta.

Una volta incorporati tutti gli ingredienti versare il miele e lasciar impastare. Unire lo zucchero miscelato precedentemente con la polpa della vaniglia, in due fasi, e una volta assorbito aggiungere il sale ed i tuorli emulsionati con il burro ed il burro liquido, in due/tre passaggi.

A questo punto unire il burro di cacao fuso e lasciato raffreddare, fare incordare l’impasto fino alla formazione del “velo” (min. 08:05 del video).

Terminare l’impasto aggiungendo, in due step, i cubetti di arancia candita e di pasta di mandorle.

Trasferire l’impasto sul piano di lavoro e lasciar riposare per circa 30 minuti.

Fare le pezzature (950 g di impasto per uno stampo da 1 kg), arrotolare l’impasto (min. 8:44) facendolo ruotare tra le mani.

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Formare dei filoni lunghi quanto tutto lo stampo e sistemare nella parte centrale dei pirottini.

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Porre le colombe in cella di lievitazione a 30° per 6-8 ore e, successivamente, glassare con:

Glassa per panettoni
conservazione : +4°
durata: 30 gg

Ingredienti:
Mandorle grezze | 188 g
Armelline | 62 g
Nocciole tostate | 125 g
Zucchero | 1000 g
Cacao | 25 g
Farina di mais | 25 g
Fecola di patate | 25 g
Albume | 375 g

Mandorle grezze | q.b.
Granella di zucchero | q.b.

Tritare finemente tutti gli ingredienti e unire solo alla fine gli albumi, a mano o in planetaria.

Dressare sulle colombe (che avranno raggiunto i ¾ del volume dello stampo) e guarnire con uno strato uniforme di mandorle e zucchero in granella.

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Cuocere a 180° per 50 minuti (per la pezzatura da 1 kg), infilzare con i ferri appositi appena sfornate e capovolgere (i bastoncini di metallo possono essere sostituiti con dei ferri da maglia).

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Lasciar raffreddare e distendere fino al giorno dopo, confezionare.

[Crediti | Video e immagini: Rossella Neiadin]

Colomba di Pasqua farcita: le 10 migliori del 2016

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Questa è, in poche (ma dolci) parole, la colomba di Pasqua classica: farina, burro, un tot di uova, il lievito madre imprescindibile, glassa di mandorle e zucchero.

Protagonisti gli agrumi, porzionati in cubetti, esaltati dalla pasta.

Lista di ingredienti essenziale e rigorosa, a cui i più arditi aggiungono un tocco di limone. Non c’è spazio per ingredienti esotici e miscugli stravaganti.

Possiamo dirlo? Il purismo ha rotto le scatole.

PAUSA

colomba albicocca morandin 4

Perché fermarsi al palo della tradizione e negarsi certi piaceri collaterali?

Ben vengano le versioni accessoriate e roccocò di certi dolci tradizionali, benedetti quei pasticcieri e i loro pruriti creativi, le interpretazioni a base di frutta, i cioccolati monorigine, le infusioni di spezie.

A noi le declinazioni eretiche e ribelli della colomba pasquale piacciono tantissimo, ne abbiamo assaggiate 20 e selezionato le 10 migliori.

Beccatevi lo spin-off della nostra classifica di ieri (le 15 colombe artigianali di Pasqua migliori del 2016) e meditate sui vostri acquisti last-minute.

#10 PASTICCERIA MAMMA GRAZIA

colomba zabajone mamma grazia

Colomba “San Pasquale”

Farcitura: amarasche candite e cremoso allo zabajone

Glassa: mandorle a lamelle e zucchero in granella

Pasta: flessuosa, molto umida

Sapore: svettano le amaresche, in un equilibrio perfetto tra zuccheri, aromi e spinta acida. Vellutata la crema allo zabajone, carica nel sapore ma misurata nell’alcol, lontana anni luce da quei pasticci industriali che ci propinavano negli 80s.

colomba marasche mamma grazia

Prezzo al kg: 28 euro

Pasticceria Mamma Grazia
Via Vincenzo Russo 136-138  84015 Nocera Superiore (SA)
tel 0815144037

#9 PASTICCERIA MERLO

colomba farcita merlo
Farcitura: albicocca semicandita

Glassa: zucchero, mandorle, nocciole, armelline

Pasta: colorata, burrosa, erotica

Sapore: l’impasto (da solo) vale il viaggio mentale, le albicocche candite e ancora turgide aggiungono una nota acidula e rinfrescante.

Prezzo al kg: 30 euro

Pasticceria Merlo, Via Masaccio, 4, 20096 Pioltello MI

#8 TIRI 1957

colomba-gianduia-tiri

Farcitura: crema gianduia

Glassa: cioccolato al latte, nocciole tostate

Pasta: ricetta base arricchita con pasta di nocciole pura

Sapore: Immaginate una cosa che nasce buonissima, poi aggiungete una dose liberale di cioccolato e guarnite con nocciole tostate. Un morso e si raggiunge il Nirvana.

colomba gianduia tiri

Prezzo al kg: 32 euro

Tiri 1957Via A.Gramsci, 2/4 Acerenza (Pz)

#7 MAURO MORANDIN

colomba albicocca morandin

Farcitura: cioccolato bianco e albicocca candita

Glassa: zuccherina, sembra quasi apricottata (ricoperta di gelatina di albicocche). Profumo simil-croissant

Pasta: eterea, leggerissima

Sapore: lungo, persistente, il cioccolato bianco non ottunde la vivacità delle albicocche candite (le migliori della prova d’assaggio)

colomba albicocca morandin 3 colomba albicocca morandin 2

Prezzo al kg: 30 euro

Pasticceria Mauro Morandin

Aosta – Via Porta Praetoria, 3 – T. +39 0165.34246.
Saint-Vincent (AO) – Via Chanoux, 105 – T. +39 0166.512690.

#6 PASTICCERIA TABIANO

colomba-tabiano

Claudio Gatti, estroso pasticcere di Tabiano Bagni (Parma), grande assente della nostra classifica di ieri. Motivo: il nostro alchimista preferito ha sfornato solo colombe eretiche e sbalorditive (al tè verde, ai grani antichi, alla birra)

Farcitura: Albicocca, ananas, pesca (*sospiro*)

Glassa: zucchero, mandorle dolci e mandorle amare a lamelle, spruzzata finale di maraschino

Pasta: da affondarci la faccia dentro, un cuscino

Sapore: meglio di un cocktail ad un bikini party, esotismo e goduria.

colomba-tabiano-2

Prezzo al kg: 27 euro

Pasticceria Tabiano – Via delle Fonti, 7 – Tabiano Bagni (Parma)

#5 PIETRO MACELLARO

fetta colomba arancio macellaro

Farcitura: crema d’arancio (cioccolato bianco, pasta d’arancia, liquore all’arancia)

Glassa: classica, con zucchero e mandorle grezze

Pasta: esuberante nelle uova e arricchita con burro di bufala, innaffiata di liquore all’arancia.

Sapore: una specie di Eden coltivato ad agrumi, la cremina è di quelle da scavare con le dita. Abbiamo sniffato anche la scatola.

Prezzo al kg: 33 euro

Pietro Macellaro

Azienda Agricola Pietro Macellaro, via Madonna della Grazie, 28 Piaggine (SA)

#4 PASTICCERIA PEPE

colomba pepe limoncello

Farcitura: limoncello (crema di limoncello 25%, cioccolato bianco 29%, panna, limoncello 14°)

Glassa: cioccolato bianco, riccioli di cioccolato

Pasta: soffice, cotonata, aromatizzata con pasta limone

Sapore: intenso, la celebrazione del limone. Nota agrumata elettrizzante, la crema è liscia e vivacemente alcolica

colomba pepe limoncello 3 colomba pepe limoncello 5

Prezzo al kg: 34 euro

Pasticceria PepeSant’Egidio del Monte Albino (SA), via Nazionale 2/4

#3 BIASETTO

colomba arancio cioccolato biasetto
Luigi Biasetto, champion du monde, l’eleganza fatta pasticceria (non siamo riusciti ad accaparrarci la sua colomba classica, sigh)

Farcitura: cubetti d’arancia candita, gocce di cioccolato fondente

Glassa: classica, fatta con zucchero, mandorle e cacao

Pasta: arricchita con cacao in polvere. Alleghiamo foto:

colomba cioccolato biasetto
Avete mai visto un impasto più bello di questo? Seriamente, dài.

Sapore: s-t-r-e-p-i-t-o-s-o.

L’aroma del cacao, i canditi saporiti, un impasto da manuale dei lievitati.

cioccolato colomba biasetto

Prezzo al kg: 34 euro

Pasticceria Biasettovia Facciolati, 12, Padova

#2 ATTILIO SERVI

colomba lampone servi
Farcitura: lampone e pepe del Sichuan

Glassa: zucchero in granella

Pasta: dorata, lievitazione da urlo.

Sapore: poche chiacchiere, questa colomba è eccezionale, uno dei dolci migliori assaggiati quest’anno.

Acidità del lampone di bosco + piccantezza agrumata del pepe di Sichuan = amore. E freschezza, sensazione insolita per un dolce da zilioni di calorie.

colomba lampone servi2

Prezzo al kg: 32 euro

Attilio ServiVia Campobello, 1/C, Pomezia (RM)

#1 SAL DE RISO

colomba limoncello de riso 2
Farcitura: crema al limoncello e bucce di Limone Costa d’Amalfi I.G.P.

Glassa: cioccolato bianco e trucioli e trucioli di cioccolato al limone

Pasta: sontuosa ed elastica

Sapore: attenzione: questo dolce provoca dipendenza, provatene una briciola e non riuscirete a smettere. Inutile affogarla nella dispensa, sentirete il suo richiamo fino in salotto.

colomba limoncello de riso 4

E provate a trattenere le lacrime, mentre raschiate la cremina dall’incarto.

colomba limoncello de riso 3

Prezzo al kg: 33 euro

Sal De Riso Piazza Cantilena 1, Minori, Costa D’Amalfi

[Crediti | Link: Dissapore, immagini: Rossella Neiadin]


Cioccolato artigianale: Guido Gobino vs Guido Castagna

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C’è un tempo per ogni cosa, ad ogni stagione il suo cibo, e se l’estate è quel periodo dell’anno in cui si mangiano i gelati, la primavera è il limbo tiepido in cui il goloso fa fuori le derrate di cioccolato.

Eggià, mentre schiere di fedeli alla linea affollano le sale di CrossFit e pilates, io ho pensato bene di bruciare il guardaroba primaverile e dedicarmi, anima e curve, a una Prova d’assaggio che profuma di cacao e grassi saturi.

Ricordate le sfide di Dissapore tra prodotti e produttori cult, artigianali (Amedei vs Domori) e non (Nutella vs Nocciolata Rigoni)?

Bene, cari miei, è arrivato il momento di riprendere, e sugli scudi c’è Torino.

pane crema spalmabile 4

crema nocciola castagna +55

CONTENDENTI

giandujotti classici 5
Se sei di Torino e ti chiamo “Guido”, il tuo futuro professionale è inscritto in una tavoletta di cioccolato. Se ti chiami Franco te lo puoi scordare, finisci a fare il commercialista.

Agli angoli opposti del nostro ring, uniti nel segno dell’omonimia e del bean to bar (filiera intera, dalla fava di cacao alla tavoletta incartata) abbiamo:

Guido Gobino, il cioccolatiere baffuto con un palmarès da far invidia a una squadra di calcio (le “Tavolette d’oro” si sprecano, gli Award dell’Accademy of Chocolate di Londra, pure).

Inventore del celeberrimo Tourinot, un bocconcino di puro piacere fatto con nocciole e latte (declinato anche al caffè), ha due punti vendita a Torino ed uno a Milano.

cioccolato gobino

Guido Castagna, dalla periferia di Giaveno (TO) alla televisione nazional popolare, calcando i podi delle più importanti competizioni sul cioccolato artigianale.

Molto del suo successo trabocca dall’iconica +55, una crema spalmabile leggendaria. Un prodigio fatto di quattro ingredienti e con una percentuale di nocciole (sessantotto!) da capogiro, record tutt’oggi imbattuto.

giandujotti castagna 5

Match #1 : Giandujotto*

giandujotti gobino 2
*Abbiamo messo a confronto il “Giuinott” Castagna con il “Maximo +39”, data la quota di nocciole pressoché identica.

I gioiellini ammantati di arancione, esclusi dal test, sono i giandujotti classici di casa Gobino (fatti fuori anche quelli, non vi preoccupate).

giandujotti classici

Descrizione del produttore: Maximo +39®

giandujotti classici 3

Giandujottino (peso 5 grammi) dal sapore intenso e una consistenza golosamente cremosa, prodotto con più del 39% di Nocciole Piemonte IGP, estruso come tutti gli altri giandujotti (il Classico, il Tourinot) e vincitore assoluto come “Miglior Cioccolato Gianduja” alle premiazioni “Tavoletta d’oro” della Compagnia del Cioccolato dal 2012 al 2016.

Prodotto in edizione limitata da ottobre a marzo.

maximo +39 giandujotti gobino

Ingredienti: Nocciola Piemonte IGP (39%), zucchero di canna, cacao, burro di cacao.
Packaging: sacchetto trasparente con nastrino a scacchi arancioni e viola
Aspetto visivo: colore pieno ed omogeneo, superficie liscia e forma regolare
Esame olfattivo: profumo inebriante di nocciola
Consistenza: vellutato, cremosità dirompente
Gusto: esplosivo, la nocciola svetta sul resto degli ingredienti

Prezzo: 16,50 euro per una confezione da 250 grammi
In breve: irresistibili

Voto: 9,5

Descrizione del produttore: Giuinott.

giunott castagna 2

Il primo giandujotto estruso e tagliato. L’unione tra il pregiatissimo cacao rosso criollo venezuelano Chuao e la Nocciola Piemonte IGP (40%), crea un equilibrio di gusti armonici che delizia il palato e appaga i sensi.

Medaglia d’oro all’International Chocolate Award dal 2013 al 2016

guandujotti castagna 4 giunott castagna

Ingredienti: Nocciola Piemonte IGP 40%, zucchero di canna, fave di cacao Chuao Venezuela, burro di cacao.
Packaging: sacchetto trasparente con nastrino di raso azzurro polvere.
Aspetto visivo: tonalità calde, privo di striature
Esame olfattivo: profumo di nocciola tostata
Consistenza: burroso, dilagante
Gusto: perfettamente bilanciato, la nocciola si rivela pian piano, persistente sul finale

Prezzo: 6,00 euro per una confezione da 100 grammi
In breve: climax

Voto: 9

Match #2 : Cioccolato Fondente

cioccolato-fondente-gobino-castagna cioccolato fondente gobino castagna 2

Descrizione del produttore: Tavoletta Extrafondente 64% Guido Castagna “Cento Grammi”.

