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Channel: Rossella Neiadin, Autore presso Dissapore
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Raindrop Cake? Fatta! La ricetta perfetta

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La gente fa cose stupide, io faccio cose stupide, continuamente.

Pagare il biglietto del cinema per vedere Titanic venti volte di seguito, comprare Playboy per leggere gli articoli, fare la fila e sborsare otto fruscianti dollari per mangiare una palla di gelatina condita che sembra una protesi mammaria.

Succede a New York, dove sennò.

E sto parlando di una torta (!?) che conoscete bene: l’ormai famosa Raindrop Cake.

raindrop cake

8 dollari, 7,05 euro.

Su Amazon.com ci comprate un pulsante per le stronzate (“That was bullshit!”), un oggettino appropriato per la ricetta perfetta di oggi.

raindrop-cake-ricetta 3

Hai rifatto la “torta” di cui parlano tutti? E il Cronut? Vuoi dire che esiste un dolce più inutile del macaron?

Queste e altre risposte all’interno del post.

raindrop-cake-completa

Prequel

Come sospettavo, la ricetta della Mizu shingen mochi è vecchia come il cucco, c’è gente messa peggio degli hipster di Brooklyn che la fa con i glitter e la chiama “Unicorn Tear” (lacrima di unicorno).

raindrop-cake-

Trattasi di un trademark della Kinseiken Seka Company, situata nella città di Hokuto, prefettura giapponese di Yamanashi.

E la notizia non è che Darren Wong, spacciatore di protesi col baracchino allo Smorgasburg, abbia fatto la scoperta dell’acqua rassodata, la notizia è che Hokuto esiste davvero.

Tentativo n°1

raindrop-cake-ingredienti

Dosi:
500 ml di acqua
15 g di agar agar
12 g di zucchero semolato

Fonte: Hey! It’s Mosogourmet!! (!!!!!!!!)

Acqua ce l’abbiamo, agar agar (gelificante di origine vegetale) comprato, ho trovato pure kuromitsu (melassa giapponese) e kinako (farina di soia tostata).

In cima alla playlist di Youtube, il video tutorial di Mosogourmet datato 29 Agosto 2014.

La faccenda pare semplice: basta fare un mix di zucchero semolato e agar agar, versare poca acqua alla volta e sciogliere il tutto nervosamente, facendo molto rumore.

Un salto sul fornello, lasciar sobbollire per qualche minuto, colare negli stampi e far rassodare in frigorifero per qualche ora.

stampi-raindrop-cake

Aspettative: una palla tremula e trasparente, uguale e spiccicata a quella di Darren Wong.

Realtà: due semisfere di poliuretano espanso, opache e deturpate da una gragnuolata di microscopici crateri.

mosogourmet-raindrop-cake

È evidente, Mosogourmet ha fumato ghiandole di pesce palla.

Mai preparata una porcheria simile prima d’ora, è il primo cibo della mia vita che rassomiglia ad un materiale edile.

mosogourmet-raindropcake

Decido di riprovare, la curiosità è donna, e ti fa fare un sacco di cazzate.

Tentativo n°2

agar-agar-raindrop-cake

240 ml di acqua minerale
2 g e ½ di agar agar
1 pizzico di zucchero

Fonte: Medium

Occhei Rossella, prendi e porta a casa, tu sai fare la Torta delle 4 città, ricordi?

Decido di lesinare col gelificante, le bocce prostatiche di prima mi hanno traumatizzata.

tentativi-raindrop-cake

Stessa procedura, rapporto agar/acqua differente, medesimo risultato.

Due sferette gommose, più morbide di quelle appena gettate nel bidone dell’umido, ma egualmente ripugnanti.

2-tentativi-raindrop-cake

raindrop-cake-fail

Tentativo n°3

preparazione-raindrop-cake

160 ml di acqua
0,2 g di agar agar
un pizzico di zucchero semolato

Fonte: Krist Yu

Da un eccesso all’altro, dal quartetto d’archi al reggaeton.

Prima di sfoderare il bilancino da precisione, decido di comprare in farmacia un altro barattolo di agar agar, il terzo della serie.

agar-agar

agar-agar-caratteristiche

Agargelosio, gelosina, ittiocolla vegetale, gelatina cinese o giapponese, per gli amici E 406.

Osservando i filmati dei colleghi giappo, tipo questo, ho notato che la polvere utilizzata in ricetta è visibilmente più chiara, di un bianco puro.

raindrop cake-4

Ho pensato che l’agar utilizzato in laboratorio fosse quello giusto.

Sbagliato.

Eseguo la procedura a memoria, miscela a freddo e poi fornello, la soluzione è comunque opaca e lattiginosa.

Risultato: gelatina troppo molle. Capovolgo lo stampo in silicone e le semisfere si trasformano in un blob informe.

gelatina-agar-agar

Infierisco sul piattino come farebbe Godzilla sui grattacieli di Tokyo.

Come si dice “fottiti” in giapponese?

Tentativo n°4

raindrop cake macro

450 ml di acqua
1 g di agar agar
1 g di zucchero semolato

Fonte: emmymadeinjapan

Giuro che questo è l’ultimo, lo giuro sulla Saint Honoré.

La videoricetta inizia con i fallimenti di Emmy, anche lei vittima dell’internet truffaldino e di quell’infame di Mosogourmet.

Scatta la solidarietà, la ragazza sembra a posto: mi faccio coraggio e riprendo bilancia e provette.

raindrop-cake-2

Risultato: Ta-daaaaaan! È lei, la tetta gelatinosa più famosa del web, Brazzers a parte.

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Siamo ancora lontani dalla trasparenza della goccia originale, per ottenerla avete bisogno di una tipologia di agar differente, ma la consistenza sembra perfetta (allego gif animata per gli scettici).

L’assaggio

Va bene esaltarsi con poco, “Guarda come rimbalza!”, ma tra un gridolino di gioia e l’altro andrebbe pure assaggiata.

raindrop-cake-10

Per completare il dolce (non ridete) adagio un cucchiaio di farina di soia e tostata e un cucchiaio di sciroppo nero ai lati della goccia.

raindrop-cake-kinako raindrop-cake-sciroppo

raindrop-cake-ricetta-2

Esame olfattivo: puzza di biscotti per cani

Consistenza: bizzarra, come acqua imprigionata in una membrana croccante. Uno spasso tenerla tra le mani, proprio come una tetta vera.

Sapore: POCO. Rinfrescante, questo sì, la farina di soia ha un retrogusto di arachide tostato, lo sciroppo è l’unico ingrediente che salverei dei tre.

agar-agar-gelatina

E’ un po’ come masticare una gelée di frutta, solo più umida.

Forse sostituendo l’acqua con un altro liquido (tè, caffè, succo di frutta) potremmo dare un senso alla prima supercazzola della pasticceria.

raindrop cake-8

Esperimento terminato, la mia Raindrop cake comincia a sciogliersi lentamente, e quasi mi sembra di sentire una voce provenire dallo schermo: ma una bella torta della nonna, no?

[Crediti| Link: Youtube, Raindrop Cake, Amazon | Immagini: Rossella Neiadin]


Bombamisù, tiramisù da passeggio: la ricetta perfetta

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Si può dire Bombamisù in pubblico? O è una di quelle cose da bisbigliare piano, tappando le orecchie ai bambini?

Tranquilli, il BDSM non c’entra nulla, anche se  il tiramisù da passeggio dello chef Niko Romito, Ristorante Reale a Castel di Sangro, meriterebbe una categoria apposita su Youporn.

Una bomba di piacere cotta al forno, che a friggerla pareva brutto, intinta nel caffè e ripiena di crema di mascarpone, panna, e tonnellate di cacao a pioggia.

La polvere da sparo avrebbe fatto meno vittime.

bombamisu-2

Sì, Niko li ha stesi tutti con questa ricetta, la trovate nel volume “Tiramisù. Storia, curiosità, interpretazioni del dolce italiano più amato”, scritto dai critici gastronomici Clara e Gigi Padovani, insieme alle rivisitazioni di Albert Adrià, Lidia Bastianich, Enrico Cerea, Mauro Colagreco, Enrico Crippa, Gualtiero Marchesi, Davide Oldani, Giancarlo Perbellini.

Se le torte glassate a specchio sono la noia assoluta (le fa pure il pasticciere sotto casa mia), col dolcetto rotondo è stato amore fin da subito.

Succede sempre così quando mi approccio a ricette nuove, ricette che nessuno ha avuto il tempo di replicare, scruto la lista ingredienti con inquietudine e mi sento come Neo che decifra Matrix.

bomba-forno

Numerini verdi luminescenti e poi, boom, ecco dove l’ho già vista.