Cioccolato fondente con il 64% di cacao. Miscela con prevalenza di cacao Arriba e Venezuela che dona un gusto piacevole e non amaro (from bean to bar).

cioccolato fondente castagna

Ingredienti: fave di cacao, zucchero di canna, burro di cacao, Emulsionante: Lecitina di soia (senza OGM). Cacao minimo 64%, concaggio 48 h.

Packaging: cartoncino ruvido marrone scuro, scritte lucide in rilievo. Design molto gradevole e pulito.
Aspetto visivo: tavoletta spessa, abbellita da linee ipnotiche e sinuose
Udito: suono fragoroso ed acuto
Tatto: superficie levigata
Esame olfattivo: profumo floreale e zuccherino, ricorda il miele
Gusto: grande dolcezza, aromi fruttati e rotondità spiccata. Si scioglie in bocca con grazia estrema, cremosissimo, la consistenza perfetta ma più scarico del cioccolato Gobino dal punto di vista aromatico.

tavoletta fondente castagna

Peso netto: 100 grammi
Prezzo: 4,50 euro
In breve: rassicurante

Voto: 8

Descrizione del produttore: Tavoletta Extra Bitter Blend 63%, Selezione Guido Gobino.

fondente gobino

Realizzato unicamente con cacao pregiati, burro di cacao e zucchero di canna. Una tavoletta dedicata agli amanti del Cioccolato Fondente da degustazione, con un gusto rotondo ed un’acidità moderata (from bean to bar)
Disponibile in due formati, da 55 e da 110 grammi.

Ingredienti: cacao, zucchero di canna, burro di cacao. Cacao 63% minimo.

Packaging: astuccio in cartone giallo grano, finestrella trasparente e immancabile sigillo arancione, il colore dell’azienda.
Aspetto visivo: colore scuro, incisioni elegantissime e superficie lucida
Udito: snap secco
Tatto: setoso
Esame olfattivo: profumo di tostati scuri, caffè, frutta secca
Gusto:persistente, nessuna traccia di acidità. Una scarica di aromi tostati con un bacio di vaniglia e prugna.
Peso netto: 110 grammi
Prezzo: 6,20 euro
In breve: equilibrato

Voto: 8,5

Match #3 : Crema spalmabile alla nocciola

creme gobino castagna

creme spalmabili

Descrizione del produttore: Crema Gianduja

crema gobino

Vincitrice assoluta come “Miglior Crema Spalmabile” secondo il premio “Tavoletta d’Oro 2011”, ha come protagonista la Nocciola Piemonte IGP tostata presso i nostri laboratori e raccolta direttamente dai campi di coltivatori che collaborano con l’azienda sin dai suoi esordi.

Per la realizzazione di questo prodotto si utilizza il procedimento del concaggio a secco, il quale consente una maggiore valorizzazione del cacao ed un minor uso di grassi.

crema gianduja gobino 5

Ingredienti: Nocciola Piemonte IGP 45%, zucchero, cacao magro in polvere, latte scremato in polvere. Emulsionante: Lecitina di soia (senza OGM) bacche di vaniglia Bourbon del Madagascar

Packaging: solido. Barattolo di un bel vetro spesso e tappo laminato color argento.
Aspetto visivo: brillante e scura
Esame olfattivo: odore intenso di nocciola e derivati del latte
Consistenza/spalmabilità: fluida, estremamente spalmabile.
Gusto: la nocciola esaltata dall’aromaticità del cacao, si avverte un leggero retrogusto di caramello, presenti piccoli cristalli che solleticano la lingua
Peso netto: 220 g
Prezzo: 10,50 euro
In breve: la Nutella che vorrei

crema gianduia gobino 4 pane crema spalmabile 2

Voto: 9

Descrizione del produttore: Crema spalmabile alla nocciola “+55”

crema castagna +55 2

L’ingrediente principale della +55 di Guido Castagna è la Nocciola Piemonte IGP, presente al 68%. Dolce e cremosa, è una crema che soddisfa i palati più fini. Prodotto senza glutine, nei formati da 100 e 200 g.

Medaglia d’oro agli International Chocolate Awards dal 2012 al 2016.

crema +55

Ingredienti: Nocciole Piemonte IGP 68%, zucchero, cacao, burro di cacao.

crema castagna +55

Packaging: bruttino, plasticoso, pare un vasetto di crema per il viso (scadente)
Aspetto visivo: colore chiaro, sembra caramello mou
Esame olfattivo: pungente e selvaggio
Consistenza/spalmabilità: molto areata, ricorda il burro montato
Gusto: delizioso di nocciola pura, stemperato da una boccata burrosa potentissima
Peso netto: 100 g
Prezzo: 5,00 euro
In breve: da brividi lungo la schiena

crema spalmabile +55 pane crema spalmabile

Voto: 9,5

Guido Gobino riesce a ad aggiudicarsi 2 round su 3, e per un briciolo di punti.

Ma prima di congedarvi con il più classico degli interrogativi, per chi fate il tifo in pratica, due richieste per i protagonisti del nostro pressure test.

giandujotti castagna 6 pane crema spalmabile 3

A Guido Gobino vorrei dire che: c’è bisogno di una crema spalmabile con più nocciole.

Sperimenta e formula qualcosa che mi difenda dalle brutture della vita, tipo la domenica pomeriggio senza il dolce.

giandujotti gobino castagna 2 crema gianduja gobino

A Guido Castagna vorrei dire che: la +55 è superlativa, il barattolo è finito e vorrei prendere il muro a testate. Ma quella confezione, per il cibo degli dei, sembra l’antirughe del Lidl. Cambiala.

[Crediti | Link: Guido Gobino, Guido Castagna | Immagini: Rossella Neiadin]

Tutte le torte al cioccolato che vale la pena preparare

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Dire “torta al cioccolato” è un po’ come tirare in mezzo la musica senza conoscerne la genealogia.

Rock è il progressive dei Genesis, quello psichedelico dei Jefferson Airplane. E il Kraut dei Tangerine Dream? Lo stoner dei Kyuss?

Rock pure quello.

Eppure, nell’immaginario collettivo dei palati annoiati e tutti uguali, la torta al cioccolato è solo quella mattonellina asciutta, stantìa, e solitamente ricoperta da una ditata di polvere e zucchero a velo.

Dove sono i fondant alla francese, la Foresta Nera, le contaminazioni? Il rock è solo di chi suona la Stratocaster?

Qui una lista, aggiornata e imperdibile, delle ricette al cioccolato testate a approvate da dissapore, più un’insospettabile new-entry.

1. Senza glutine: Torta Caprese

Torta Caprese
In breve: dolce da dispensa, naturalmente privo di glutine e tipico dell’isola di Capri. Si prepara miscelando sapientemente mandorle tritate, cioccolato fondente, zucchero, burro e uova.

Torta Caprese
Livello di difficoltà: facile

Torta Caprese, fetta
La ricetta

2. Vietata ai minori: Torta al cioccolato e birra

ricetta torta alla guinness
In breve: Se è vero che l’alcol evapora col calore, l’aroma della birra scura, vivaddio, resta.

È la torta che accompagna i festeggiamenti di San Patrizio, fondente e profumata, con una soffice glassatura al formaggio cremoso e panna, a simulare la spuma che sigilla i boccali.

torta guinness ricetta
Livello di difficoltà: medio

torta guinness fetta
La ricetta

3. Evergreen: Torta Sacher

Torta Sacher
In breve: Dolce leggendario protetto da copyright, la ricetta originale langue in chissà quale cassaforte dell’omonimo Hotel.

Biscotto al cacao farcito con confettura di albicocche, nappato e ricoperto da una sottile glassa al cacao, solitamente servito con uno spuntoncino di panna montata.

Torta Sacher, il cioccolato
Livello di difficoltà: medio

Torta Sacher
La ricetta

4. Proposta indecente: Torta al cioccolato e caramello mou salato

torta-cioccolato-knam-5
In breve: è la torta al cioccolato più laida mai sperimentata: un guscio al cacao ripieno di caramello salato e innaffiato di ganache fondente e brillante.

Ho sentito gente mugolare dopo averla addentata.

torta-giulio-knam-7
Livello di difficoltà: medio

torta-cioccolato-caramello-knam
La ricetta

5. La parte croccante: Crostata al cioccolato di Ernst Knam

crostata, pastafrolla
In breve: per chi detesta le torte farcite col mastice e rifugge i dolci che sanno di asciugamano.

La frolla al cacao ripiena di cioccolato e crema pasticciera è patrimonio Unesco

torta, cioccolato, crostata
Livello di difficoltà: facile

crostata, cioccolato, ernst knam
La ricetta

6. Senza burro, latte, uova : Torta al cioccolato vegan

torta-cioccolato-vegan-ricetta-2
Guardate questo dolce.

torta-vegan-cioccolato
Guardatelo bene.

torta-cioccolato-vegan-ricetta

E’ la torta al cioccolato dei “senza”, al suo interno non vi è traccia di burro e uova.

torta vegana cioccolato

Come fa un dolce senza dolce ad essere così sexy, misterioso ed invitante, e non rassomigliare neanche lontanamente ad un disco di compost pressato?

Chiedetelo a Nigella Lawson, nostra signora dell’abbondanza e dei twin set, che ha inserito questa torta nel volume “Simply Nigella”, il suo ultimo ricettario.

torta cioccolato vegana

Ps. Se non vi fidate della sottoscritta, che ha pesato con amore tutte le dosi riportate in cucchiai e cucchiaini, trovate qui la videoricetta targata BBC.

Torta al cioccolato vegan

dose per una teglia da 20 cm

Per la torta:

ingredienti-torta-cioccolato
225 g di farina 00
1 cucchiaino e ½ di bicarbonato di soda (8 g)
½ cucchiaino di sale fino (3 g)
1 cucchiaino e ½ di caffè solubile (3 g)
75 g di cacao amaro
300 g di zucchero di canna grezzo
375 ml di acqua bollente
75 g di olio di cocco (o 90 ml se fuso)
1 cucchiaino e ½ di acetto di vino bianco o di mele (7,5 ml)

Per la glassa al cioccolato:

ingredienti-glassa-cioccolato-vegan
60 ml di acqua fredda
75 g di burro di cocco (o burro vegetale/margarina/crema di mandorle/tahina)
50 g di zucchero di canna grezzo
1 cucchiaino e ½ di caffè solubile (3 g)
1 cucchiaio e ½ di cacao amaro (15 g)
150 g di cioccolato fondente al 70% tritato finemente

Per guarnire (opzionali):

torta-vegan-cioccolato-ricetta
1 cucchiaio di petali di rosa disidratati
1 cucchiaio di pistacchi tritati

Inizio preriscaldando il forno a 180° (modalità statica) e nell’attesa fodero lo stampo da 20 cm con carta forno, rivestendo il fondo e le pareti della teglia.

Per il circolo perfezionisti anonimi: date un’occhiata al nostro video dimostrativo e acquisite la tecnica.

La glassa

glassa-cioccolato

Verso l’acqua fredda, il cacao, il caffè solubile, il burro di cacao* e lo zucchero di canna in un pentolino, porto tutto a bollore rimestando con una frusta.

Quando il composto comincia a borbottare e gli ingredienti sono completamente dissolti allontano dal fuoco e aggiungo il cioccolato fondente tritato finemente. Lavoro con la frusta fino ad ottenere una glassa liscia e lucida, metto da parte e lascio raffreddare.

cioccolato-tritato

*il burro di cacao renderà la glassa un po’ più spessa e densa.

La torta

Due terrine di fronte a me.

Nella prima verso la farina setacciata con il cacao, il bicarbonato, il sale ed il caffè solubile. Miscelo le polveri con una forchetta per eliminare i grumi.

Nella seconda scodella mescolo lo zucchero di canna, l’aceto di vino bianco e l’olio di cocco con l’acqua bollente, lavoro il composto con una spatola fino a disintegrare i blocchi di olio di cocco galleggianti.

Unisco il mix di polveri agli ingredienti liquidi, giro velocemente per amalgamare il tutto e verso l’impasto nello stampo.

Cuocio in forno a 180° e trascorsi 35 minuti controllo la cottura con uno stecchino, come da ricetta.

Niente, la torta è ancora umida, paziento e lascio cuocere per 45 minuti in tutto.

torta-cioccolato

Lascio raffreddare nello stampo e capovolgo su un’alzatina.

Ricopro la torta con la glassa al cioccolato aiutandomi con una spatola, decoro i bordi con poco zucchero dorato (potete guarnire la superficie del dolce con frutta fresca/secca e tritata).

torta-cioccolato-ricetta

torta-ricetta-cioccolato

Attendo 30 estenuanti ed interminabili minuti, ritaglio una fetta generosa e mi preparo all’assaggio.

torta cioccolato vegan fetta

Il profumo di cacao e caffè è euforizzante, la mollica è umida, “fudgy” direbbero gli inglesi, il sapore (eccezionale) è di quelli che non ti aspetti da un dolce censurato e assemblato per sottrazione.

torta-cioccolato-vegan-macro torta-cioccolato-vegan-fetta

Il mio compito pare terminato, per ora.

Dimentico qualcosa? Suggerimenti per le prossime ricette a base di cioccolato?

Sciogliete le falangi e sotto coi commenti, rispondo anche a ore pasti.

Raindrop Cake? Fatta! La ricetta perfetta

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La gente fa cose stupide, io faccio cose stupide, continuamente.

Pagare il biglietto del cinema per vedere Titanic venti volte di seguito, comprare Playboy per leggere gli articoli, fare la fila e sborsare otto fruscianti dollari per mangiare una palla di gelatina condita che sembra una protesi mammaria.

Succede a New York, dove sennò.

E sto parlando di una torta (!?) che conoscete bene: l’ormai famosa Raindrop Cake.

raindrop cake

8 dollari, 7,05 euro.

Su Amazon.com ci comprate un pulsante per le stronzate (“That was bullshit!”), un oggettino appropriato per la ricetta perfetta di oggi.

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Hai rifatto la “torta” di cui parlano tutti? E il Cronut? Vuoi dire che esiste un dolce più inutile del macaron?