Unforkatable (la video-enciclopedia delle ricette di Romito).

Io quell’impasto l’ho provato e apprezzato (vi piazzo le dosi qui) , tanto vale sperimentare la versione bombarola.

bombamisu-4

Ennò, aspetta, qui non c’è la grammatura delle uova.

Ma come, Niko? Mi pesi anche il sale e ti dimentichi delle uova?

Dopo tutte quelle notti passate a letto, io sull’Ipad e tu con le mani a ravanare cibo sulla musica chill-out, dopo tutti quei “Proviamoci inzième” mi ripaghi così?

Un uovo intero può pesare dai 63 grammi ai 73, fare un macello in cucina è un attimo, in più quella dose d’acqua mi pare troppa.

Metto da parte la presunzione e recupero gli ingredienti, tu sei uno chef da tre stelle Michelin, e io non riesco a vincere premi manco con la scheda a punti del supermercato.

ingredienti-bombamisu

Per l’impasto delle bombe

Farina W250 g 400
Burro g 60
Zucchero g 60
Uova 2
Acqua ml 160
Lievito di birra g 10
Sale g 6

mascarpone

Per la crema tiramisù

Mascarpone g 360
Panna fresca g 300
Tuorli 5
Zucchero g 150
Acqua g 50

Per la bagna

Caffè lungo 5 tazzine
Per la finitura
Cacao amaro in polvere

Inizio sciogliendo il lievito nella dose d’acqua, faccio un vortice con la forchetta e metto da parte il liquido torbidino .

Disobbedisco e no, non impasto a mano. Protendo le braccia verso l’adorata planetaria e monto il gancio. Clack.
Verso nella ciotola la farina setacciata, lo zucchero, il burro a pezzetti e il miscuglio di acqua e lievito.

Avvio la macchina a velocità molto bassa, attendo che la farina assorba i liquidi e aggiungo le uova a filo (pesano 115g), poco per volta.

Lascio incordare per 15 minuti circa, e una volta ottenuto un impasto liscio ed elastico, termino la procedura inserendo il sale. Lascio assorbire per qualche secondo e spengo l’arnese.

A questo punto la ricetta enuncia: “formate una palla”.

impasto-bomba

Formacela tu, una palla, col Saratoga.

Copro la pasta con un panno e lascio lievitare fino al raddoppio del suo volume, di solito questo passaggio aggiusta tutto.

Nel frattempo mi dedico alla preparazione della base tiramisù, pâte à bombe per le genti francesi, quella manovra che dovrebbe eliminare il rischio di salmonellosi.

Quante paranoie, mi direte voi.

E il leggendario beverone di Rocky, fatto di sole uova crude? Stallone ne ha ingollate 5 di fila, intere, e alle 4 del mattino.
Quante volte avranno girato quella scena? Perché non è ancora morto? Non è invecchiato benissimo, diciamolo, ma forse lì le uova non c’entrano.

base-tiramisu

Arraffo un pentolino dal fondo spesso, verso la dose d’acqua indicata in ricetta e lo zucchero, giro con un cucchiaio.

Sposto sul fornello e attendo che lo sciroppo raggiunga i canonici 121°, a parte faccio schiumare leggermente i tuorli lavorandoli con la frusta elettrica.

Faccio un check con il termometro, lo sciroppo è pronto, metto in moto la macchina e verso il magma incandescente a filo nei tuorli, sul bordo della ciotola.

Sul bordo, ripeto tra me e me, non sulle fruste, sennò al pronto soccorso ci finisco lo stesso, e non per il mal di pancia.

Lascio montare fino a completo raffreddamento, copro con la pellicola e sbatto nel frigorifero.

Riprendo il fagotto appiccicoso, capovolgo sul tagliere leggermente infarinato e divido in pezzi da 65 grammi.

Formo delle palline rollando con il palmo della mano, la pasta mi si attacca alle falangi come un alien.

Vengono fuori dalla fottute pareti”, mi verrebbe da dire, cerco di tenere a bada la pasta infarinando leggermente le dita.

bomba al forno

Dispongo le palline su una teglia rivestita di carta forno, distanziandole di 4cm circa, metto tutto sotto coperta e lascio lievitare fino all’aumento dei 2/3 del volume.

pasta-bombe

Preriscaldo il forno a 170°, modalità statica, cuocio le bombe per 30 minuti e me ne pento.

Forse 25 minuti (nel mio forno eh) erano più che sufficienti, la crosta si è seccata un po’.

bomba-al-forno-interno

Lascio raffreddare.

Mescolo la base tiramisù con il mascarpone, e una volta ottenuta una crema liscia ed omogenea, unisco la panna fresca montata a lucido (semi-montata in pratica), lavorando il composto dal basso verso l’alto.

crema-tiramisu panna-lucida

Taglio le bombe a metà, inzuppo l’interno con caffè amaro e freddo, farcisco con due cucchiate di crema tiramisù.

Prima della spolverata di cacao finale, rimango come incantata da quella crema che cola dai lati.

Sempre di più, e più velocemente.

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Brandisco la brioche prima che si smonti, do un morso assestato e il ripieno finisce pure sul soffitto.

Ho una macchia di crema sulla maglietta, credo di aver inalato del cacao e sono molto, molto felice.

bombamisu-romito

Perplessità

Partiamo dall’impasto: troppo molle, lavorarlo è veramente difficile.

Vi consiglio di ridurre il quantitativo di acqua e uova, e di seguire la ricetta della pasta krapfen di Romito pubblicata qui, su Unforketable (sostituite il latte con l’acqua).

Anche la crema pecca in consistenza, forse più adatta ad un tiramisù a bicchiere.

bombamisu-6

Meraviglioso mangiare il cibo con le mani, i dolci poi, ma con questa crema che cola a fiotti sulle dita diventa un’operazione complicata, pure per i golosi scostumati come me.

Mi faccio piccola piccola e vi suggerisco di aggiungere alla base tiramisù 8-10g di gelatina in fogli. Riscaldatene metà, sciogliete all’interno la gelatina ammollata in acqua e strizzata, mescolatela con il resto.

Fate raffreddare pazientemente e procedete come da ricetta.

crematiramisu

Conclusioni

Incidenti a parte, il bombamisù è quel dolce godurioso che mi aspettavo.

La “brioche” è leggera e poco zuccherata, perfetta per un ripieno così ricco e dolce, e l’amaro del caffè e del cacao a fare da contrappeso.
In una parola sola: equilibrio. Tutt’altro che scontato in pasticceria, solo quelli bravi ci riescono.

Allora, chi ci prova? Sono io l’incapace, probabile assai, o è la ricetta ad essere sbagliata?

Mentre riflettete sul da farsi, io continuo a farmi di Bombamisù.

Crema pasticciera di Ernst Knam: io contro il Bimby

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Ovunque è Thermomix, peggiore traduzione di sempre dopo “Se mi lasci ti cancello”, film cult con Kate Winslet e Jim Carrey.

Sarà per il nome miserabile, ma il Bimby l’ho sempre snobbato.

Oppure è colpa del purè di mia zia, “Senti che buono questo mastice”, del fatto di dover cucinare alla cieca, con quelle lame sempre in mezzo, e poi a che prezzo, mortacci.

Non mi fraintendete eh, sono contro il luddismo di certi cuochi e posseggo nell’ordine: una planetaria rosso fiammante, un essicatore imponente, una gelatiera a compressore, un cutter da film horror, un minipimer d’acciaio, ho pure l’estrattore di succhi. Il sogno resta l’abbattitore.

bimby-tm31

Ma di Bimby manco a parlarne, non me lo sono mai filato.

Fino a ieri almeno.

bimby-coperchio

Il successo misterioso e inarrestabile di questo elettrodomestico mi ha dato da pensare, di fanboy ne è pieno il mondo. Anche gli chef stellati ne hanno uno in cucina, e mica so’ scemi quelli, con tutto il rispetto per mia zia.

Decido di provarlo.

Ma seriamente però, con ingredienti e cronometro alla mano, che a leggere una scheda tecnica basta la scuola dell’obbligo, le chiacchiere si fanno al bar e io bevo troppo caffè.

Uomini contro macchine

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ll Bimby va forte con le salse, dalla maionese tanto decantata alla besciamella per le lasagne. In uno slancio di inaspettata bontà d’animo, sedata la belva ipercritica  che alberga dentro me, decido di testare il giocattolo preso in prestito con una preparazione semplice: la crema pasticciera.