Queste e altre risposte all’interno del post.

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Prequel

Come sospettavo, la ricetta della Mizu shingen mochi è vecchia come il cucco, c’è gente messa peggio degli hipster di Brooklyn che la fa con i glitter e la chiama “Unicorn Tear” (lacrima di unicorno).

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Trattasi di un trademark della Kinseiken Seka Company, situata nella città di Hokuto, prefettura giapponese di Yamanashi.

E la notizia non è che Darren Wong, spacciatore di protesi col baracchino allo Smorgasburg, abbia fatto la scoperta dell’acqua rassodata, la notizia è che Hokuto esiste davvero.

Tentativo n°1

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Dosi:
500 ml di acqua
15 g di agar agar
12 g di zucchero semolato

Fonte: Hey! It’s Mosogourmet!! (!!!!!!!!)

Acqua ce l’abbiamo, agar agar (gelificante di origine vegetale) comprato, ho trovato pure kuromitsu (melassa giapponese) e kinako (farina di soia tostata).

In cima alla playlist di Youtube, il video tutorial di Mosogourmet datato 29 Agosto 2014.

La faccenda pare semplice: basta fare un mix di zucchero semolato e agar agar, versare poca acqua alla volta e sciogliere il tutto nervosamente, facendo molto rumore.

Un salto sul fornello, lasciar sobbollire per qualche minuto, colare negli stampi e far rassodare in frigorifero per qualche ora.

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Aspettative: una palla tremula e trasparente, uguale e spiccicata a quella di Darren Wong.

Realtà: due semisfere di poliuretano espanso, opache e deturpate da una gragnuolata di microscopici crateri.

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È evidente, Mosogourmet ha fumato ghiandole di pesce palla.

Mai preparata una porcheria simile prima d’ora, è il primo cibo della mia vita che rassomiglia ad un materiale edile.

mosogourmet-raindropcake

Decido di riprovare, la curiosità è donna, e ti fa fare un sacco di cazzate.

Tentativo n°2

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240 ml di acqua minerale
2 g e ½ di agar agar
1 pizzico di zucchero

Fonte: Medium

Occhei Rossella, prendi e porta a casa, tu sai fare la Torta delle 4 città, ricordi?

Decido di lesinare col gelificante, le bocce prostatiche di prima mi hanno traumatizzata.

tentativi-raindrop-cake

Stessa procedura, rapporto agar/acqua differente, medesimo risultato.

Due sferette gommose, più morbide di quelle appena gettate nel bidone dell’umido, ma egualmente ripugnanti.

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Tentativo n°3

preparazione-raindrop-cake

160 ml di acqua
0,2 g di agar agar
un pizzico di zucchero semolato

Fonte: Krist Yu

Da un eccesso all’altro, dal quartetto d’archi al reggaeton.

Prima di sfoderare il bilancino da precisione, decido di comprare in farmacia un altro barattolo di agar agar, il terzo della serie.

agar-agar

agar-agar-caratteristiche

Agargelosio, gelosina, ittiocolla vegetale, gelatina cinese o giapponese, per gli amici E 406.

Osservando i filmati dei colleghi giappo, tipo questo, ho notato che la polvere utilizzata in ricetta è visibilmente più chiara, di un bianco puro.

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Ho pensato che l’agar utilizzato in laboratorio fosse quello giusto.

Sbagliato.

Eseguo la procedura a memoria, miscela a freddo e poi fornello, la soluzione è comunque opaca e lattiginosa.

Risultato: gelatina troppo molle. Capovolgo lo stampo in silicone e le semisfere si trasformano in un blob informe.

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Infierisco sul piattino come farebbe Godzilla sui grattacieli di Tokyo.

Come si dice “fottiti” in giapponese?

Tentativo n°4

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450 ml di acqua
1 g di agar agar
1 g di zucchero semolato

Fonte: emmymadeinjapan

Giuro che questo è l’ultimo, lo giuro sulla Saint Honoré.

La videoricetta inizia con i fallimenti di Emmy, anche lei vittima dell’internet truffaldino e di quell’infame di Mosogourmet.

Scatta la solidarietà, la ragazza sembra a posto: mi faccio coraggio e riprendo bilancia e provette.

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Risultato: Ta-daaaaaan! È lei, la tetta gelatinosa più famosa del web, Brazzers a parte.

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Siamo ancora lontani dalla trasparenza della goccia originale, per ottenerla avete bisogno di una tipologia di agar differente, ma la consistenza sembra perfetta (allego gif animata per gli scettici).

L’assaggio

Va bene esaltarsi con poco, “Guarda come rimbalza!”, ma tra un gridolino di gioia e l’altro andrebbe pure assaggiata.

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Per completare il dolce (non ridete) adagio un cucchiaio di farina di soia e tostata e un cucchiaio di sciroppo nero ai lati della goccia.

raindrop-cake-kinako raindrop-cake-sciroppo

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Esame olfattivo: puzza di biscotti per cani

Consistenza: bizzarra, come acqua imprigionata in una membrana croccante. Uno spasso tenerla tra le mani, proprio come una tetta vera.

Sapore: POCO. Rinfrescante, questo sì, la farina di soia ha un retrogusto di arachide tostato, lo sciroppo è l’unico ingrediente che salverei dei tre.

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E’ un po’ come masticare una gelée di frutta, solo più umida.

Forse sostituendo l’acqua con un altro liquido (tè, caffè, succo di frutta) potremmo dare un senso alla prima supercazzola della pasticceria.

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Esperimento terminato, la mia Raindrop cake comincia a sciogliersi lentamente, e quasi mi sembra di sentire una voce provenire dallo schermo: ma una bella torta della nonna, no?

[Crediti| Link: Youtube, Raindrop Cake, Amazon | Immagini: Rossella Neiadin]

Bombamisù, tiramisù da passeggio: la ricetta perfetta

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Si può dire Bombamisù in pubblico? O è una di quelle cose da bisbigliare piano, tappando le orecchie ai bambini?

Tranquilli, il BDSM non c’entra nulla, anche se  il tiramisù da passeggio dello chef Niko Romito, Ristorante Reale a Castel di Sangro, meriterebbe una categoria apposita su Youporn.

Una bomba di piacere cotta al forno, che a friggerla pareva brutto, intinta nel caffè e ripiena di crema di mascarpone, panna, e tonnellate di cacao a pioggia.

La polvere da sparo avrebbe fatto meno vittime.

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Sì, Niko li ha stesi tutti con questa ricetta, la trovate nel volume “Tiramisù. Storia, curiosità, interpretazioni del dolce italiano più amato”, scritto dai critici gastronomici Clara e Gigi Padovani, insieme alle rivisitazioni di Albert Adrià, Lidia Bastianich, Enrico Cerea, Mauro Colagreco, Enrico Crippa, Gualtiero Marchesi, Davide Oldani, Giancarlo Perbellini.

Se le torte glassate a specchio sono la noia assoluta (le fa pure il pasticciere sotto casa mia), col dolcetto rotondo è stato amore fin da subito.

Succede sempre così quando mi approccio a ricette nuove, ricette che nessuno ha avuto il tempo di replicare, scruto la lista ingredienti con inquietudine e mi sento come Neo che decifra Matrix.

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Numerini verdi luminescenti e poi, boom, ecco dove l’ho già vista.

Unforkatable (la video-enciclopedia delle ricette di Romito).

Io quell’impasto l’ho provato e apprezzato (vi piazzo le dosi qui) , tanto vale sperimentare la versione bombarola.

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Ennò, aspetta, qui non c’è la grammatura delle uova.

Ma come, Niko? Mi pesi anche il sale e ti dimentichi delle uova?

Dopo tutte quelle notti passate a letto, io sull’Ipad e tu con le mani a ravanare cibo sulla musica chill-out, dopo tutti quei “Proviamoci inzième” mi ripaghi così?

Un uovo intero può pesare dai 63 grammi ai 73, fare un macello in cucina è un attimo, in più quella dose d’acqua mi pare troppa.

Metto da parte la presunzione e recupero gli ingredienti, tu sei uno chef da tre stelle Michelin, e io non riesco a vincere premi manco con la scheda a punti del supermercato.

ingredienti-bombamisu

Per l’impasto delle bombe

Farina W250 g 400
Burro g 60
Zucchero g 60
Uova 2
Acqua ml 160
Lievito di birra g 10
Sale g 6

mascarpone

Per la crema tiramisù

Mascarpone g 360
Panna fresca g 300
Tuorli 5
Zucchero g 150
Acqua g 50

Per la bagna

Caffè lungo 5 tazzine
Per la finitura
Cacao amaro in polvere

Inizio sciogliendo il lievito nella dose d’acqua, faccio un vortice con la forchetta e metto da parte il liquido torbidino .

Disobbedisco e no, non impasto a mano. Protendo le braccia verso l’adorata planetaria e monto il gancio. Clack.
Verso nella ciotola la farina setacciata, lo zucchero, il burro a pezzetti e il miscuglio di acqua e lievito.

Avvio la macchina a velocità molto bassa, attendo che la farina assorba i liquidi e aggiungo le uova a filo (pesano 115g), poco per volta.

Lascio incordare per 15 minuti circa, e una volta ottenuto un impasto liscio ed elastico, termino la procedura inserendo il sale. Lascio assorbire per qualche secondo e spengo l’arnese.

A questo punto la ricetta enuncia: “formate una palla”.

impasto-bomba

Formacela tu, una palla, col Saratoga.

Copro la pasta con un panno e lascio lievitare fino al raddoppio del suo volume, di solito questo passaggio aggiusta tutto.

Nel frattempo mi dedico alla preparazione della base tiramisù, pâte à bombe per le genti francesi, quella manovra che dovrebbe eliminare il rischio di salmonellosi.

Quante paranoie, mi direte voi.

E il leggendario beverone di Rocky, fatto di sole uova crude? Stallone ne ha ingollate 5 di fila, intere, e alle 4 del mattino.
Quante volte avranno girato quella scena? Perché non è ancora morto? Non è invecchiato benissimo, diciamolo, ma forse lì le uova non c’entrano.

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Arraffo un pentolino dal fondo spesso, verso la dose d’acqua indicata in ricetta e lo zucchero, giro con un cucchiaio.

Sposto sul fornello e attendo che lo sciroppo raggiunga i canonici 121°, a parte faccio schiumare leggermente i tuorli lavorandoli con la frusta elettrica.

Faccio un check con il termometro, lo sciroppo è pronto, metto in moto la macchina e verso il magma incandescente a filo nei tuorli, sul bordo della ciotola.

Sul bordo, ripeto tra me e me, non sulle fruste, sennò al pronto soccorso ci finisco lo stesso, e non per il mal di pancia.

Lascio montare fino a completo raffreddamento, copro con la pellicola e sbatto nel frigorifero.

Riprendo il fagotto appiccicoso, capovolgo sul tagliere leggermente infarinato e divido in pezzi da 65 grammi.

Formo delle palline rollando con il palmo della mano, la pasta mi si attacca alle falangi come un alien.

Vengono fuori dalla fottute pareti”, mi verrebbe da dire, cerco di tenere a bada la pasta infarinando leggermente le dita.

bomba al forno

Dispongo le palline su una teglia rivestita di carta forno, distanziandole di 4cm circa, metto tutto sotto coperta e lascio lievitare fino all’aumento dei 2/3 del volume.

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Preriscaldo il forno a 170°, modalità statica, cuocio le bombe per 30 minuti e me ne pento.

Forse 25 minuti (nel mio forno eh) erano più che sufficienti, la crosta si è seccata un po’.

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Lascio raffreddare.

Mescolo la base tiramisù con il mascarpone, e una volta ottenuta una crema liscia ed omogenea, unisco la panna fresca montata a lucido (semi-montata in pratica), lavorando il composto dal basso verso l’alto.

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Taglio le bombe a metà, inzuppo l’interno con caffè amaro e freddo, farcisco con due cucchiate di crema tiramisù.

Prima della spolverata di cacao finale, rimango come incantata da quella crema che cola dai lati.

Sempre di più, e più velocemente.

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Brandisco la brioche prima che si smonti, do un morso assestato e il ripieno finisce pure sul soffitto.

Ho una macchia di crema sulla maglietta, credo di aver inalato del cacao e sono molto, molto felice.

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Perplessità

Partiamo dall’impasto: troppo molle, lavorarlo è veramente difficile.

Vi consiglio di ridurre il quantitativo di acqua e uova, e di seguire la ricetta della pasta krapfen di Romito pubblicata qui, su Unforketable (sostituite il latte con l’acqua).

Anche la crema pecca in consistenza, forse più adatta ad un tiramisù a bicchiere.

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Meraviglioso mangiare il cibo con le mani, i dolci poi, ma con questa crema che cola a fiotti sulle dita diventa un’operazione complicata, pure per i golosi scostumati come me.

Mi faccio piccola piccola e vi suggerisco di aggiungere alla base tiramisù 8-10g di gelatina in fogli. Riscaldatene metà, sciogliete all’interno la gelatina ammollata in acqua e strizzata, mescolatela con il resto.

Fate raffreddare pazientemente e procedete come da ricetta.

crematiramisu

Conclusioni

Incidenti a parte, il bombamisù è quel dolce godurioso che mi aspettavo.

La “brioche” è leggera e poco zuccherata, perfetta per un ripieno così ricco e dolce, e l’amaro del caffè e del cacao a fare da contrappeso.
In una parola sola: equilibrio. Tutt’altro che scontato in pasticceria, solo quelli bravi ci riescono.

Allora, chi ci prova? Sono io l’incapace, probabile assai, o è la ricetta ad essere sbagliata?

Mentre riflettete sul da farsi, io continuo a farmi di Bombamisù.

Crema pasticciera di Ernst Knam: io contro il Bimby

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Ovunque è Thermomix, peggiore traduzione di sempre dopo “Se mi lasci ti cancello”, film cult con Kate Winslet e Jim Carrey.

Sarà per il nome miserabile, ma il Bimby l’ho sempre snobbato.

Oppure è colpa del purè di mia zia, “Senti che buono questo mastice”, del fatto di dover cucinare alla cieca, con quelle lame sempre in mezzo, e poi a che prezzo, mortacci.

Non mi fraintendete eh, sono contro il luddismo di certi cuochi e posseggo nell’ordine: una planetaria rosso fiammante, un essicatore imponente, una gelatiera a compressore, un cutter da film horror, un minipimer d’acciaio, ho pure l’estrattore di succhi. Il sogno resta l’abbattitore.

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Ma di Bimby manco a parlarne, non me lo sono mai filato.

Fino a ieri almeno.

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Il successo misterioso e inarrestabile di questo elettrodomestico mi ha dato da pensare, di fanboy ne è pieno il mondo. Anche gli chef stellati ne hanno uno in cucina, e mica so’ scemi quelli, con tutto il rispetto per mia zia.

Decido di provarlo.

Ma seriamente però, con ingredienti e cronometro alla mano, che a leggere una scheda tecnica basta la scuola dell’obbligo, le chiacchiere si fanno al bar e io bevo troppo caffè.

Uomini contro macchine

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ll Bimby va forte con le salse, dalla maionese tanto decantata alla besciamella per le lasagne. In uno slancio di inaspettata bontà d’animo, sedata la belva ipercritica  che alberga dentro me, decido di testare il giocattolo preso in prestito con una preparazione semplice: la crema pasticciera.

Ma prima di brandire l’arnese e procedere col test dimostrativo, breve parentesi accademica su questo classico della pasticceria. Aria sulla quarta corda – premere play.

Come deve essere

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Aspetto: superficie liscia, lucida, colore giallo uovo
Consistenza: struttura uniforme, cremosa e priva di grumi, non deve cedere liquidi
Gusto: sapore leggero di vaniglia, aroma chiaramente distinguibile, non oppone resistenza al palato e non è farinosa

Problemi comuni

Crema bruciata sul fondo del tegame:
accade quando manca il pastorizzatore (chi non ha un pastorizzatore) e si cuoce la crema a fuco diretto.

Cause: fiamma troppo violenta, azione manuale (con la frusta) insufficiente o tegame poco adatto (deve essere di acciaio inox con triplo fondo)

Formazione di grumi:
avviene quando, durante l’aggiunta degli amidi, non si batte a dovere il composto, oppure quando la crema cotta viene lasciata scoperta e ferma durante il raffreddamento. In quel caso si forma in superficie una patina spessa, impossibile da riamalgamare.

Perdita di consistenza e formazione di liquido:
succede quando la crema non è stata cotta abbastanza e gli amidi non ha avuto il tempo di agglutinarsi (di legare insomma). Contrariamente, una cottura troppo lunga ne riduce la capacità legante.

Sensazione di farinosità sul palato:
è il segnale che la cottura della crema è insufficiente, e si verifica quando si usa esclusivamente farina.

Okay, il ripassino l’abbiamo fatto, quando arriva il momento in cui l’autrice fa a mazzate col Bimby?

La ricetta di Ernst Knam

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“Crema vulcanica”, il pasticciere teutonico la definisce così. Procedura identica a quella di scuola Montersiniana, descritta in questo recente post, che consiste nel versare la mescola di tuorli, zucchero e amidi sul latte in ebollizione. Funziona alla grande, ci si impiega un attimo ed il risultato finale è notevole.

Dunque, ho adattato la ricetta di Knam all’arnese compatriota, senza modificare ingredienti e dosi, ma attenendomi con rigore alle istruzioni di casa Vorwerk. Scarto a priori l’ipotesi contraria, mi ribello alla dittatura del ricettario rilegato in verde e seguo passo passo la sequenza di bottoni e temperature.

Io e il Bimby ce la giochiamo ad armi pari.

Ingredienti

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500 ml di latte intero
½ bacca di vaniglia Bourbon
120 g di tuorli (circa 6)
85 g di zucchero
30 g di amido di mais
10 g di farina di riso extrafine*

*solitamente la sostituisco con l’amido di riso

Fatto col Bimby

Modello TM31, costato quasi 1000 cucuzze, 4 anni di servizio, corpo d’acciaio Made in Germany. Oggi sostituito dal TM5, 1189 euro di upgrade touchscreen, un boccale più capiente e qualche peggioramento.

Plus: funziona anche da bilancia digitale.

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Procedo con ordine: polpa della vaniglia nel boccale, premo sulla bilancina stilizzata, verso lo zucchero semolato, sigillo col coperchio e regolo il timer: 10 secondi a Velocità Turbo.

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Dopo qualche istante lo zucchero viene sparato contro il tappo, il rumore è infernale, il boccale comincia a fumare come una capanna Sioux.

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E’ il segnale di fumo del Bimby, mi fa capire che lo zucchero è talmente fine da infiltrarsi tra misurino e foro, alla ricerca  della libertà.

Farà male inalare ‘sta roba?

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Certo che per 1000 euro una valvolina o una guarnizione potevate mettercela, cari tirchioni della Forwerk.

Sniffato lo zucchero a velo, è il momento della svolta. Aggiungo i tuorli d’uovo, l’amido di mais, la farina di riso ed il latte. Smanetto con la manopolina del timer: 7 minuti, velocità 4, 90°.

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Basta, finito, non devo fare altro.

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Avvio l’aggeggio e osservo le lucine del termostato illuminarsi come in un’astronave, sento uno strano swoosh che con il trascorrere dei minuti si trasforma in un sinistro cick ciack.

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Ad un tratto il silenzio.

Oddio, cosa sarà successo lì dentro, fatemi passare.

Il segnale acustico, brutto come il clacson della Fiat Panda, mi avverte che la crema è pronta.

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Sollevo il coperchio, gocciola del latte evaporato e successivamente condensato, la zaffata di uova è potente ma passeggera.

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Verso in una ciotola pulita e copro con pellicola a contatto.

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Risultato finale: crema liscia e spessa, perfettamente addensata e lucida. La cottura graduale ha gelificato gli amidi alla perfezione.

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Tempo impiegato: 7′ 10” netti
Stato d’animo: inquietudine mutata in sincero stupore
Fattore disordine: ho 4 pezzi da lavare, boccale, lame, coperchio e misurino.

Nonostante il nome da scemo, questo Bimby ha davvero carattere.

Fatto a mano

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Rossella, caucasica, fresca trentenne, abbastanza abile nel confezionamento di dolci, vale tanto oro quanto pesa (molto).

Che sono capace a far la crema pasticciera l’avete visto più volte, qui trovate il video dimostrativo di una tecnica altrettanto rapida ed efficace. Il super-coso rotante non mi fa paura.

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Prima di passara alla crema, trucchetto vecchio come il cucco per separare in un lampo i tuorli dagli albumi: rompete tutte le uova in una terrina e pescate con le dita i tuorli, delicatamente.

separare tuorli

Verso il latte in un pentolino d’acciaio con fondo spesso, immergo il baccello di vaniglia privato della polpa e lascio scaldare sul fuoco.

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Nel frattempo mescolo i tuorli con i semi della bacca e lo zucchero, il composto non va montato, impiego pochi secondi per farlo disciogliere completamente.

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Aggiungo l’amido di mais e la farina setacciati, amalgamo con la frusta.

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Tempo impiegato per terminare questa fase: 1 minuto. Alla faccia di quello là.

Quando il latte è caldo, sollevo il baccello di vaniglia e verso la mescola di tuorli, senza girare.
Il composto si espande e forma una specie di tappo, la faccenda accelera il processo di ebollizione del latte sottostante.

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Cominciano a spiccare le prime bolle, la massa comincia a salire pian piano, a separarsi, è il momento di spegnere il fuoco e girare energicamente con una frusta per almeno 30/40 secondi.

Easy, la crema è pronta.

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Verso il tutto in un nuovo contenitore pulito, continuo a mescolare per portare la temperatura sotto i 50°. Meglio sarebbe far raffreddare il composto in un bagnomaria di acqua e ghiaccio, rende la crema lucida ed evita la formazione dell’insopportabile pellicina.

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Risultato finale: crema priva di grumi, vellutata e densa
Tempo impiegato: 6′ 33”

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Stato d’animo: sollevata e soddisfatta, il timore di attaccare tutto sul fondo è sempre dietro l’angolo
Fattore disordine: Ho sporcato 2 fruste, 1 pentolino, 2 ciotole, 2 contenitori per le pesate.

Comparazione

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La crema Bimby (A)

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Colore: giallo carico, da attribuire ai tuorli. Nonostante abbia utilizzato uova dello stesso brand, la variazione cromatica tra i due preparati è netta (dato ininfluente)
Odore: speziato di vaniglia, debole quello delle uova
Consistenza: quasi gelatinosa, molto soda
Sapore: equilibrato, zuccheri contenuti e buon sapore di vaniglia

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La crema fatta a mano (B)

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Colore: giallo tenue, ma non ci importa granché.
Odore: l’uovo è una punta più arrogante, ma il sentore predominante è quello magico della vaniglia
Consistenza: liscia e cremosa, perfettamente amalgamata, più fluida della sorella meccanica.
Sapore: praticamente identico, si distingue appena.

Conclusioni

Non si è trattata di una gara a tempo, col minutaggio siamo lì, ma con il Bimby le probabilità di combinare un disastro sono pari allo zero.
Affidabilità che solo le macchine ed il tuo cane possono darti.

Ecco, la riuscita praticamente assicurata fa davvero la differenza, di lavare un paio di cianfrusaglie in più non m’importa, né mi pesa dare due giri di frusta in un tegamino.

Insomma, il tritaghiaccio costoso ha avuto la meglio, 1 a 0 per lui. Ma questo successo, seppur inaspettato, non basta a giustificarne il prezzo proibitivo.

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Piaciuto il crash test? A me sì, soprattutto per la doppia razione di crema (è per lavoro!) che mi accingo a divorare.

Affondo il cucchiaino nella prima tazzina, un biscottino d’accompagnamento non sarebbe male, e confabulo su un ipotetico match tra elettrodomestici.

Chissà come se la cava l’aggeggio con i lievitati…

Massimo Bottura: il migliore del mondo per la 50 Best Restaurants

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L‘Osteria Francescana di Modena è il ristorante migliore del mondo. Ieri sera a New York un’edizione della 50 Best Restaurants che ricorderemo per anni ha assegnato a Massimo Bottura il riconoscimento inseguito a lungo e finora solo sfiorato.

Una scalata finalmente completata che ha permesso al ristorante italiano di passare dal secondo posto del 2015 al primato di quest’anno tra i 50 ristoranti migliori del mondo.

Il risultato, unito alle tre stelle assegnate a Massimo Bottura dalla Guida Michelin nel 2011 e al primato in buona parte delle guide internazionali, segna il punto più alto di una corsa che sembra inarrestabile.

Sul secondo gradino del podio i fratelli de El Celler de Can Roca, trionfatori della precedente edizione, seguiti dall’Eleven Madison Park di Will Guidara e Daniel Humm, a New York.

La scheda ufficiale pubblicata sul sito della 50 Best Restaurants

Il Miglior Restaurante del mondo? Sì, una giuria di circa 1.000 esperti internazionali ha deciso così. Dopo due anni in seconda posizione, il ristorante di Massimo Bottura compie il balzo che da una piccola strada del centro di Modena lo porta ad aggiudicarsi la corona mondiale, riflettendo la crescente creatività dello chef, la sua immensa abilità, la passione non offuscata e la determinazione feroce nello sfidare la sorte.

Quali erano i suoi ostacoli? La tradizione italiana.

Il 53enne cuoco-proprietario, che ha celebrato il 20 ° anniversario dell’Osteria Francescana nel 2015, ha giocato a lungo con gli standard culinari italiani – reinventandoli, sovvertendoli e migliorandoli . Ma in un paese in cui la cultura del cibo è profondamente conservatrice  è un percorso audace e talvolta controverso da prendere. Bottura non solo ha raccolto consensi a livello mondiale, ma anche conquistato la critica gastronomica della propria nazione.

Cosa ci si può aspettare: insolito per un ristorante di questo livello, l’Osteria Francescana offre anche un menu alla carta accanto a due diversi menu degustazione. Tra questi, Sensazione è quello stagionale e progressivo, il capolavoro che cambia sempre; Tradizione in evoluzione somiglia a un greatest hits che celebra l’Emilia Romagna e Modena, i luoghi in cui lo chef è nato.

Alcuni piatti forti: Il famoso Cinque stagionature di Parmigiano Reggiano sviscera il formaggio attraverso la temperatura, la consistenza e, ovviamente, il gusto. Al contrario, Autumn in New York riflette il carattere internazionale dello chef oltre che le sue influenze (sua moglie Lara è americana).

Le verdure autunnali sotto forma di conserve e sottaceti sono unite a un brodo minerale insieme a funghi secchi e concrentrato di zucca, con risultati spettacolari.

La sala: Le creazioni di Bottura sono fortemente influenzate dall’arte e dalla musica (in particolare, la musica jazz), e le tre sale che formano il ristorante sono decorate con pezzi di arte contemporanea di grande valore. Questo offre un contesto lussuoso, ma comunque studiato per gli avventori contemporanei.

Cos’altro?: l’effervescente Bottura ha fondato il progetto no-profit Food for Soul all’inizio del 2016, il suo modo di combattere la fame nel mondo e lo spreco alimentare.

Al momento della premiazione, lo chef si congeda con una omelìa familiare per chi conosce i suoi celebri speech.

Il lavoro è dura fatica, ogni giorno in cucina. L’ingrediente più importante per il futuro è la cultura. La cultura porta conoscenza e la conoscenza porta coscienza. La coscienza porta senso di responsabilità.

Tra un paio di mesi vi aspetto tutti a lavorare a Rio de Janeiro nelle favelas.

Senza l’osteria, Davide, Beppe, e tutto il team, non ce l’avremmo potuta fare.”