Ma prima di brandire l’arnese e procedere col test dimostrativo, breve parentesi accademica su questo classico della pasticceria. Aria sulla quarta corda – premere play.

Come deve essere

crema-ernst-knam-vulcanica
Aspetto: superficie liscia, lucida, colore giallo uovo
Consistenza: struttura uniforme, cremosa e priva di grumi, non deve cedere liquidi
Gusto: sapore leggero di vaniglia, aroma chiaramente distinguibile, non oppone resistenza al palato e non è farinosa

Problemi comuni

Crema bruciata sul fondo del tegame:
accade quando manca il pastorizzatore (chi non ha un pastorizzatore) e si cuoce la crema a fuco diretto.

Cause: fiamma troppo violenta, azione manuale (con la frusta) insufficiente o tegame poco adatto (deve essere di acciaio inox con triplo fondo)

Formazione di grumi:
avviene quando, durante l’aggiunta degli amidi, non si batte a dovere il composto, oppure quando la crema cotta viene lasciata scoperta e ferma durante il raffreddamento. In quel caso si forma in superficie una patina spessa, impossibile da riamalgamare.

Perdita di consistenza e formazione di liquido:
succede quando la crema non è stata cotta abbastanza e gli amidi non ha avuto il tempo di agglutinarsi (di legare insomma). Contrariamente, una cottura troppo lunga ne riduce la capacità legante.

Sensazione di farinosità sul palato:
è il segnale che la cottura della crema è insufficiente, e si verifica quando si usa esclusivamente farina.

Okay, il ripassino l’abbiamo fatto, quando arriva il momento in cui l’autrice fa a mazzate col Bimby?

La ricetta di Ernst Knam

crema-vulcanica-ernst-kanm
“Crema vulcanica”, il pasticciere teutonico la definisce così. Procedura identica a quella di scuola Montersiniana, descritta in questo recente post, che consiste nel versare la mescola di tuorli, zucchero e amidi sul latte in ebollizione. Funziona alla grande, ci si impiega un attimo ed il risultato finale è notevole.

Dunque, ho adattato la ricetta di Knam all’arnese compatriota, senza modificare ingredienti e dosi, ma attenendomi con rigore alle istruzioni di casa Vorwerk. Scarto a priori l’ipotesi contraria, mi ribello alla dittatura del ricettario rilegato in verde e seguo passo passo la sequenza di bottoni e temperature.

Io e il Bimby ce la giochiamo ad armi pari.

Ingredienti

ingredienti-crema-pasticcera

500 ml di latte intero
½ bacca di vaniglia Bourbon
120 g di tuorli (circa 6)
85 g di zucchero
30 g di amido di mais
10 g di farina di riso extrafine*

*solitamente la sostituisco con l’amido di riso

Fatto col Bimby

Modello TM31, costato quasi 1000 cucuzze, 4 anni di servizio, corpo d’acciaio Made in Germany. Oggi sostituito dal TM5, 1189 euro di upgrade touchscreen, un boccale più capiente e qualche peggioramento.

Plus: funziona anche da bilancia digitale.

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Procedo con ordine: polpa della vaniglia nel boccale, premo sulla bilancina stilizzata, verso lo zucchero semolato, sigillo col coperchio e regolo il timer: 10 secondi a Velocità Turbo.

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Dopo qualche istante lo zucchero viene sparato contro il tappo, il rumore è infernale, il boccale comincia a fumare come una capanna Sioux.

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E’ il segnale di fumo del Bimby, mi fa capire che lo zucchero è talmente fine da infiltrarsi tra misurino e foro, alla ricerca  della libertà.

Farà male inalare ‘sta roba?

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Certo che per 1000 euro una valvolina o una guarnizione potevate mettercela, cari tirchioni della Forwerk.

Sniffato lo zucchero a velo, è il momento della svolta. Aggiungo i tuorli d’uovo, l’amido di mais, la farina di riso ed il latte. Smanetto con la manopolina del timer: 7 minuti, velocità 4, 90°.

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Basta, finito, non devo fare altro.

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Avvio l’aggeggio e osservo le lucine del termostato illuminarsi come in un’astronave, sento uno strano swoosh che con il trascorrere dei minuti si trasforma in un sinistro cick ciack.

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Ad un tratto il silenzio.

Oddio, cosa sarà successo lì dentro, fatemi passare.

Il segnale acustico, brutto come il clacson della Fiat Panda, mi avverte che la crema è pronta.

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Sollevo il coperchio, gocciola del latte evaporato e successivamente condensato, la zaffata di uova è potente ma passeggera.

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Verso in una ciotola pulita e copro con pellicola a contatto.

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Risultato finale: crema liscia e spessa, perfettamente addensata e lucida. La cottura graduale ha gelificato gli amidi alla perfezione.

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Tempo impiegato: 7′ 10” netti
Stato d’animo: inquietudine mutata in sincero stupore
Fattore disordine: ho 4 pezzi da lavare, boccale, lame, coperchio e misurino.

Nonostante il nome da scemo, questo Bimby ha davvero carattere.

Fatto a mano

crema-pasticcera-ernst-knam
Rossella, caucasica, fresca trentenne, abbastanza abile nel confezionamento di dolci, vale tanto oro quanto pesa (molto).

Che sono capace a far la crema pasticciera l’avete visto più volte, qui trovate il video dimostrativo di una tecnica altrettanto rapida ed efficace. Il super-coso rotante non mi fa paura.

uova-intere

Prima di passara alla crema, trucchetto vecchio come il cucco per separare in un lampo i tuorli dagli albumi: rompete tutte le uova in una terrina e pescate con le dita i tuorli, delicatamente.

separare tuorli

Verso il latte in un pentolino d’acciaio con fondo spesso, immergo il baccello di vaniglia privato della polpa e lascio scaldare sul fuoco.

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Nel frattempo mescolo i tuorli con i semi della bacca e lo zucchero, il composto non va montato, impiego pochi secondi per farlo disciogliere completamente.

tuorli-zucchero
Aggiungo l’amido di mais e la farina setacciati, amalgamo con la frusta.

tuorli-zucchero-amidi

Tempo impiegato per terminare questa fase: 1 minuto. Alla faccia di quello là.

Quando il latte è caldo, sollevo il baccello di vaniglia e verso la mescola di tuorli, senza girare.
Il composto si espande e forma una specie di tappo, la faccenda accelera il processo di ebollizione del latte sottostante.

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Cominciano a spiccare le prime bolle, la massa comincia a salire pian piano, a separarsi, è il momento di spegnere il fuoco e girare energicamente con una frusta per almeno 30/40 secondi.

Easy, la crema è pronta.

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Verso il tutto in un nuovo contenitore pulito, continuo a mescolare per portare la temperatura sotto i 50°. Meglio sarebbe far raffreddare il composto in un bagnomaria di acqua e ghiaccio, rende la crema lucida ed evita la formazione dell’insopportabile pellicina.

crema-knam

Risultato finale: crema priva di grumi, vellutata e densa
Tempo impiegato: 6′ 33”

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Stato d’animo: sollevata e soddisfatta, il timore di attaccare tutto sul fondo è sempre dietro l’angolo
Fattore disordine: Ho sporcato 2 fruste, 1 pentolino, 2 ciotole, 2 contenitori per le pesate.

Comparazione

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La crema Bimby (A)

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Colore: giallo carico, da attribuire ai tuorli. Nonostante abbia utilizzato uova dello stesso brand, la variazione cromatica tra i due preparati è netta (dato ininfluente)
Odore: speziato di vaniglia, debole quello delle uova
Consistenza: quasi gelatinosa, molto soda
Sapore: equilibrato, zuccheri contenuti e buon sapore di vaniglia

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La crema fatta a mano (B)

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Colore: giallo tenue, ma non ci importa granché.
Odore: l’uovo è una punta più arrogante, ma il sentore predominante è quello magico della vaniglia
Consistenza: liscia e cremosa, perfettamente amalgamata, più fluida della sorella meccanica.
Sapore: praticamente identico, si distingue appena.

Conclusioni

Non si è trattata di una gara a tempo, col minutaggio siamo lì, ma con il Bimby le probabilità di combinare un disastro sono pari allo zero.
Affidabilità che solo le macchine ed il tuo cane possono darti.

Ecco, la riuscita praticamente assicurata fa davvero la differenza, di lavare un paio di cianfrusaglie in più non m’importa, né mi pesa dare due giri di frusta in un tegamino.

Insomma, il tritaghiaccio costoso ha avuto la meglio, 1 a 0 per lui. Ma questo successo, seppur inaspettato, non basta a giustificarne il prezzo proibitivo.

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Piaciuto il crash test? A me sì, soprattutto per la doppia razione di crema (è per lavoro!) che mi accingo a divorare.

Affondo il cucchiaino nella prima tazzina, un biscottino d’accompagnamento non sarebbe male, e confabulo su un ipotetico match tra elettrodomestici.

Chissà come se la cava l’aggeggio con i lievitati…

Massimo Bottura: il migliore del mondo per la 50 Best Restaurants

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L‘Osteria Francescana di Modena è il ristorante migliore del mondo. Ieri sera a New York un’edizione della 50 Best Restaurants che ricorderemo per anni ha assegnato a Massimo Bottura il riconoscimento inseguito a lungo e finora solo sfiorato.

Una scalata finalmente completata che ha permesso al ristorante italiano di passare dal secondo posto del 2015 al primato di quest’anno tra i 50 ristoranti migliori del mondo.

Il risultato, unito alle tre stelle assegnate a Massimo Bottura dalla Guida Michelin nel 2011 e al primato in buona parte delle guide internazionali, segna il punto più alto di una corsa che sembra inarrestabile.

Sul secondo gradino del podio i fratelli de El Celler de Can Roca, trionfatori della precedente edizione, seguiti dall’Eleven Madison Park di Will Guidara e Daniel Humm, a New York.

La scheda ufficiale pubblicata sul sito della 50 Best Restaurants

Il Miglior Restaurante del mondo? Sì, una giuria di circa 1.000 esperti internazionali ha deciso così. Dopo due anni in seconda posizione, il ristorante di Massimo Bottura compie il balzo che da una piccola strada del centro di Modena lo porta ad aggiudicarsi la corona mondiale, riflettendo la crescente creatività dello chef, la sua immensa abilità, la passione non offuscata e la determinazione feroce nello sfidare la sorte.

Quali erano i suoi ostacoli? La tradizione italiana.

Il 53enne cuoco-proprietario, che ha celebrato il 20 ° anniversario dell’Osteria Francescana nel 2015, ha giocato a lungo con gli standard culinari italiani – reinventandoli, sovvertendoli e migliorandoli . Ma in un paese in cui la cultura del cibo è profondamente conservatrice  è un percorso audace e talvolta controverso da prendere. Bottura non solo ha raccolto consensi a livello mondiale, ma anche conquistato la critica gastronomica della propria nazione.

Cosa ci si può aspettare: insolito per un ristorante di questo livello, l’Osteria Francescana offre anche un menu alla carta accanto a due diversi menu degustazione. Tra questi, Sensazione è quello stagionale e progressivo, il capolavoro che cambia sempre; Tradizione in evoluzione somiglia a un greatest hits che celebra l’Emilia Romagna e Modena, i luoghi in cui lo chef è nato.

Alcuni piatti forti: Il famoso Cinque stagionature di Parmigiano Reggiano sviscera il formaggio attraverso la temperatura, la consistenza e, ovviamente, il gusto. Al contrario, Autumn in New York riflette il carattere internazionale dello chef oltre che le sue influenze (sua moglie Lara è americana).

Le verdure autunnali sotto forma di conserve e sottaceti sono unite a un brodo minerale insieme a funghi secchi e concrentrato di zucca, con risultati spettacolari.

La sala: Le creazioni di Bottura sono fortemente influenzate dall’arte e dalla musica (in particolare, la musica jazz), e le tre sale che formano il ristorante sono decorate con pezzi di arte contemporanea di grande valore. Questo offre un contesto lussuoso, ma comunque studiato per gli avventori contemporanei.

Cos’altro?: l’effervescente Bottura ha fondato il progetto no-profit Food for Soul all’inizio del 2016, il suo modo di combattere la fame nel mondo e lo spreco alimentare.

Al momento della premiazione, lo chef si congeda con una omelìa familiare per chi conosce i suoi celebri speech.

Il lavoro è dura fatica, ogni giorno in cucina. L’ingrediente più importante per il futuro è la cultura. La cultura porta conoscenza e la conoscenza porta coscienza. La coscienza porta senso di responsabilità.

Tra un paio di mesi vi aspetto tutti a lavorare a Rio de Janeiro nelle favelas.

Senza l’osteria, Davide, Beppe, e tutto il team, non ce l’avremmo potuta fare.”

50-Best-Restaurants-2016-Massimo-Bottura

La lista completa dei vincitori:

1. Osteria Francescana, Modena (Italia) – WORLD’S BEST RESTAURANT AND BEST RESTAURANT IN EUROPE (+1)

2. El Celler de Can Roca, Girona (Spagna) (-1)

3. Eleven Madison Park, New York (USA) – BEST RESTAURANT IN NORTH AMERICA

4. Central, Lima (Peru) – BEST RESTAURANT IN SOUTH AMERICA (+2)

5. Noma, Copenhagen (Danimarca) (-2)

6. Mirazur, Menton (Francia) (+5)

7. Mugaritz, San Sebastian (Spagna) (-1)

8. Narisawa, Tokyo (Giappone) – BEST RESTAURANT IN ASIA

9. Steirereck, Vienna (Austria) (+6)

10. Asador Etxebarri, Atxondo (Spagna) (+3)

11. D.O.M. , Sao Paulo (Brasile) (-2)

12. Quintonil, Città del Messico (Messico) (+23)

13. Maido, Lima (Peru) – HIGHEST CLIMBER AWARD (+33)

14. The Ledbury, London (UK) (+6)

15. Alinea, Chicago (USA) (+11)

16. Azurmendi, Larrabetzu (Spagna) (+3)

17. Piazza Duomo, Alba (Italia) (+10)

18. White Rabbit, Mosca (Russia) (+5)

19. Arpège, Paris (Francia) (-7)

20. Amber, Hong Kong (Hong Kong) (+18)

21. Arzak, San Sebastian (Spagna) (+4)

22. The Test Kitchen, Cape Town (Sud Africa) – BEST RESTAURANT IN AFRICA (+6)

23. Gaggan, Bangkok (Thailandia) (-13)

24. Le Bernardin, New York (USA) (-6)

25. Pujol, Città del Messico (Messico) (-9)

26. The Clove Club, London (Regno Unito) – NEW ENTRY più votata

27. Saison, San Francisco (USA) (+29)

28. Geranium, Copenhagen (Danimarca) (+23)

29. Tickets, Barcellona (Spagna) (+13)

30. Astrid Y Gastón, Lima (Peru) (-16)

31. Nihonryori RyuGin, Tokyo (Giappone) (-2)

32. Restaurant André, Singapore (Singapore) (+14)

33. Attica, Melbourne (Australia) – BEST RESTAURANT IN AUSTRALASIA (-1)

34. Restaurant Tim Raue, Berlin (Germania) – NEW ENTRY

35. Vendôme, Bergisch Gladbach (Germania) (-5)

36. Boragò, Santiago (Cile) (+6)

37. Nahm, Bangkok (Thailandia) (-15)

38. De Librije, Zwolle (Olanda) (+33)

39. Le Calandre, Rubano (Italia) (-5)

40. Relae, Copenhagen (Danimarca) – SUSTAINABLE RESTAURANT AWARD (+5)

41. Fäviken, Järpen (Svezia) (-16)

42. Ultraviolet, Shanghai (Cina) (-18)

43. Biko, Città del Messico (Messico) (-6)

44. Estela, New York (USA) – NEW ENTRY

45. Dinner by Heston Blumenthal, London (Regno Unito) (-38)

46. Combal.Zero, Rivoli (Italia) (+19)

47. Schloss Schauenstein, Fürstenau (Svizzera) (+1)

48. Blue Hill at Stone Barns, Tarrytown (USA) (+1)

49. Quique Dacosta, Denia (Spagna) (-10)

50. Septime, Paris (Francia) (+7)

[Crediti: Link e immagini: 50 Best Restaurants]

Non chiamatelo Pata Negra: guida al prosciutto più caro del mondo

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Duecentocinquanta euro al kg, che moltiplicati per 8 fanno 2.000 cucuzze. È questo il prezzo di uno Jamon Pata Negra Albarragena, l’ex prosciutto spagnolo più caro al mondo, appena superato dall’andaluso Dehesa Maladua.

State buoni, non ho finito coi numeri.

La produzione annuale conta solo 100 unità, i 50 maiali selezionati dall’esperto Manuel Maldonado, proprietario della leggendaria azienda situata in Extremadura, grufolano per due anni in un campo compreso tra i 6 e i 10 ettari per unità, cibandosi esclusivamente di ghiande di leccio, sughero e rovere.