50-Best-Restaurants-2016-Massimo-Bottura

La lista completa dei vincitori:

1. Osteria Francescana, Modena (Italia) – WORLD’S BEST RESTAURANT AND BEST RESTAURANT IN EUROPE (+1)

2. El Celler de Can Roca, Girona (Spagna) (-1)

3. Eleven Madison Park, New York (USA) – BEST RESTAURANT IN NORTH AMERICA

4. Central, Lima (Peru) – BEST RESTAURANT IN SOUTH AMERICA (+2)

5. Noma, Copenhagen (Danimarca) (-2)

6. Mirazur, Menton (Francia) (+5)

7. Mugaritz, San Sebastian (Spagna) (-1)

8. Narisawa, Tokyo (Giappone) – BEST RESTAURANT IN ASIA

9. Steirereck, Vienna (Austria) (+6)

10. Asador Etxebarri, Atxondo (Spagna) (+3)

11. D.O.M. , Sao Paulo (Brasile) (-2)

12. Quintonil, Città del Messico (Messico) (+23)

13. Maido, Lima (Peru) – HIGHEST CLIMBER AWARD (+33)

14. The Ledbury, London (UK) (+6)

15. Alinea, Chicago (USA) (+11)

16. Azurmendi, Larrabetzu (Spagna) (+3)

17. Piazza Duomo, Alba (Italia) (+10)

18. White Rabbit, Mosca (Russia) (+5)

19. Arpège, Paris (Francia) (-7)

20. Amber, Hong Kong (Hong Kong) (+18)

21. Arzak, San Sebastian (Spagna) (+4)

22. The Test Kitchen, Cape Town (Sud Africa) – BEST RESTAURANT IN AFRICA (+6)

23. Gaggan, Bangkok (Thailandia) (-13)

24. Le Bernardin, New York (USA) (-6)

25. Pujol, Città del Messico (Messico) (-9)

26. The Clove Club, London (Regno Unito) – NEW ENTRY più votata

27. Saison, San Francisco (USA) (+29)

28. Geranium, Copenhagen (Danimarca) (+23)

29. Tickets, Barcellona (Spagna) (+13)

30. Astrid Y Gastón, Lima (Peru) (-16)

31. Nihonryori RyuGin, Tokyo (Giappone) (-2)

32. Restaurant André, Singapore (Singapore) (+14)

33. Attica, Melbourne (Australia) – BEST RESTAURANT IN AUSTRALASIA (-1)

34. Restaurant Tim Raue, Berlin (Germania) – NEW ENTRY

35. Vendôme, Bergisch Gladbach (Germania) (-5)

36. Boragò, Santiago (Cile) (+6)

37. Nahm, Bangkok (Thailandia) (-15)

38. De Librije, Zwolle (Olanda) (+33)

39. Le Calandre, Rubano (Italia) (-5)

40. Relae, Copenhagen (Danimarca) – SUSTAINABLE RESTAURANT AWARD (+5)

41. Fäviken, Järpen (Svezia) (-16)

42. Ultraviolet, Shanghai (Cina) (-18)

43. Biko, Città del Messico (Messico) (-6)

44. Estela, New York (USA) – NEW ENTRY

45. Dinner by Heston Blumenthal, London (Regno Unito) (-38)

46. Combal.Zero, Rivoli (Italia) (+19)

47. Schloss Schauenstein, Fürstenau (Svizzera) (+1)

48. Blue Hill at Stone Barns, Tarrytown (USA) (+1)

49. Quique Dacosta, Denia (Spagna) (-10)

50. Septime, Paris (Francia) (+7)

[Crediti: Link e immagini: 50 Best Restaurants]

Non chiamatelo Pata Negra: guida al prosciutto più caro del mondo

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Duecentocinquanta euro al kg, che moltiplicati per 8 fanno 2.000 cucuzze. È questo il prezzo di uno Jamon Pata Negra Albarragena, l’ex prosciutto spagnolo più caro al mondo, appena superato dall’andaluso Dehesa Maladua.

State buoni, non ho finito coi numeri.

La produzione annuale conta solo 100 unità, i 50 maiali selezionati dall’esperto Manuel Maldonado, proprietario della leggendaria azienda situata in Extremadura, grufolano per due anni in un campo compreso tra i 6 e i 10 ettari per unità, cibandosi esclusivamente di ghiande di leccio, sughero e rovere.

Aggiungete alla conta un affinamento di 48 mesi e avrete una zampa di maiale stagionata che costa quanto uno stipendio.

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Tutti soldi ben spesi, mangiare quel prosciutto è un’esperienza che ti segna, e poi lo sanno tutti che gli spagnoli fanno prosciutti più buoni dei nostri, non c’è Sardo o Cinta che tenga.

Pausa.

A questo punto del post, azzardando con l’insiemistica, vi sarete senz’altro divisi in tre gruppi:

1. Quelli che il prosciutto italiano è superiore, e costa pure di meno
2. Quelli che il Pata Negra lo mangiano a colazione, con una grattatina di tartufo bianco
3. Quelli che il Pata Negra non l’hanno mai assaggiato, e vorrebbero saperne di più

Pata negra: è giusto chiamarlo così?

razze-maiali - jamon iberico - pata negra

Iniziamo dalle basi: il nomignolo “Pata Negra”, letteralmente “unghia nera”, stava a differenziare i prosciutti di porcelli spagnoli con gli zoccoli scuri. Vuol dire tutto e niente, non ha valore semantico dal punto di vista normativo.

Non tutti i maiali iberici hanno l’unghia nera né l’unghia nera è un’esclusività di questa razza, sono altre le caratteristiche che distinguono un prosciutto spagnolo di qualità, e sono tutte racchiuse in un decreto emanato nel 2014 dal Ministero spagnolo dell’Agricoltura.

Questo non è il Vietnam, ci sono delle regole [cit.]

La legge del 2014

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Ci hanno provato in tutti i modi: zoccoli di prosciutti scadenti dipinti di nero, unghie bruciacchiate e un po’ di make-up per far passare prodotti mediocri per merce eccellente e costosa.

A tutelare produttori e consumatori ci pensa un decreto, alleluja, che riconosce solo tre tipi di denominazioni di prosciutto iberico, tutte stabilite in base al tipo di alimentazione dei maiali durante la fase di ingrasso:

Prosciutto Iberico De Cebo, alimentato con mangimi a base di cereali e leguminose
Prosciutto Iberico De Cebo De Campo, allevato a regime semibrado e combinato di mangimi, foraggi e risorse campestri
Prosciutto Iberico De Bellota: durante la Montanera, il periodo che va da ottobre a dicembre, il maiale vive allo stato brado e si ciba esclusivamente di ghiande di leccio, sughero o rovere.

maiale-iberico

Un altro fattore cardine per la classificazione del prosciutto iberico è il grado di purezza della razza, vale a dire la percentuale di geni iberici presenti nel maiale.

Il prosciutto 100% Iberico è quello realizzato macellando animali di pura genetica iberica. Ciò significa che i due progenitori, padre e madre, dovranno essere 100% iberici e figurare nel libro genealogico ufficiale.

Soltanto “Iberico” è invece il prosciutto ricavato da animali con almeno il 50% del loro patrimonio genetico di razza pura. Le madri dovranno essere sempre 100% iberiche, ma i padri potranno essere di razza duroc o incrociati iberico-duroc.

maiale-dehesa

Questa classificazione rimanda al nuovo sistema di individuazione mediante sigilli in plastica e divisi per colore.

Quello bianco indica che il maiale è iberico De Cebo, ma con una percentuale di razza iberica del 50 o del 70%, che deve essere sempre indicata sull’etichetta.

Il sigillo verde viene utilizzato per identificare prosciutti iberici De Cebo De Campo, mentre il rosso indica che l’animale è stato alimentato nei pascoli durante la fase di ingrasso, è di razza iberica (al 50% o 75 %) e si è cibato di sole ghiande.

Il sigillo nero è riservato ai prosciutti migliori, i Pata Negra veri, ricavati da maiali 100% iberici puri e alimentati esclusivamente con ghiande.

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La Dehesa

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È un vocabolo intraducibile, “el bosque humanizado”, così lo chiamano in Spagna.

La Dehesa era un terreno boschivo inadatto alla coltivazione, grazie all’intervento selettivo dell’uomo e alla puntellatura di alberi di quercia, si è trasformata nel pascolo ideale, un Eden dispensatore di frutti zuccherini e saporiti: le ghiande, in spagnolo bellotas.

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Durante il periodo della Montanera, che corrisponde agli ultimi mesi dell’anno, i maiali fanno il pieno di erbe e acido oleico, la stessa sostanza presente nelle olive. Il gusto si insinua lentamente nel grasso degli animali, al punto che gli spagnoli chiamano i maiali iberici “olive con le zampe”.

Il consumo del maiale varia in funzione del suo peso, mediamente si considerano da 6 ai 10 kg al giorno per animale, oltre a circa 3 kg d’erba e erbette aromatiche, come il timo ed il rosmarino.

Produzione e stagionatura

zone produzione - jamon iberico - pata negra
Il “porco di razza Alentejana” è un siluro di grasso su gambe sottili.

La Denominazione di Origine conta 4 regioni: a nord, la Salamanca e la città di Guijuelo, a est la provincia di Huelva e in particolare la città di Jabugo. Valle de Los Pedrochas è denominazione meno conosciuta, il viaggio termina ai confini con l’Andalusìa, nella regione dell‘Extremadura, dove la lavorazione dei prodotti iberici è particolarmente estesa (quasi un milione d’ettari di dehesa per 1500 allevamenti).

Le principali zone di trasfomazione si ritrovano sulle sierra del sud ovest di Badajoz, Ibor e Villuercas, Gredos Sur, Sierra de Montánchez e Sierra de San Pedro.

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Il processo di elaborazione delle carni avviene in 4 fasi:

Salatura e lavaggio

Dopo la macellazione, i prosciutti vengono ricoperti di sale marino per una settimana o dieci giorni, a seconda del peso. La temperatura di stazionamento può oscillare tra 1º e 5ºC, l’ umidità all’ 80 o 90%.

Trascorso questo tempo, i prosciutti vengono lavati con acqua tiepida, per eliminare ogni traccia di sale.

Riposo

Le cosce lavate trascorrono dai 30 ai 60 giorni ad una temperatura che oscilla tra i 3º ed i 6º, in questa fase il sale si distribuisce in maniera uniforme, innescando il  delicato processo disidratazione e conservazione.

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Essiccatura e maturazione

I pezzi vengono trasferiti in un essiccatoio naturale nel quale l’umidità e la temperatura sono controllati tramite meccanismi di ventilazione manuali. La temperatura oscilla tra i 15º ed i 30º, durante i 6 – 9 mesi successivi il prosciutto continua a disidratarsi e trasudare, diffondendo il grasso tra le fibre muscolari.

Invecchiamento

I prosciutti trascorrono dai 6 ai 30 mesi in cantina, la bodega. La temperatura può oscillare tra i 10º ed i 20ºC, e l’umidità relativa si attesta tra il 60 e l’80%.

In questa fase l’attività della flora microbica si aggiunge ai processi biochimici iniziati durante la stagionatura, processi che conferiranno l’aroma peculiare e il sapore finale del prosciutto.

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Lo specialista vero, impara a tagliarlo da sé, o alla peggio lascia fare alla mano esperta del Cortador, il tagliatore di prosciutto.

E gode dell’estetica codificata di certi gesti tentando di rubarne i segreti.

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E poi, diciamo la verità, il taglio a macchina è roba da pivelli, in più produce frizione e riscaldamento, tutte cose che rovinano l’aspetto e le fette di prosciutto risultanti.

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Importante: il prosciutto deve essere consumato a temperatura ambiente, preferibilmente intorno ai 21°. Soltanto a questa temperatura potrete scorgere il brillìo del grasso naturale, quando il prosciutto è freddo risulta opaco e perde punti-fascino.

I più volenterosi possono porzionare il prosciutto con le proprie manine, seguendo questa procedura:

1. Collocare il prosciutto

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Il porta prosciutto deve essere collocato ad un’altezza e in una posizione che agevoli il taglio, senza forzare i movimenti né la posizione del corpo.

Se pensate di consumare tutto il prosciutto in poco tempo, ingordi che non siete altro, iniziate ad affettarlo dalla parte centrale, anche detta fiocco (maza).

Se invece volete prolungare il piacere per più di 2 giorni, cominciate ad affettare il prosciutto dalla zona del cosciotto (Babilla).

2. Pulire il prosciutto

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Nell’ordine: togliere la cotenna e il grasso esterno che ricoprono questa zona, insistere sino a quando appare la fibra muscolare.

La parte esterna del prosciutto è ricoperta di muffe ed essudati naturali, frutto del processo di asciugatura e stagionatura, tutte impurità e nefandezze che devono essere eliminate dal contorno della zona di taglio, rischio retrogusto di rancido durante l’assaggio.

3. Affettare

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Tagliare il prosciutto a fettine molto sottili, quasi trasparenti, rispettando la larghezza del prosciutto e non superando i 6/7 cm di lunghezza. Man mano che si taglia, rimuovere dai bordi la cotenna ed il grasso esterno.

I tagli saranno sempre paralleli tra loro e in direzione contraria all’unghia, lasciate sempre alla vista una superficie piana, senza striature.

Arrivati all’osso dell’anchetta, fate un taglio profondo intorno all’osso in modo che le fette vengano fuori belle pulite.

La carne più vicina alle ossa non va affettata, ma tagliata a dadini: potrete usare i preziosi cubetti nella preparazione di brodi e stracotti.

Quando avrete divorato la parte del fiocco, girate il prosciutto, rivolgendo l’unghia verso il basso. Disponete le fette in un piatto, in un unico strato o leggermente sovrapposte.

La degustazione

Esame visivo
Il prosciutto spagnolo dei sogni ha una forma allungata, lo zoccolo nero o scuro, le ossa abbastanza sottili, il tutto ricoperto da un velo sottile di muffe.

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Eliminata la cotenna, si può intravedere un primo strato di grasso giallognolo, e man mano che l’atmosfera si scalda e si inizia a preparare il pezzo per l’affettatura, si può osservare una bella quantità di grasso bianco attaccato ai muscoli, sviluppatosi durante il periodo di Montanera.

Se il tono di questo grasso vira sul rosa significa che abbiamo un gran cu.., ahem fortuna, e ci troviamo di fronte ad un prosciutto di quelli da incorniciare.

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Anche il magro dice la sua: nelle zone meno stagionate e a temperatura ambiente, un buon prosciutto ha un colore rosso o rosa intenso,  brillante per l’effetto del grasso intramuscolare, e ricoperto da tutta una mirabolante serie di amminoacidi cristallizzati.

Aroma

Tutto dipende dall’alimentazione dei maiali in regime di montanera e dal tempo e le condizioni ambientali durante la stagionatura. Anche il punto di sale ricopre una parte importante, quando è equilibrato asseconda la percezione di tutte le sfumature profumate.

Consistenza

Gli elementi da valutare sono tre.

La succosità, prodotta per effetto combinato del grasso e di un contenuto equilibrato di sale.

La secchezza, che tende ad aumentare se il pezzo è stato esposto a un periodo di maturazione eccessivo e, in tutti i prosciutti, si concentra nella parte più superficiale.

La quantità di fibra contenuta nel prosciutto: se il prosciutto è buono, avrà meno contenuto fibroso e più grasso fluido.

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Gusto

Finalmente si mangia.

Assaporando la fibra tenera ed untuosa, scioglievole come nessun prosciutto al mondo potrà essere, coglierete note stagionate che ricordano le erbe selvatiche, il fungo, il tartufo, che aumentano di intensità e complessità a seconda della stagionatura.

Oppure mangerete senza percepire nessuna di queste cose, chissenefrega dei sentori, l’importante è godere.

I voti

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Ghianda: quando a temperatura ambiente si può percepire il sapore di ghianda nelle fette di prosciutto.

Salato: positivo solo quando è equilibrato

Dolce: una sfumatura tipica dei prosciutti spagnoli sottoposti a lunghi periodi di stagionatura in cantina, seguendo i metodi tradizionali

Piccante: dev’essere moderato, non invasivo. Di solito il piccante segnala un’ accelerazione anomala nel processo di stagionatura.

Rancido, che in misura molto ridotta, udite udite,  può essere considerato, positivo e interessante.

Tra le note gustative “positive” si registrano anche: il sapore di zucchero bruciato, quello di cantina e di frutta secca (ghiande, noci e nocciole)

LA CLASSIFICA

1. Carrasco Guijuelo59 € /Kg

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La più famosa delle aziende produttrici di Guijuelo, una delle cinque Denominazioni d’Origine.

La famiglia Carrasco alleva da quattro generazioni maiali neri di razza pura, nei pascoli di Salamanca e Estremadura.

Fibra tenace e texture succosa, il Jamon Carrasco Guijuelo vibra di un colore tra il rosa ed il rosso porpora, brillante al taglio e cesellato da infiltrazioni di grasso ben distribuite.

2. Sierra de Sevilla – 42 € /Kg

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Miglior prosciutto iberico del 2015 secondo la testata spagnola ABC.

Con una piccola produzione di circa 14.000 maiali iberici puri, questa azienda produce a Siviglia, più precisamente sui monti a nord della provincia, una sparuta selezione di prosciutti leggendari, dal sapore persistente, intenso, ingentilito sul finale da una sottile nota zuccherina.

3. Maldonado Gran Reserva DOC Extremadura – 64 €/Kg

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Tecniche ancestrali e 48 mesi di stagionatura per un prosciutto pluridecorato, leggermente dolce e dall’aroma intenso.

I maiali grufolano felici nei querceti della provincia di Caceres e Badajoz (Extremadura), habitat eccezionale per una produzione riservata a pochi e fortunati eletti.

4. Don Augustin Etichetta Oro Summum Guijuelo – 54 €/Kg

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Qualità in vetta e produzione centellinata, la parte magra di questo jamon è corposa e densa, burrosa la parte grassa in cui affondano senza sforzo le dita.

La carne ha un colore brillante, magnifica la marezzatura dalla tinta color avorio. L’aroma è persistente quanto il sapore, segnato dal gusto di nocciole tostate e ghiande lievemente affumicate.

5. El Zancao – 39 €/Kg

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Jamon ricavato da maiali allevati in Montanera nella riserva naturale di Arribes del Duero (Salamanca).

I prosciutti e le paletas (zampe anteriori) prodotti ogni anno sono solo 500, la stagionatura dura 36 mesi.

6. Ibesa Los Pedroches – 58 €/Kg

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Prendete il verde della Valle de Los Pedroches, a Villanueva de Cordoba, aggiungete maiali di pura razza iberica, il clima giusto e una microflora unica. Lasciate stagionare per almeno 24 mesi e otterrete uno Jamon Iberico de Bellota buono come pochi.

7. Señorio de Montanera – 56 €/Kg

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Recuperate mappa e pennarello, individuate il confine tra Portogallo e Spagna e cerchiate la cittadina di Burguillos del Cerro.

È qui che Felipe Perez Corcho, fondatore della cooperativa Señorio de Montanera insieme ad altri 72 allevatori, produce dal 1992 uno dei migliori jamon de bellota di tutta la Penisola Iberica.

8. 5 Jotas Gran Reserva – 65 €/Kg

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Il “5 J” è probabilmente il prosciutto iberico più noto, Sánchez Romero Carvajal è stato un pioniere della produzione di jamon iberico puro, responsabile principale della fama del prosciutto DO di Jabugo.

Allevare maiali 100% iberici rende meno e costa di più, ma i sacrifici vengono ripagati da un gusto intenso e persistente, che ricorda quello dei prosciutti di Huelva.

9. Jabugo Sierra Mayor 10 Vetas – 51 €/Kg

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Altro prosciutto del Consorzio di Jabugo, prodotto nella località Sierra de Huelva, Andalusìa.

I prosciutti, a seconda del peso, hanno una stagionatura tra i 26 e i 40 mesi, il grasso brilla di luce propria e la carne si tinge di rosa con sprazzi di bordeaux.

10. Joselito Gran Reserva – 76,90 €/Kg

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Grugno rosso su fondo nero, il logo di Joselito è il più conosciuto tra i marchi di prosciutto iberico.

Jamon di stazza considerevole, con più grasso interno ed esterno, poco salato e stagionato a lungo: 24, 30 o 96 mesi (edizione Vintage / 3000 euro al pezzo).

È il prosciutto preferito degli chef, da Alain Ducasse a Joël Robuchon. Ferran Adrià ha addirittura fondato uno spazio di ricerca, il Joselito Lab , dove crea oli, burri e un’insolita maionese, utilizzando la parte grassa di questa costosissima specialità.

[Crediti | Link: Pata Negra online, ABC, Dissapore | Infografiche: Dissapore]


Nutella: quanto costerebbe a Ferrero sostituire l’olio di palma

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Ho mangiato un biscotto senza olio di palma e non sono morto.

Potrebbe essere il titolo di un nuovo docu-film alla Michael Moore, con il regista americano che abbraccia un orango in copertina.

O un barattolo di Nutella, il prodotto a base di olio di palma più venduto al mondo.

Sarà questo l’ingrediente segreto?

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Nutella, che rappresenta il 50% circa delle vendite Ferrero, deve la sua consistenza setosa e la sua conservabilità proprio ai grassi ricavati dall’Elaeis guineensis, la palma della discordia.

Preparare la Nutella “senza” non si può, si otterrebbe un prodotto diverso, probabilmente inferiore, come fare un lungo passo indietro inciampando in un barattolo.

Ma quanto costerebbe sostituire l’olio di palma con un altro olio vegetale?

Facciamo un po’ di conti.

L’olio di palma costa 800 dollari alla tonnellata, quello di girasole 845 dollari, quello ricavato dalla colza viene venduto sul mercato a 920 dollari.

Ferrero utilizza circa 185.000 tonnellate di olio l’anno, che in soldoni si traduce in un aumento dei costi di produzione di 8-22 milioni di dollari.

Cifre che fanno passare la fame.

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Sembrava essere passata la buriana del terrorismo alimentare, delle flagellazioni sui social, Ferrero ha addirittura organizzato un convegno scientifico (“Olio di palma: una scelta responsabile, basata sulla scienza“ ), per quanto molto contestato.

Ma è successo, è successo di nuovo.

Un gruppo di 60 eurodeputati ha presentato un’interrogazione parlamentare per chiedere a Efsa, Autorità europea per la sicurezza alimentare, di intervenire sulla faccenda olio di palma a tutela dei consumatori.

Come intende gestire i potenziali rischi dovuti all’assunzione di acidi grassi di palma? Ci sono i margini per regolamentare la presenza di composti pericolosi all’interno di questi oli?

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Sì perché Efsa ha recentemente concluso che “vi sono prove sufficienti che i glicidil esteri degli acidi grassi (contaminanti che si formano durante la lavorazione di oli vegetali raffinati, per superamento del tetto di 200C) sono genotossici e cancerogeni.

I più alti livelli di glicidil esteri degli acidi grassi sono stati trovati negli oli di palma e nei grassi di palma.”

L’ha detto l’Efsa, mica Topo Gigio.

E se da una parte gli scaffali del super si riempiono di prodotti bollati coi “senza”, senza ogm, senza glutine, senza olio di palma (il mercato dei prodotti “senza” vale due miliardi di euro) Ferrero se ne sbatte e risponde a muso duro, argomentando.

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Il diavolo, si sa, sta nei dettagli, e a causare pericolo e sofferenza sarebbero le alte temperature utilizzate per rimuovere dall’olio di palma il colore (rosso di natura) e l’odore.

Ferrero dichiara di adoperare un processo che non supera i 200C incriminati, il tutto combinato con una pressione estremamente bassa, che minimizza lo sviluppo di eventuali contaminanti.

L’olio di palma utilizzato da Ferrero è sicuro, perché ricavato dai frutti premuti a freddo, processati a temperature controllate. E come se non bastasse proveniente da coltivazioni di palma sostenibili, con il benestare di oranghi e Movimento 5 Stelle.

Nutella galleggia placidamente su un mare di grassi saturi.

Non sono bastati l’Efsa, Coldiretti, i distinguo dei più noti marchi italiani che con pedante puntualità precisano “senza olio di palma”. Neanche l’apocalisse e quei dannati nutellotti (i biscotti ripieni di Nutella) che impestano il web.

Ferrero non ha mai smesso di macinare nocciole e guadagni.

Quella di Alba è la sola azienda alimentare che continua, in direzione ostinata e contraria, a usare sfacciatamente olio di palma.

E gli effetti si sono visti: da agosto scorso Nutella ha perso circa il 3% del fatturato.

Ma la campagna pubblicitaria di Settembre, quella dello spot con la musichetta commovente di Little Miss Sunshine, ha riattivato la macchina e fatto risalire le vendite del 4% , segnando una crescita costante del 5-6% annuo.

Il bilancio del 2016 si è chiuso ad Agosto a 10 miliardi di euro, e 2 miliardi del fatturato provengono proprio dalle vendite di Nutella.

Non è la specie più forte a sopravvivere, e nemmeno la più intelligente. Sopravvive la specie più predisposta al cambiamento, e Ferrero non vuole che Nutella muoia.

[Crediti | Link: Reuters, Il Test, Parlamento Europeo, Dissapore | Immagini : Il Fatto Alimentare | Video: Ferrero]

Colomba di Pasqua: i segreti e la ricetta di Alfonso Pepe

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Via Nazionale n°2, siamo a Sant’Egidio del Monte Albino (SA), alle pendici dei Monti Lattari, proprio dietro l’enorme cartello stradale che segnala l’inizio del piccolo Comune svetta una grossa “P” attorcigliata su un fondo verde bottiglia.

(“P” sta per Pepe, Alfonso Pepe, colui che, complici ingredienti tipicamente meridionali come agrumi, frutta del Vesuvio, fichi del Cilento, nocciole di Giffoni e burro di bufala ha spostato il baricentro del panettone classico milanese al Sud, rubando il primato del più buono d’Italia ai pasticcieri delle nebbie lombarde).

Una rampa di scala e poi giù, nel laboratorio delle meraviglie.

Faccio un po’ di ritardo perché mangiare un cornetto al pistacchio come quello della Pasticceria Pepe ha una sua ritualità, i suoi tempi di degustazione.

E poi filmare a stomaco vuoto mi pareva cosa troppo rischiosa.

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Alfonso Pepe è già al lavoro da un paio d’ore, spalanca la porta sorridente e fa le dovute presentazioni:

Vedi, questo è il mio bambino, senza di lui le colombe non volano”.

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Sul piano di lavoro d’acciaio, il suo lievito madre, allevato come fosse un pargolo, con tanto di copertina rimboccata.

Impettito, esplosivo, mette quasi timore.

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Mastro Pepe inizia il suo percorso di pasticciere nel retrobottega dello zio Gaetano, circa 30 anni fa, poi le grandi scuole, L’Etoile, Cast Alimenti, alla corte dello stimatissimo Iginio Massari.

L’esperienza francese presso l’Ecol, le lezioni con Achille Zoia e Mauro Morandin, impareggiabili incantatori di lieviti.

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Nel 1995 entra a far parte dell’Accademia Maestri Pasticceri Italiani, entra nel loop di colombe e affini, li studia, li migliora, non se ne stacca più.

Ero stanco di quei lievitati preparati con ingredienti scadenti, sempre più simili a biscotti, pieni di canditi duri e uvetta asciutta”.

In pochi anni fa del panettone borbonico il migliore d’Italia, con quella mollica soffice e inebriante, giallissima, la tessitura dell’impasto che è quasi una firma, l’equilibrio perfetto tra la rotondità del burro e l’aromaticità dei canditi.

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Non gli piacciono i piedistalli, ma finisce sempre in cima ad ogni lista, alla Tv e i caroselli sui social preferisce le (faticose) giornate in laboratorio con Prisco e Giuseppe:

Nei periodi prefestivi iniziamo a rinfrescare il lievito alle 6 del mattino e terminiamo a notte fonda”.

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Un equilibrio consolidato negli anni il suo, tarando continuamente le ricette, a seconda delle peculiarità di certi ingredienti (le farine cambiano di anno in anno, il lievito è vivo, in continuo mutamento).

Una di queste ricette la trovate qui sotto, la migliore in circolazione, senza filtri, spiegata passo passo e immortalata in un video.

Osservate la gestualità di un professionista, non fatevi ipnotizzare dalla danza dell’impastatrice a braccia tuffanti e occhio alla faccenda della pirlatura.

Fare la figura dei pirla è un attimo, ve lo dico.

COLOMBA TRADIZIONALE

dose per 8 pezzi da 1 kg

Lievito naturale: i rinfreschi

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Ore 6:00
1. Si procede con il classico “bagnetto”, tagliando a fettine il lievito naturale e immergendolo in una soluzione di acqua tiepida e poco zucchero (1 g per litro).

Quando il lievito viene a galla è pronto per essere strizzato e impastato con il 30% di acqua, 1 parte di farina e 1 parte di lievito.

Si trasferisce il tutto in cella a 28°-30°.

Ore 9:30
2. Si continua con il secondo rinfresco, impastando il lievito con il 50% del suo peso in acqua, sempre 1 parte di farina e 1 di lievito madre.

Si ripone nuovamente in cella in ambiente a temperatura controllata.

Ore 14:00
3. Si conclude la fase dei rinfreschi ripetendo la stessa operazione (punto 2) e tenendo da parte un pezzo di lievito per il giorno successivo.