Aggiungete alla conta un affinamento di 48 mesi e avrete una zampa di maiale stagionata che costa quanto uno stipendio.

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Tutti soldi ben spesi, mangiare quel prosciutto è un’esperienza che ti segna, e poi lo sanno tutti che gli spagnoli fanno prosciutti più buoni dei nostri, non c’è Sardo o Cinta che tenga.

Pausa.

A questo punto del post, azzardando con l’insiemistica, vi sarete senz’altro divisi in tre gruppi:

1. Quelli che il prosciutto italiano è superiore, e costa pure di meno
2. Quelli che il Pata Negra lo mangiano a colazione, con una grattatina di tartufo bianco
3. Quelli che il Pata Negra non l’hanno mai assaggiato, e vorrebbero saperne di più

Pata negra: è giusto chiamarlo così?

razze-maiali - jamon iberico - pata negra

Iniziamo dalle basi: il nomignolo “Pata Negra”, letteralmente “unghia nera”, stava a differenziare i prosciutti di porcelli spagnoli con gli zoccoli scuri. Vuol dire tutto e niente, non ha valore semantico dal punto di vista normativo.

Non tutti i maiali iberici hanno l’unghia nera né l’unghia nera è un’esclusività di questa razza, sono altre le caratteristiche che distinguono un prosciutto spagnolo di qualità, e sono tutte racchiuse in un decreto emanato nel 2014 dal Ministero spagnolo dell’Agricoltura.

Questo non è il Vietnam, ci sono delle regole [cit.]

La legge del 2014

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Ci hanno provato in tutti i modi: zoccoli di prosciutti scadenti dipinti di nero, unghie bruciacchiate e un po’ di make-up per far passare prodotti mediocri per merce eccellente e costosa.

A tutelare produttori e consumatori ci pensa un decreto, alleluja, che riconosce solo tre tipi di denominazioni di prosciutto iberico, tutte stabilite in base al tipo di alimentazione dei maiali durante la fase di ingrasso:

Prosciutto Iberico De Cebo, alimentato con mangimi a base di cereali e leguminose
Prosciutto Iberico De Cebo De Campo, allevato a regime semibrado e combinato di mangimi, foraggi e risorse campestri
Prosciutto Iberico De Bellota: durante la Montanera, il periodo che va da ottobre a dicembre, il maiale vive allo stato brado e si ciba esclusivamente di ghiande di leccio, sughero o rovere.

maiale-iberico

Un altro fattore cardine per la classificazione del prosciutto iberico è il grado di purezza della razza, vale a dire la percentuale di geni iberici presenti nel maiale.

Il prosciutto 100% Iberico è quello realizzato macellando animali di pura genetica iberica. Ciò significa che i due progenitori, padre e madre, dovranno essere 100% iberici e figurare nel libro genealogico ufficiale.

Soltanto “Iberico” è invece il prosciutto ricavato da animali con almeno il 50% del loro patrimonio genetico di razza pura. Le madri dovranno essere sempre 100% iberiche, ma i padri potranno essere di razza duroc o incrociati iberico-duroc.

maiale-dehesa

Questa classificazione rimanda al nuovo sistema di individuazione mediante sigilli in plastica e divisi per colore.

Quello bianco indica che il maiale è iberico De Cebo, ma con una percentuale di razza iberica del 50 o del 70%, che deve essere sempre indicata sull’etichetta.

Il sigillo verde viene utilizzato per identificare prosciutti iberici De Cebo De Campo, mentre il rosso indica che l’animale è stato alimentato nei pascoli durante la fase di ingrasso, è di razza iberica (al 50% o 75 %) e si è cibato di sole ghiande.

Il sigillo nero è riservato ai prosciutti migliori, i Pata Negra veri, ricavati da maiali 100% iberici puri e alimentati esclusivamente con ghiande.

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La Dehesa

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È un vocabolo intraducibile, “el bosque humanizado”, così lo chiamano in Spagna.

La Dehesa era un terreno boschivo inadatto alla coltivazione, grazie all’intervento selettivo dell’uomo e alla puntellatura di alberi di quercia, si è trasformata nel pascolo ideale, un Eden dispensatore di frutti zuccherini e saporiti: le ghiande, in spagnolo bellotas.

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Durante il periodo della Montanera, che corrisponde agli ultimi mesi dell’anno, i maiali fanno il pieno di erbe e acido oleico, la stessa sostanza presente nelle olive. Il gusto si insinua lentamente nel grasso degli animali, al punto che gli spagnoli chiamano i maiali iberici “olive con le zampe”.

Il consumo del maiale varia in funzione del suo peso, mediamente si considerano da 6 ai 10 kg al giorno per animale, oltre a circa 3 kg d’erba e erbette aromatiche, come il timo ed il rosmarino.

Produzione e stagionatura

zone produzione - jamon iberico - pata negra
Il “porco di razza Alentejana” è un siluro di grasso su gambe sottili.

La Denominazione di Origine conta 4 regioni: a nord, la Salamanca e la città di Guijuelo, a est la provincia di Huelva e in particolare la città di Jabugo. Valle de Los Pedrochas è denominazione meno conosciuta, il viaggio termina ai confini con l’Andalusìa, nella regione dell‘Extremadura, dove la lavorazione dei prodotti iberici è particolarmente estesa (quasi un milione d’ettari di dehesa per 1500 allevamenti).

Le principali zone di trasfomazione si ritrovano sulle sierra del sud ovest di Badajoz, Ibor e Villuercas, Gredos Sur, Sierra de Montánchez e Sierra de San Pedro.

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Il processo di elaborazione delle carni avviene in 4 fasi:

Salatura e lavaggio

Dopo la macellazione, i prosciutti vengono ricoperti di sale marino per una settimana o dieci giorni, a seconda del peso. La temperatura di stazionamento può oscillare tra 1º e 5ºC, l’ umidità all’ 80 o 90%.

Trascorso questo tempo, i prosciutti vengono lavati con acqua tiepida, per eliminare ogni traccia di sale.

Riposo

Le cosce lavate trascorrono dai 30 ai 60 giorni ad una temperatura che oscilla tra i 3º ed i 6º, in questa fase il sale si distribuisce in maniera uniforme, innescando il  delicato processo disidratazione e conservazione.

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Essiccatura e maturazione

I pezzi vengono trasferiti in un essiccatoio naturale nel quale l’umidità e la temperatura sono controllati tramite meccanismi di ventilazione manuali. La temperatura oscilla tra i 15º ed i 30º, durante i 6 – 9 mesi successivi il prosciutto continua a disidratarsi e trasudare, diffondendo il grasso tra le fibre muscolari.

Invecchiamento

I prosciutti trascorrono dai 6 ai 30 mesi in cantina, la bodega. La temperatura può oscillare tra i 10º ed i 20ºC, e l’umidità relativa si attesta tra il 60 e l’80%.

In questa fase l’attività della flora microbica si aggiunge ai processi biochimici iniziati durante la stagionatura, processi che conferiranno l’aroma peculiare e il sapore finale del prosciutto.

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Lo specialista vero, impara a tagliarlo da sé, o alla peggio lascia fare alla mano esperta del Cortador, il tagliatore di prosciutto.

E gode dell’estetica codificata di certi gesti tentando di rubarne i segreti.

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E poi, diciamo la verità, il taglio a macchina è roba da pivelli, in più produce frizione e riscaldamento, tutte cose che rovinano l’aspetto e le fette di prosciutto risultanti.

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Importante: il prosciutto deve essere consumato a temperatura ambiente, preferibilmente intorno ai 21°. Soltanto a questa temperatura potrete scorgere il brillìo del grasso naturale, quando il prosciutto è freddo risulta opaco e perde punti-fascino.

I più volenterosi possono porzionare il prosciutto con le proprie manine, seguendo questa procedura:

1. Collocare il prosciutto

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Il porta prosciutto deve essere collocato ad un’altezza e in una posizione che agevoli il taglio, senza forzare i movimenti né la posizione del corpo.

Se pensate di consumare tutto il prosciutto in poco tempo, ingordi che non siete altro, iniziate ad affettarlo dalla parte centrale, anche detta fiocco (maza).

Se invece volete prolungare il piacere per più di 2 giorni, cominciate ad affettare il prosciutto dalla zona del cosciotto (Babilla).

2. Pulire il prosciutto

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Nell’ordine: togliere la cotenna e il grasso esterno che ricoprono questa zona, insistere sino a quando appare la fibra muscolare.

La parte esterna del prosciutto è ricoperta di muffe ed essudati naturali, frutto del processo di asciugatura e stagionatura, tutte impurità e nefandezze che devono essere eliminate dal contorno della zona di taglio, rischio retrogusto di rancido durante l’assaggio.