Ore 17:00

Primo Impasto:

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Farina 0 W 360 – 380 | 2000 g
Zucchero | 750 g
Acqua | 1050 g
Tuorlo | 250 g
Burro | 600 g
Burro liquido | 150 g
Lievito naturale | 625 g

Sciogliere lo zucchero in acqua calda (35°- 40°), inserire la farina e impastare per circa 10 minuti.

Aggiungere il lievito naturale , lasciare incordare e incorporare, in due volte, l’emulsione di burro a pomata, burro liquido e tuorli.

Trascorsi 30 minuti trasferire in cella a 30° per circa 12-14 ore (o fino a quando il volume non sarà triplicato), impastare con:

Secondo impasto:

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Farina 0 W 360 – 380 | 500 g
Zucchero | 375 g
Miele di arancio | 250 g
Tuorlo | 550 g
Sale | 25 g
Burro | 650 g
Burro liquido | 100 g
Pasta arancia | 600 g
Burro di cacao | 15 g
Vaniglia in bacche del Madagascar | 4 n
Cubetti di pasta di mandorla | 163 g
(1 parte di mandorla e una parte di zucchero)
Arancia candita a cubetti | 1000 g

Mettere in macchina il primo impasto e aggiungere la prima parte di pasta arancia. Poi addizionare la farina, lasciar incordare e unire la seconda porzione della stessa pasta.

Una volta incorporati tutti gli ingredienti versare il miele e lasciar impastare. Unire lo zucchero miscelato precedentemente con la polpa della vaniglia, in due fasi, e una volta assorbito aggiungere il sale ed i tuorli emulsionati con il burro ed il burro liquido, in due/tre passaggi.

A questo punto unire il burro di cacao fuso e lasciato raffreddare, fare incordare l’impasto fino alla formazione del “velo” (min. 08:05 del video).

Terminare l’impasto aggiungendo, in due step, i cubetti di arancia candita e di pasta di mandorle.

Trasferire l’impasto sul piano di lavoro e lasciar riposare per circa 30 minuti.

Fare le pezzature (950 g di impasto per uno stampo da 1 kg), arrotolare l’impasto (min. 8:44) facendolo ruotare tra le mani.

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Formare dei filoni lunghi quanto tutto lo stampo e sistemare nella parte centrale dei pirottini.

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Porre le colombe in cella di lievitazione a 30° per 6-8 ore e, successivamente, glassare con:

Glassa per panettoni
conservazione : +4°
durata: 30 gg

Ingredienti:
Mandorle grezze | 188 g
Armelline | 62 g
Nocciole tostate | 125 g
Zucchero | 1000 g
Cacao | 25 g
Farina di mais | 25 g
Fecola di patate | 25 g
Albume | 375 g

Mandorle grezze | q.b.
Granella di zucchero | q.b.

Tritare finemente tutti gli ingredienti e unire solo alla fine gli albumi, a mano o in planetaria.

Dressare sulle colombe (che avranno raggiunto i ¾ del volume dello stampo) e guarnire con uno strato uniforme di mandorle e zucchero in granella.

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Cuocere a 180° per 50 minuti (per la pezzatura da 1 kg), infilzare con i ferri appositi appena sfornate e capovolgere (i bastoncini di metallo possono essere sostituiti con dei ferri da maglia).

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Lasciar raffreddare e distendere fino al giorno dopo, confezionare.

[Crediti | Video e immagini: Rossella Neiadin]

Colomba di Pasqua farcita: le 10 migliori del 2016

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Questa è, in poche (ma dolci) parole, la colomba di Pasqua classica: farina, burro, un tot di uova, il lievito madre imprescindibile, glassa di mandorle e zucchero.

Protagonisti gli agrumi, porzionati in cubetti, esaltati dalla pasta.

Lista di ingredienti essenziale e rigorosa, a cui i più arditi aggiungono un tocco di limone. Non c’è spazio per ingredienti esotici e miscugli stravaganti.

Possiamo dirlo? Il purismo ha rotto le scatole.

PAUSA

colomba albicocca morandin 4

Perché fermarsi al palo della tradizione e negarsi certi piaceri collaterali?

Ben vengano le versioni accessoriate e roccocò di certi dolci tradizionali, benedetti quei pasticcieri e i loro pruriti creativi, le interpretazioni a base di frutta, i cioccolati monorigine, le infusioni di spezie.

A noi le declinazioni eretiche e ribelli della colomba pasquale piacciono tantissimo, ne abbiamo assaggiate 20 e selezionato le 10 migliori.

Beccatevi lo spin-off della nostra classifica di ieri (le 15 colombe artigianali di Pasqua migliori del 2016) e meditate sui vostri acquisti last-minute.

#10 PASTICCERIA MAMMA GRAZIA

colomba zabajone mamma grazia

Colomba “San Pasquale”

Farcitura: amarasche candite e cremoso allo zabajone

Glassa: mandorle a lamelle e zucchero in granella

Pasta: flessuosa, molto umida

Sapore: svettano le amaresche, in un equilibrio perfetto tra zuccheri, aromi e spinta acida. Vellutata la crema allo zabajone, carica nel sapore ma misurata nell’alcol, lontana anni luce da quei pasticci industriali che ci propinavano negli 80s.

colomba marasche mamma grazia

Prezzo al kg: 28 euro

Pasticceria Mamma Grazia
Via Vincenzo Russo 136-138  84015 Nocera Superiore (SA)
tel 0815144037

#9 PASTICCERIA MERLO

colomba farcita merlo
Farcitura: albicocca semicandita

Glassa: zucchero, mandorle, nocciole, armelline

Pasta: colorata, burrosa, erotica

Sapore: l’impasto (da solo) vale il viaggio mentale, le albicocche candite e ancora turgide aggiungono una nota acidula e rinfrescante.

Prezzo al kg: 30 euro

Pasticceria Merlo, Via Masaccio, 4, 20096 Pioltello MI

#8 TIRI 1957

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Farcitura: crema gianduia

Glassa: cioccolato al latte, nocciole tostate

Pasta: ricetta base arricchita con pasta di nocciole pura

Sapore: Immaginate una cosa che nasce buonissima, poi aggiungete una dose liberale di cioccolato e guarnite con nocciole tostate. Un morso e si raggiunge il Nirvana.

colomba gianduia tiri

Prezzo al kg: 32 euro

Tiri 1957Via A.Gramsci, 2/4 Acerenza (Pz)

#7 MAURO MORANDIN

colomba albicocca morandin

Farcitura: cioccolato bianco e albicocca candita

Glassa: zuccherina, sembra quasi apricottata (ricoperta di gelatina di albicocche). Profumo simil-croissant

Pasta: eterea, leggerissima

Sapore: lungo, persistente, il cioccolato bianco non ottunde la vivacità delle albicocche candite (le migliori della prova d’assaggio)

colomba albicocca morandin 3 colomba albicocca morandin 2

Prezzo al kg: 30 euro

Pasticceria Mauro Morandin

Aosta – Via Porta Praetoria, 3 – T. +39 0165.34246.
Saint-Vincent (AO) – Via Chanoux, 105 – T. +39 0166.512690.

#6 PASTICCERIA TABIANO

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Claudio Gatti, estroso pasticcere di Tabiano Bagni (Parma), grande assente della nostra classifica di ieri. Motivo: il nostro alchimista preferito ha sfornato solo colombe eretiche e sbalorditive (al tè verde, ai grani antichi, alla birra)

Farcitura: Albicocca, ananas, pesca (*sospiro*)

Glassa: zucchero, mandorle dolci e mandorle amare a lamelle, spruzzata finale di maraschino

Pasta: da affondarci la faccia dentro, un cuscino

Sapore: meglio di un cocktail ad un bikini party, esotismo e goduria.

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Prezzo al kg: 27 euro

Pasticceria Tabiano – Via delle Fonti, 7 – Tabiano Bagni (Parma)

#5 PIETRO MACELLARO

fetta colomba arancio macellaro

Farcitura: crema d’arancio (cioccolato bianco, pasta d’arancia, liquore all’arancia)

Glassa: classica, con zucchero e mandorle grezze

Pasta: esuberante nelle uova e arricchita con burro di bufala, innaffiata di liquore all’arancia.

Sapore: una specie di Eden coltivato ad agrumi, la cremina è di quelle da scavare con le dita. Abbiamo sniffato anche la scatola.

Prezzo al kg: 33 euro

Pietro Macellaro

Azienda Agricola Pietro Macellaro, via Madonna della Grazie, 28 Piaggine (SA)

#4 PASTICCERIA PEPE

colomba pepe limoncello

Farcitura: limoncello (crema di limoncello 25%, cioccolato bianco 29%, panna, limoncello 14°)

Glassa: cioccolato bianco, riccioli di cioccolato

Pasta: soffice, cotonata, aromatizzata con pasta limone

Sapore: intenso, la celebrazione del limone. Nota agrumata elettrizzante, la crema è liscia e vivacemente alcolica

colomba pepe limoncello 3 colomba pepe limoncello 5

Prezzo al kg: 34 euro

Pasticceria PepeSant’Egidio del Monte Albino (SA), via Nazionale 2/4

#3 BIASETTO

colomba arancio cioccolato biasetto
Luigi Biasetto, champion du monde, l’eleganza fatta pasticceria (non siamo riusciti ad accaparrarci la sua colomba classica, sigh)

Farcitura: cubetti d’arancia candita, gocce di cioccolato fondente

Glassa: classica, fatta con zucchero, mandorle e cacao

Pasta: arricchita con cacao in polvere. Alleghiamo foto:

colomba cioccolato biasetto
Avete mai visto un impasto più bello di questo? Seriamente, dài.

Sapore: s-t-r-e-p-i-t-o-s-o.

L’aroma del cacao, i canditi saporiti, un impasto da manuale dei lievitati.

cioccolato colomba biasetto

Prezzo al kg: 34 euro

Pasticceria Biasettovia Facciolati, 12, Padova

#2 ATTILIO SERVI

colomba lampone servi
Farcitura: lampone e pepe del Sichuan

Glassa: zucchero in granella

Pasta: dorata, lievitazione da urlo.

Sapore: poche chiacchiere, questa colomba è eccezionale, uno dei dolci migliori assaggiati quest’anno.

Acidità del lampone di bosco + piccantezza agrumata del pepe di Sichuan = amore. E freschezza, sensazione insolita per un dolce da zilioni di calorie.

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Prezzo al kg: 32 euro

Attilio ServiVia Campobello, 1/C, Pomezia (RM)

#1 SAL DE RISO

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Farcitura: crema al limoncello e bucce di Limone Costa d’Amalfi I.G.P.

Glassa: cioccolato bianco e trucioli e trucioli di cioccolato al limone

Pasta: sontuosa ed elastica

Sapore: attenzione: questo dolce provoca dipendenza, provatene una briciola e non riuscirete a smettere. Inutile affogarla nella dispensa, sentirete il suo richiamo fino in salotto.

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E provate a trattenere le lacrime, mentre raschiate la cremina dall’incarto.

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Prezzo al kg: 33 euro

Sal De Riso Piazza Cantilena 1, Minori, Costa D’Amalfi

[Crediti | Link: Dissapore, immagini: Rossella Neiadin]

Cioccolato artigianale: Guido Gobino vs Guido Castagna

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C’è un tempo per ogni cosa, ad ogni stagione il suo cibo, e se l’estate è quel periodo dell’anno in cui si mangiano i gelati, la primavera è il limbo tiepido in cui il goloso fa fuori le derrate di cioccolato.

Eggià, mentre schiere di fedeli alla linea affollano le sale di CrossFit e pilates, io ho pensato bene di bruciare il guardaroba primaverile e dedicarmi, anima e curve, a una Prova d’assaggio che profuma di cacao e grassi saturi.

Ricordate le sfide di Dissapore tra prodotti e produttori cult, artigianali (Amedei vs Domori) e non (Nutella vs Nocciolata Rigoni)?

Bene, cari miei, è arrivato il momento di riprendere, e sugli scudi c’è Torino.

pane crema spalmabile 4

crema nocciola castagna +55

CONTENDENTI

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Se sei di Torino e ti chiamo “Guido”, il tuo futuro professionale è inscritto in una tavoletta di cioccolato. Se ti chiami Franco te lo puoi scordare, finisci a fare il commercialista.

Agli angoli opposti del nostro ring, uniti nel segno dell’omonimia e del bean to bar (filiera intera, dalla fava di cacao alla tavoletta incartata) abbiamo:

Guido Gobino, il cioccolatiere baffuto con un palmarès da far invidia a una squadra di calcio (le “Tavolette d’oro” si sprecano, gli Award dell’Accademy of Chocolate di Londra, pure).

Inventore del celeberrimo Tourinot, un bocconcino di puro piacere fatto con nocciole e latte (declinato anche al caffè), ha due punti vendita a Torino ed uno a Milano.

cioccolato gobino

Guido Castagna, dalla periferia di Giaveno (TO) alla televisione nazional popolare, calcando i podi delle più importanti competizioni sul cioccolato artigianale.

Molto del suo successo trabocca dall’iconica +55, una crema spalmabile leggendaria. Un prodigio fatto di quattro ingredienti e con una percentuale di nocciole (sessantotto!) da capogiro, record tutt’oggi imbattuto.

giandujotti castagna 5

Match #1 : Giandujotto*

giandujotti gobino 2
*Abbiamo messo a confronto il “Giuinott” Castagna con il “Maximo +39”, data la quota di nocciole pressoché identica.

I gioiellini ammantati di arancione, esclusi dal test, sono i giandujotti classici di casa Gobino (fatti fuori anche quelli, non vi preoccupate).

giandujotti classici

Descrizione del produttore: Maximo +39®

giandujotti classici 3

Giandujottino (peso 5 grammi) dal sapore intenso e una consistenza golosamente cremosa, prodotto con più del 39% di Nocciole Piemonte IGP, estruso come tutti gli altri giandujotti (il Classico, il Tourinot) e vincitore assoluto come “Miglior Cioccolato Gianduja” alle premiazioni “Tavoletta d’oro” della Compagnia del Cioccolato dal 2012 al 2016.

Prodotto in edizione limitata da ottobre a marzo.

maximo +39 giandujotti gobino

Ingredienti: Nocciola Piemonte IGP (39%), zucchero di canna, cacao, burro di cacao.
Packaging: sacchetto trasparente con nastrino a scacchi arancioni e viola
Aspetto visivo: colore pieno ed omogeneo, superficie liscia e forma regolare
Esame olfattivo: profumo inebriante di nocciola
Consistenza: vellutato, cremosità dirompente
Gusto: esplosivo, la nocciola svetta sul resto degli ingredienti

Prezzo: 16,50 euro per una confezione da 250 grammi
In breve: irresistibili

Voto: 9,5

Descrizione del produttore: Giuinott.

giunott castagna 2

Il primo giandujotto estruso e tagliato. L’unione tra il pregiatissimo cacao rosso criollo venezuelano Chuao e la Nocciola Piemonte IGP (40%), crea un equilibrio di gusti armonici che delizia il palato e appaga i sensi.

Medaglia d’oro all’International Chocolate Award dal 2013 al 2016

guandujotti castagna 4 giunott castagna

Ingredienti: Nocciola Piemonte IGP 40%, zucchero di canna, fave di cacao Chuao Venezuela, burro di cacao.
Packaging: sacchetto trasparente con nastrino di raso azzurro polvere.
Aspetto visivo: tonalità calde, privo di striature
Esame olfattivo: profumo di nocciola tostata
Consistenza: burroso, dilagante
Gusto: perfettamente bilanciato, la nocciola si rivela pian piano, persistente sul finale

Prezzo: 6,00 euro per una confezione da 100 grammi
In breve: climax

Voto: 9

Match #2 : Cioccolato Fondente

cioccolato-fondente-gobino-castagna cioccolato fondente gobino castagna 2

Descrizione del produttore: Tavoletta Extrafondente 64% Guido Castagna “Cento Grammi”.

Cioccolato fondente con il 64% di cacao. Miscela con prevalenza di cacao Arriba e Venezuela che dona un gusto piacevole e non amaro (from bean to bar).

cioccolato fondente castagna

Ingredienti: fave di cacao, zucchero di canna, burro di cacao, Emulsionante: Lecitina di soia (senza OGM). Cacao minimo 64%, concaggio 48 h.

Packaging: cartoncino ruvido marrone scuro, scritte lucide in rilievo. Design molto gradevole e pulito.
Aspetto visivo: tavoletta spessa, abbellita da linee ipnotiche e sinuose
Udito: suono fragoroso ed acuto
Tatto: superficie levigata
Esame olfattivo: profumo floreale e zuccherino, ricorda il miele
Gusto: grande dolcezza, aromi fruttati e rotondità spiccata. Si scioglie in bocca con grazia estrema, cremosissimo, la consistenza perfetta ma più scarico del cioccolato Gobino dal punto di vista aromatico.

tavoletta fondente castagna

Peso netto: 100 grammi
Prezzo: 4,50 euro
In breve: rassicurante

Voto: 8

Descrizione del produttore: Tavoletta Extra Bitter Blend 63%, Selezione Guido Gobino.

fondente gobino

Realizzato unicamente con cacao pregiati, burro di cacao e zucchero di canna. Una tavoletta dedicata agli amanti del Cioccolato Fondente da degustazione, con un gusto rotondo ed un’acidità moderata (from bean to bar)
Disponibile in due formati, da 55 e da 110 grammi.

Ingredienti: cacao, zucchero di canna, burro di cacao. Cacao 63% minimo.

Packaging: astuccio in cartone giallo grano, finestrella trasparente e immancabile sigillo arancione, il colore dell’azienda.
Aspetto visivo: colore scuro, incisioni elegantissime e superficie lucida
Udito: snap secco
Tatto: setoso
Esame olfattivo: profumo di tostati scuri, caffè, frutta secca
Gusto:persistente, nessuna traccia di acidità. Una scarica di aromi tostati con un bacio di vaniglia e prugna.
Peso netto: 110 grammi
Prezzo: 6,20 euro
In breve: equilibrato

Voto: 8,5

Match #3 : Crema spalmabile alla nocciola

creme gobino castagna

creme spalmabili

Descrizione del produttore: Crema Gianduja

crema gobino

Vincitrice assoluta come “Miglior Crema Spalmabile” secondo il premio “Tavoletta d’Oro 2011”, ha come protagonista la Nocciola Piemonte IGP tostata presso i nostri laboratori e raccolta direttamente dai campi di coltivatori che collaborano con l’azienda sin dai suoi esordi.

Per la realizzazione di questo prodotto si utilizza il procedimento del concaggio a secco, il quale consente una maggiore valorizzazione del cacao ed un minor uso di grassi.

crema gianduja gobino 5

Ingredienti: Nocciola Piemonte IGP 45%, zucchero, cacao magro in polvere, latte scremato in polvere. Emulsionante: Lecitina di soia (senza OGM) bacche di vaniglia Bourbon del Madagascar

Packaging: solido. Barattolo di un bel vetro spesso e tappo laminato color argento.
Aspetto visivo: brillante e scura
Esame olfattivo: odore intenso di nocciola e derivati del latte
Consistenza/spalmabilità: fluida, estremamente spalmabile.
Gusto: la nocciola esaltata dall’aromaticità del cacao, si avverte un leggero retrogusto di caramello, presenti piccoli cristalli che solleticano la lingua
Peso netto: 220 g
Prezzo: 10,50 euro
In breve: la Nutella che vorrei

crema gianduia gobino 4 pane crema spalmabile 2

Voto: 9

Descrizione del produttore: Crema spalmabile alla nocciola “+55”

crema castagna +55 2

L’ingrediente principale della +55 di Guido Castagna è la Nocciola Piemonte IGP, presente al 68%. Dolce e cremosa, è una crema che soddisfa i palati più fini. Prodotto senza glutine, nei formati da 100 e 200 g.

Medaglia d’oro agli International Chocolate Awards dal 2012 al 2016.

crema +55

Ingredienti: Nocciole Piemonte IGP 68%, zucchero, cacao, burro di cacao.

crema castagna +55

Packaging: bruttino, plasticoso, pare un vasetto di crema per il viso (scadente)
Aspetto visivo: colore chiaro, sembra caramello mou
Esame olfattivo: pungente e selvaggio
Consistenza/spalmabilità: molto areata, ricorda il burro montato
Gusto: delizioso di nocciola pura, stemperato da una boccata burrosa potentissima
Peso netto: 100 g
Prezzo: 5,00 euro
In breve: da brividi lungo la schiena

crema spalmabile +55 pane crema spalmabile

Voto: 9,5

Guido Gobino riesce a ad aggiudicarsi 2 round su 3, e per un briciolo di punti.

Ma prima di congedarvi con il più classico degli interrogativi, per chi fate il tifo in pratica, due richieste per i protagonisti del nostro pressure test.

giandujotti castagna 6 pane crema spalmabile 3

A Guido Gobino vorrei dire che: c’è bisogno di una crema spalmabile con più nocciole.

Sperimenta e formula qualcosa che mi difenda dalle brutture della vita, tipo la domenica pomeriggio senza il dolce.

giandujotti gobino castagna 2 crema gianduja gobino

A Guido Castagna vorrei dire che: la +55 è superlativa, il barattolo è finito e vorrei prendere il muro a testate. Ma quella confezione, per il cibo degli dei, sembra l’antirughe del Lidl. Cambiala.

[Crediti | Link: Guido Gobino, Guido Castagna | Immagini: Rossella Neiadin]

Tutte le torte al cioccolato che vale la pena preparare

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Dire “torta al cioccolato” è un po’ come tirare in mezzo la musica senza conoscerne la genealogia.

Rock è il progressive dei Genesis, quello psichedelico dei Jefferson Airplane. E il Kraut dei Tangerine Dream? Lo stoner dei Kyuss?

Rock pure quello.

Eppure, nell’immaginario collettivo dei palati annoiati e tutti uguali, la torta al cioccolato è solo quella mattonellina asciutta, stantìa, e solitamente ricoperta da una ditata di polvere e zucchero a velo.

Dove sono i fondant alla francese, la Foresta Nera, le contaminazioni? Il rock è solo di chi suona la Stratocaster?

Qui una lista, aggiornata e imperdibile, delle ricette al cioccolato testate a approvate da dissapore, più un’insospettabile new-entry.

1. Senza glutine: Torta Caprese

Torta Caprese
In breve: dolce da dispensa, naturalmente privo di glutine e tipico dell’isola di Capri. Si prepara miscelando sapientemente mandorle tritate, cioccolato fondente, zucchero, burro e uova.

Torta Caprese
Livello di difficoltà: facile

Torta Caprese, fetta
La ricetta

2. Vietata ai minori: Torta al cioccolato e birra

ricetta torta alla guinness
In breve: Se è vero che l’alcol evapora col calore, l’aroma della birra scura, vivaddio, resta.

È la torta che accompagna i festeggiamenti di San Patrizio, fondente e profumata, con una soffice glassatura al formaggio cremoso e panna, a simulare la spuma che sigilla i boccali.

torta guinness ricetta
Livello di difficoltà: medio

torta guinness fetta
La ricetta

3. Evergreen: Torta Sacher

Torta Sacher
In breve: Dolce leggendario protetto da copyright, la ricetta originale langue in chissà quale cassaforte dell’omonimo Hotel.

Biscotto al cacao farcito con confettura di albicocche, nappato e ricoperto da una sottile glassa al cacao, solitamente servito con uno spuntoncino di panna montata.

Torta Sacher, il cioccolato
Livello di difficoltà: medio

Torta Sacher
La ricetta

4. Proposta indecente: Torta al cioccolato e caramello mou salato

torta-cioccolato-knam-5
In breve: è la torta al cioccolato più laida mai sperimentata: un guscio al cacao ripieno di caramello salato e innaffiato di ganache fondente e brillante.

Ho sentito gente mugolare dopo averla addentata.

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Livello di difficoltà: medio

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La ricetta

5. La parte croccante: Crostata al cioccolato di Ernst Knam

crostata, pastafrolla
In breve: per chi detesta le torte farcite col mastice e rifugge i dolci che sanno di asciugamano.

La frolla al cacao ripiena di cioccolato e crema pasticciera è patrimonio Unesco

torta, cioccolato, crostata
Livello di difficoltà: facile

crostata, cioccolato, ernst knam
La ricetta

6. Senza burro, latte, uova : Torta al cioccolato vegan

torta-cioccolato-vegan-ricetta-2
Guardate questo dolce.

torta-vegan-cioccolato
Guardatelo bene.

torta-cioccolato-vegan-ricetta

E’ la torta al cioccolato dei “senza”, al suo interno non vi è traccia di burro e uova.

torta vegana cioccolato

Come fa un dolce senza dolce ad essere così sexy, misterioso ed invitante, e non rassomigliare neanche lontanamente ad un disco di compost pressato?

Chiedetelo a Nigella Lawson, nostra signora dell’abbondanza e dei twin set, che ha inserito questa torta nel volume “Simply Nigella”, il suo ultimo ricettario.

torta cioccolato vegana

Ps. Se non vi fidate della sottoscritta, che ha pesato con amore tutte le dosi riportate in cucchiai e cucchiaini, trovate qui la videoricetta targata BBC.

Torta al cioccolato vegan

dose per una teglia da 20 cm

Per la torta:

ingredienti-torta-cioccolato
225 g di farina 00
1 cucchiaino e ½ di bicarbonato di soda (8 g)
½ cucchiaino di sale fino (3 g)
1 cucchiaino e ½ di caffè solubile (3 g)
75 g di cacao amaro
300 g di zucchero di canna grezzo
375 ml di acqua bollente
75 g di olio di cocco (o 90 ml se fuso)
1 cucchiaino e ½ di acetto di vino bianco o di mele (7,5 ml)

Per la glassa al cioccolato:

ingredienti-glassa-cioccolato-vegan
60 ml di acqua fredda
75 g di burro di cocco (o burro vegetale/margarina/crema di mandorle/tahina)
50 g di zucchero di canna grezzo
1 cucchiaino e ½ di caffè solubile (3 g)
1 cucchiaio e ½ di cacao amaro (15 g)
150 g di cioccolato fondente al 70% tritato finemente

Per guarnire (opzionali):

torta-vegan-cioccolato-ricetta
1 cucchiaio di petali di rosa disidratati
1 cucchiaio di pistacchi tritati

Inizio preriscaldando il forno a 180° (modalità statica) e nell’attesa fodero lo stampo da 20 cm con carta forno, rivestendo il fondo e le pareti della teglia.

Per il circolo perfezionisti anonimi: date un’occhiata al nostro video dimostrativo e acquisite la tecnica.

La glassa

glassa-cioccolato

Verso l’acqua fredda, il cacao, il caffè solubile, il burro di cacao* e lo zucchero di canna in un pentolino, porto tutto a bollore rimestando con una frusta.

Quando il composto comincia a borbottare e gli ingredienti sono completamente dissolti allontano dal fuoco e aggiungo il cioccolato fondente tritato finemente. Lavoro con la frusta fino ad ottenere una glassa liscia e lucida, metto da parte e lascio raffreddare.

cioccolato-tritato

*il burro di cacao renderà la glassa un po’ più spessa e densa.

La torta

Due terrine di fronte a me.

Nella prima verso la farina setacciata con il cacao, il bicarbonato, il sale ed il caffè solubile. Miscelo le polveri con una forchetta per eliminare i grumi.

Nella seconda scodella mescolo lo zucchero di canna, l’aceto di vino bianco e l’olio di cocco con l’acqua bollente, lavoro il composto con una spatola fino a disintegrare i blocchi di olio di cocco galleggianti.

Unisco il mix di polveri agli ingredienti liquidi, giro velocemente per amalgamare il tutto e verso l’impasto nello stampo.

Cuocio in forno a 180° e trascorsi 35 minuti controllo la cottura con uno stecchino, come da ricetta.

Niente, la torta è ancora umida, paziento e lascio cuocere per 45 minuti in tutto.

torta-cioccolato

Lascio raffreddare nello stampo e capovolgo su un’alzatina.

Ricopro la torta con la glassa al cioccolato aiutandomi con una spatola, decoro i bordi con poco zucchero dorato (potete guarnire la superficie del dolce con frutta fresca/secca e tritata).

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torta-ricetta-cioccolato

Attendo 30 estenuanti ed interminabili minuti, ritaglio una fetta generosa e mi preparo all’assaggio.

torta cioccolato vegan fetta

Il profumo di cacao e caffè è euforizzante, la mollica è umida, “fudgy” direbbero gli inglesi, il sapore (eccezionale) è di quelli che non ti aspetti da un dolce censurato e assemblato per sottrazione.

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Il mio compito pare terminato, per ora.

Dimentico qualcosa? Suggerimenti per le prossime ricette a base di cioccolato?

Sciogliete le falangi e sotto coi commenti, rispondo anche a ore pasti.

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