3. Affettare

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Tagliare il prosciutto a fettine molto sottili, quasi trasparenti, rispettando la larghezza del prosciutto e non superando i 6/7 cm di lunghezza. Man mano che si taglia, rimuovere dai bordi la cotenna ed il grasso esterno.

I tagli saranno sempre paralleli tra loro e in direzione contraria all’unghia, lasciate sempre alla vista una superficie piana, senza striature.

Arrivati all’osso dell’anchetta, fate un taglio profondo intorno all’osso in modo che le fette vengano fuori belle pulite.

La carne più vicina alle ossa non va affettata, ma tagliata a dadini: potrete usare i preziosi cubetti nella preparazione di brodi e stracotti.

Quando avrete divorato la parte del fiocco, girate il prosciutto, rivolgendo l’unghia verso il basso. Disponete le fette in un piatto, in un unico strato o leggermente sovrapposte.

La degustazione

Esame visivo
Il prosciutto spagnolo dei sogni ha una forma allungata, lo zoccolo nero o scuro, le ossa abbastanza sottili, il tutto ricoperto da un velo sottile di muffe.

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Eliminata la cotenna, si può intravedere un primo strato di grasso giallognolo, e man mano che l’atmosfera si scalda e si inizia a preparare il pezzo per l’affettatura, si può osservare una bella quantità di grasso bianco attaccato ai muscoli, sviluppatosi durante il periodo di Montanera.

Se il tono di questo grasso vira sul rosa significa che abbiamo un gran cu.., ahem fortuna, e ci troviamo di fronte ad un prosciutto di quelli da incorniciare.

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Anche il magro dice la sua: nelle zone meno stagionate e a temperatura ambiente, un buon prosciutto ha un colore rosso o rosa intenso,  brillante per l’effetto del grasso intramuscolare, e ricoperto da tutta una mirabolante serie di amminoacidi cristallizzati.

Aroma

Tutto dipende dall’alimentazione dei maiali in regime di montanera e dal tempo e le condizioni ambientali durante la stagionatura. Anche il punto di sale ricopre una parte importante, quando è equilibrato asseconda la percezione di tutte le sfumature profumate.

Consistenza

Gli elementi da valutare sono tre.

La succosità, prodotta per effetto combinato del grasso e di un contenuto equilibrato di sale.

La secchezza, che tende ad aumentare se il pezzo è stato esposto a un periodo di maturazione eccessivo e, in tutti i prosciutti, si concentra nella parte più superficiale.

La quantità di fibra contenuta nel prosciutto: se il prosciutto è buono, avrà meno contenuto fibroso e più grasso fluido.

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Gusto

Finalmente si mangia.

Assaporando la fibra tenera ed untuosa, scioglievole come nessun prosciutto al mondo potrà essere, coglierete note stagionate che ricordano le erbe selvatiche, il fungo, il tartufo, che aumentano di intensità e complessità a seconda della stagionatura.

Oppure mangerete senza percepire nessuna di queste cose, chissenefrega dei sentori, l’importante è godere.

I voti

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Ghianda: quando a temperatura ambiente si può percepire il sapore di ghianda nelle fette di prosciutto.

Salato: positivo solo quando è equilibrato

Dolce: una sfumatura tipica dei prosciutti spagnoli sottoposti a lunghi periodi di stagionatura in cantina, seguendo i metodi tradizionali

Piccante: dev’essere moderato, non invasivo. Di solito il piccante segnala un’ accelerazione anomala nel processo di stagionatura.

Rancido, che in misura molto ridotta, udite udite,  può essere considerato, positivo e interessante.

Tra le note gustative “positive” si registrano anche: il sapore di zucchero bruciato, quello di cantina e di frutta secca (ghiande, noci e nocciole)

LA CLASSIFICA

1. Carrasco Guijuelo59 € /Kg

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La più famosa delle aziende produttrici di Guijuelo, una delle cinque Denominazioni d’Origine.

La famiglia Carrasco alleva da quattro generazioni maiali neri di razza pura, nei pascoli di Salamanca e Estremadura.

Fibra tenace e texture succosa, il Jamon Carrasco Guijuelo vibra di un colore tra il rosa ed il rosso porpora, brillante al taglio e cesellato da infiltrazioni di grasso ben distribuite.

2. Sierra de Sevilla – 42 € /Kg

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Miglior prosciutto iberico del 2015 secondo la testata spagnola ABC.

Con una piccola produzione di circa 14.000 maiali iberici puri, questa azienda produce a Siviglia, più precisamente sui monti a nord della provincia, una sparuta selezione di prosciutti leggendari, dal sapore persistente, intenso, ingentilito sul finale da una sottile nota zuccherina.

3. Maldonado Gran Reserva DOC Extremadura – 64 €/Kg

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Tecniche ancestrali e 48 mesi di stagionatura per un prosciutto pluridecorato, leggermente dolce e dall’aroma intenso.

I maiali grufolano felici nei querceti della provincia di Caceres e Badajoz (Extremadura), habitat eccezionale per una produzione riservata a pochi e fortunati eletti.

4. Don Augustin Etichetta Oro Summum Guijuelo – 54 €/Kg

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Qualità in vetta e produzione centellinata, la parte magra di questo jamon è corposa e densa, burrosa la parte grassa in cui affondano senza sforzo le dita.

La carne ha un colore brillante, magnifica la marezzatura dalla tinta color avorio. L’aroma è persistente quanto il sapore, segnato dal gusto di nocciole tostate e ghiande lievemente affumicate.

5. El Zancao – 39 €/Kg

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Jamon ricavato da maiali allevati in Montanera nella riserva naturale di Arribes del Duero (Salamanca).

I prosciutti e le paletas (zampe anteriori) prodotti ogni anno sono solo 500, la stagionatura dura 36 mesi.

6. Ibesa Los Pedroches – 58 €/Kg

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Prendete il verde della Valle de Los Pedroches, a Villanueva de Cordoba, aggiungete maiali di pura razza iberica, il clima giusto e una microflora unica. Lasciate stagionare per almeno 24 mesi e otterrete uno Jamon Iberico de Bellota buono come pochi.

7. Señorio de Montanera – 56 €/Kg

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Recuperate mappa e pennarello, individuate il confine tra Portogallo e Spagna e cerchiate la cittadina di Burguillos del Cerro.

È qui che Felipe Perez Corcho, fondatore della cooperativa Señorio de Montanera insieme ad altri 72 allevatori, produce dal 1992 uno dei migliori jamon de bellota di tutta la Penisola Iberica.

8. 5 Jotas Gran Reserva – 65 €/Kg

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Il “5 J” è probabilmente il prosciutto iberico più noto, Sánchez Romero Carvajal è stato un pioniere della produzione di jamon iberico puro, responsabile principale della fama del prosciutto DO di Jabugo.

Allevare maiali 100% iberici rende meno e costa di più, ma i sacrifici vengono ripagati da un gusto intenso e persistente, che ricorda quello dei prosciutti di Huelva.

9. Jabugo Sierra Mayor 10 Vetas – 51 €/Kg

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Altro prosciutto del Consorzio di Jabugo, prodotto nella località Sierra de Huelva, Andalusìa.

I prosciutti, a seconda del peso, hanno una stagionatura tra i 26 e i 40 mesi, il grasso brilla di luce propria e la carne si tinge di rosa con sprazzi di bordeaux.

10. Joselito Gran Reserva – 76,90 €/Kg

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Grugno rosso su fondo nero, il logo di Joselito è il più conosciuto tra i marchi di prosciutto iberico.

Jamon di stazza considerevole, con più grasso interno ed esterno, poco salato e stagionato a lungo: 24, 30 o 96 mesi (edizione Vintage / 3000 euro al pezzo).

È il prosciutto preferito degli chef, da Alain Ducasse a Joël Robuchon. Ferran Adrià ha addirittura fondato uno spazio di ricerca, il Joselito Lab , dove crea oli, burri e un’insolita maionese, utilizzando la parte grassa di questa costosissima specialità.

[Crediti | Link: Pata Negra online, ABC, Dissapore | Infografiche: Dissapore]

Nutella: quanto costerebbe a Ferrero sostituire l’olio di palma

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Ho mangiato un biscotto senza olio di palma e non sono morto.

Potrebbe essere il titolo di un nuovo docu-film alla Michael Moore, con il regista americano che abbraccia un orango in copertina.

O un barattolo di Nutella, il prodotto a base di olio di palma più venduto al mondo.

Sarà questo l’ingrediente segreto?

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Nutella, che rappresenta il 50% circa delle vendite Ferrero, deve la sua consistenza setosa e la sua conservabilità proprio ai grassi ricavati dall’Elaeis guineensis, la palma della discordia.

Preparare la Nutella “senza” non si può, si otterrebbe un prodotto diverso, probabilmente inferiore, come fare un lungo passo indietro inciampando in un barattolo.

Ma quanto costerebbe sostituire l’olio di palma con un altro olio vegetale?

Facciamo un po’ di conti.

L’olio di palma costa 800 dollari alla tonnellata, quello di girasole 845 dollari, quello ricavato dalla colza viene venduto sul mercato a 920 dollari.

Ferrero utilizza circa 185.000 tonnellate di olio l’anno, che in soldoni si traduce in un aumento dei costi di produzione di 8-22 milioni di dollari.

Cifre che fanno passare la fame.

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Sembrava essere passata la buriana del terrorismo alimentare, delle flagellazioni sui social, Ferrero ha addirittura organizzato un convegno scientifico (“Olio di palma: una scelta responsabile, basata sulla scienza“ ), per quanto molto contestato.

Ma è successo, è successo di nuovo.

Un gruppo di 60 eurodeputati ha presentato un’interrogazione parlamentare per chiedere a Efsa, Autorità europea per la sicurezza alimentare, di intervenire sulla faccenda olio di palma a tutela dei consumatori.

Come intende gestire i potenziali rischi dovuti all’assunzione di acidi grassi di palma? Ci sono i margini per regolamentare la presenza di composti pericolosi all’interno di questi oli?

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Sì perché Efsa ha recentemente concluso che “vi sono prove sufficienti che i glicidil esteri degli acidi grassi (contaminanti che si formano durante la lavorazione di oli vegetali raffinati, per superamento del tetto di 200C) sono genotossici e cancerogeni.

I più alti livelli di glicidil esteri degli acidi grassi sono stati trovati negli oli di palma e nei grassi di palma.”

L’ha detto l’Efsa, mica Topo Gigio.

E se da una parte gli scaffali del super si riempiono di prodotti bollati coi “senza”, senza ogm, senza glutine, senza olio di palma (il mercato dei prodotti “senza” vale due miliardi di euro) Ferrero se ne sbatte e risponde a muso duro, argomentando.

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Il diavolo, si sa, sta nei dettagli, e a causare pericolo e sofferenza sarebbero le alte temperature utilizzate per rimuovere dall’olio di palma il colore (rosso di natura) e l’odore.

Ferrero dichiara di adoperare un processo che non supera i 200C incriminati, il tutto combinato con una pressione estremamente bassa, che minimizza lo sviluppo di eventuali contaminanti.

L’olio di palma utilizzato da Ferrero è sicuro, perché ricavato dai frutti premuti a freddo, processati a temperature controllate. E come se non bastasse proveniente da coltivazioni di palma sostenibili, con il benestare di oranghi e Movimento 5 Stelle.

Nutella galleggia placidamente su un mare di grassi saturi.

Non sono bastati l’Efsa, Coldiretti, i distinguo dei più noti marchi italiani che con pedante puntualità precisano “senza olio di palma”. Neanche l’apocalisse e quei dannati nutellotti (i biscotti ripieni di Nutella) che impestano il web.

Ferrero non ha mai smesso di macinare nocciole e guadagni.

Quella di Alba è la sola azienda alimentare che continua, in direzione ostinata e contraria, a usare sfacciatamente olio di palma.

E gli effetti si sono visti: da agosto scorso Nutella ha perso circa il 3% del fatturato.

Ma la campagna pubblicitaria di Settembre, quella dello spot con la musichetta commovente di Little Miss Sunshine, ha riattivato la macchina e fatto risalire le vendite del 4% , segnando una crescita costante del 5-6% annuo.

Il bilancio del 2016 si è chiuso ad Agosto a 10 miliardi di euro, e 2 miliardi del fatturato provengono proprio dalle vendite di Nutella.

Non è la specie più forte a sopravvivere, e nemmeno la più intelligente. Sopravvive la specie più predisposta al cambiamento, e Ferrero non vuole che Nutella muoia.

[Crediti | Link: Reuters, Il Test, Parlamento Europeo, Dissapore | Immagini : Il Fatto Alimentare | Video: Ferrero]

Torta di mele: ricetta perfetta

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Tutte le ricette riuscite sono simili fra loro, ogni ricetta fallita fallisce a modo suo. La mia personale collezione di fallimenti con la torta di mele è così lunga che a volte mi chiedo se è nata prima lei o la sofferenza. Eppure sono stata cordialmente invitata a cucinare la torta di mele per una rubrica che si chiama “La Ricetta Perfetta”. Naturalmente, ho accettato.

Che io mi ricordi, ho sempre voluto fare la torta di mele, per la precisione da quando qualcuno incautamente mi ha regalato il Manuale di Nonna Papera. Che quella non era apple pie, macché, niente cupole di frolla o brisée fumanti, c’erano lievito, uova, latte, farina, zucchero e mele. E tutto italianissimo.

“Dovrei essere a dieta ma riesco a mangiare solo torta di mele e cose del genere.”
(Marlon Brando intervistato da Truman Capote, sul set cinematografico di Sayonara)

La torta di mele, una torta soffice e veloce da preparare il cui principale ingrediente di ripieno è la mela, è una di quelle cose che ti induce a sperare ancora nell’operato umano, quando trovi la ricetta giusta è un po’ come per l’abito da sposa: abbracci la mamma e piangi. Siccome una sola ricetta per gente come voi mi sembrava un po’ pochino ho deciso di complicarmi volontariamente la vita sperimentandone tre. E non è una scusa per mangiare torta di mele per almeno cinque giorni consecutivi, no no.

È per tutto quell’amore misto ad euforia che le ricette ed il cibo si portano inevitabilmente dietro, un amore incondizionato e semplice, che è comunque sempre più del colesterolo.

Mele nella cestaMele nella cestaMele nella cesta

Né budino, né asciugamano. Una torta di mele perfetta ha un rapporto ponderato ed armonioso tra impasto soffice e tocchetti di mela succosi. E non sto parlando di quei ciambelloni fatti di malta camuffati da un sottile strato di frutta molliccia. E’ come quando levi il push up prima di andare a letto, o addirittura peggio.

Sull’imprescindibilità del Calvados possiamo trovare un accordo (maledetti bambini), sulla massiva quantità di cannella NO. Oltre alle Renette e alle Granny Smith c’è un mondo, fatto anche di mele Annurche, le mie preferite.

E oltre alla ricetta di mamma migliaia di cassetti e fogli ingialliti ed unticci, torte di mele alla maniera russa, quattro quarti e chissà cos’altro ancora.

Tre diverse torte di mele

La Sharlotka (paura, eh?)
Lo so, il nome suona un tantino minaccioso.

Trattasi di una torta di mele russa, a spanne simile ad un Biscotto Savoiardo (ma senza fecola) molto areato e naturalmente privo di grassi. Diverse le teorie sull’origine e le eventuali contaminazioni, sul web imperversa la ricetta del blog Smitten Kitchen, ovvero questa:

Ingredienti

6 mele grandi
3 uova
200 g di zucchero semolato
125 g di farina 00
1 cucchiaino di estratto di vaniglia

Per la finitura:
cannella in polvere q.b.
Zucchero a velo

Preparazione

Sharlotka

Per preparare la ricetta della torta di mele più buona che ci sia, inizio preriscaldando il forno a 180°, modalità statica come se si trattasse di un Pan di Spagna. E mi raccomando le uova, a temperatura ambiente. Altrimenti l’impasto non si monta a dovere e mi lanciate contro anatemi. Sbuccio le mele con un pelapatate, col coltello non ho ancora imparato.

Rossella, metà delle mele è nel bidone dell’umido, mi ripetono sovente. Le taglio a fettine quadrate, piccole e sottili, a naso 1 cm per 5mm di spessore. Trattandosi di un impasto privo di lievito meglio non infierire con pezzi di frutta troppo “pesanti”.

Monto le uova intere con lo zucchero, lascio lavorare le fruste per dieci/quindici minuti e aggiungo l’estratto di vaniglia. Una volta ottenuto un composto chiaro e spumoso verso la farina (setacciata) e giro delicatamente con una spatola dal basso verso l’alto.

Sistemo i pezzetti di mele in una teglia (diametro 24 cm), imburrata e foderata con carta forno, e ricopro il tutto con l’impasto appena preparato. Aspetto (poco) che la pastella tocchi il fondo e si distribuisca in modo uniforme insinuandosi tra i pezzi do frutta.

L’impasto andrebbe schiacciato leggermente con un cucchiaio, io l’ho letto troppo tardi.

Faccio cuocere a 180° per un’ora e lascio raffreddare completamente prima di capovolgere su un piatto da portata.

Preparazione della sharlotka

Risultato: una torta con una texture molto leggera ed areata. I succhi presenti nelle mele scongiurano l’effetto spugna per piatti.

Preparazione della sharlotka

Variante: la quattro quarti

Somiglia molto alla torta di mele dell’infanzia e la ricetta è di quelle semplici da ricordare (pari peso di uova, zucchero, burro e farina). Non c’è lievito nell’impasto, come in tutte le quattro quarti che si rispettino, e la morbidezza è data “meccanicamente” dalla montata di burro, zucchero e uova.

Recupero dallo scaffale l’ultimo libro del cuoco nero, Maurizio Santin, e rimetto in funzione la bilancia.

3 uova intere ( il peso si aggira intorno ai 180 g)
180 g di zucchero semolato
180 g di burro
180 g di farina 00
1/2 bacca di vaniglia (sostituibile con ½ cucchiaino di cannella)
3 mele medie (Maurizio consiglia le Granny Smith)

Preparazione della torta di mele Quattro Quarti

Preriscaldo il forno a 175° e faccio fondere lentamente il burro in un pentolino. Rompo le uova (a temperatura ambiente) con le fruste, aggiungo lo zucchero e lascio montare fino ad ottenere il solito composto chiaro e spumoso.

Nel frattempo taglio le mele a cubetti di 1,5 cm circa e setaccio con cura la farina. Aggiungo le polveri a mano, sempre mescolando delicatamente dal basso verso l’alto , e verso una cucchiaiata dell’impasto appena ottenuto nella ciotola del burro fuso (ormai raffreddato).

Unisco il burro stemperato al resto della montata, amalgamo con la spatola ed aggiungo le mele. Verso in uno stampo da 24cm imburrato ed infarinato e faccio cuocere in modalità statica per un’oretta circa. Lascio raffreddare nello stampo per almeno 5-10 minuti e capovolgo sul vassoio.

Torta di mele Quattro Quarti

Risultato: torta compatta ma fondente. L’ideale per chi ama i dolci ricchi e grassocci (io!io!), consigliabile l’aggiunta di una mela extra (ed una puntina di lievito per bilanciare i liquidi).

Torta di mele e cannellaTorta di mele e cannellaTorta di mele e cannella

Variante: torta di mele e cannella

Questa ricetta qui potrei decantarla a memoria. È la torta di mele di Madame Laura Ravaioli, un innamoramento folle e duraturo che mi porto dietro insieme al quadernino sgualcito con tutte le ricette del Gambero trascritte a penna.

Consiste in una pioggia di mele affondate in un impasto morbido e ricoperte da uno sottile strato di zucchero caramellato e stordito dalla cannella, tantissima cannella.

150 g di farina 00
100 g di zucchero semolato
150 g di burro morbido
3 uova intere
la scorza grattugiata di 1 limone
3 cucchiani di lievito
4 mele Renette
1 pizzico di sale
3 cucchiai di zucchero semolato misto a cannella in polvere (1:1)

Preriscaldo il forno a 180° e mi appresto a sbucciare l’ultima tornata di mele. Taglio in quarti e poi a fettine spesse ½ cm, sono ammessi anche i cubetti, pure quelli storti e brutti. Comincio a montare il burro morbido con le fruste ed aggiungo lo zucchero a pioggia, fino ad ottenere una cremina bianca ed areata.

Aggiungo le uova, una alla volta, proprio come fa Laura in questo video, e la buccia di limone grattugiata. Verso la farina setacciata con il lievito, un po’ alla volta, e lascio lavorare le fruste per pochi secondi.

Trasferisco l’impasto nella tortiera (24cm di diametro) imburrata ed infarinata, livello con il dorso di un cucchiaio e adagio le mele in superficie, esercitando una leggera pressione. Spolvero con il mix di zucchero e cannella (calibrate la miscela come volete) e inforno a 180° per 40 minuti circa.

Torta di mele e cannella

Risultato: impasto soffice e aromatico, la caramellatura in superficie fa la differenza. A volte riduco la dose di lievito, utilizzo circa metà delle canoniche bustine, e sostituisco il limone con la vaniglia.

Bene. La festa è finita e non ci sono più mele da sbucciare. Ho una cucina che profuma di paradiso e caos e credo mi ciberò di torta di mele per l’intero weekend.

La vita è bella e dell’altra metà della mela mi frega poco. L’importante è avere la torta di mele intera.

[Crediti | Link: New Yorker, Melannurca, Melangery, Smitten Kitchen, Amazon, Made in Santin, Gambero Rosso. Immagini: Rossella Neiadin]

Gin, sambuco, menta, zenzero e un paio di donne cazzute: Josephine, il cocktail della rivalsa

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Basta testosterone, basta dominio maschile: finalmente un drink con lo special touch di una donna, per la precisione quello di Luana Bosello , giovanissima bartender di Taglio. Che per noi ha pensato al Josephine e, proseguendo la parentesi woman power, mi piace pensare sia dedicato a Josephine Baker la prima star della danza di colore.

Parliamo di inizio secolo scorso. Eppure si dice che il twerking l’abbia inventato lei.

Voglio dire, Josephine nel 1925 indossava un gonnellino di banane, il seno scoperto ed un corpo di una bellezza imbarazzante. Roba che Beyoncé si sarebbe chiusa in bagno a piangere, lei con tutte le anaconde (ma quella è Nicki Minaj).

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Ma torniamo all’omonimo cocktail, che forse è meglio darsi all’alcol. Una “magra” consolazione però ce l’ho: sono l’unica in redazione a non avere il reflusso gastroesofageo.

Ora datemi una bandana, che mi sento tanto l’icona del lavoro yankee Rosie the Riveter e partiamo con la ricetta

Josephine.

Cocktail Josephine, ingredienti

4.5 cl di London dry gin
1.5 cl di liquore al sambuco
1.5 cl di simple syrup (sciroppo di zucchero)
10 foglie di menta
4 pezzettini di zenzero
1 lime

Tra gli ingredienti vedete che campeggia il liquore ricavato dalle infiorescenze di sambuco, che non è la Sambuca che il nonno mette malinconicamente nel caffè. C’è chi i fiori di sambuco se li magna fritti, chi ci fa lo sciroppo, la confettura o addirittura il pane.

Attenzione però al sambucus nigra , l’ideale per far venire il mal di pancia alla suocera. Non paga vi dico anche che il sambuco è leggermente diaforetico, nel senso che fa sudare.

Tecnica: shake and double strain, che vi ho già spiegato cos’è.

Cocktail Josephine, ingredienti nel mixerCocktail Josephine, ingredienti nel mixer

Si inizia sistemando nello shaker il lime, il simple syrup e lo zenzero, pelato e tagliato a pezzetti. Si pesta il tutto con il muddler (aka pestello) e si aggiungono le foglioline di menta fresca.

Si da una leggera mescolata con il bar spoon, quel cucchiaio lunghissimo che vi farà sentire parecchio fighi, per estrarre gli oli essenziali della menta tralasciando il retrogusto amarognolo.

E’ la volta del gin e del liquore al sambuco, quindi ghiaccio fino all’orlo e una bella shakerata energica. Il cocktail va filtrato e versato in una coppetta raffreddata, “si straina con un colino”, come dicono quelli bravi.

Cocktail JosephineCocktail JosephineCocktail Josephine

Bene, il mio Josephine è pronto ed ha un’aria convincente. Non sarà bello come quello di Luana ma vi assicuro che a berlo si gode violentemente.

Facciamo che si chiama “Giuseppina”, così nessuno si offende.

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Muffin al cioccolato, la ricetta perfetta

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Nei mie sogni di bambina l’America era quel posto zeppo di club che somigliano al Blue Note, e negli stessi sogni mi immaginavo futura cantante fascinosa e scollacciata, in mezzo ad aliti di fumo di sigaro e spalmata su un pianoforte a coda. Nella cruda realtà di adulta il problema, più che la voce modesta, sarebbe trovare un pianoforte che mi regga.

Cupcake tua sorella.

Si parlava di Stati Uniti, americani come il muffin, che non è il fratello casual della cupcake ma parente alla lontana della meno famosa focaccina inglese.

L’English muffin, come recita solenne la Larousse Gastronomique alla pagina 703, consiste in un “panino” appiattito e perfettamente tondo, tagliato al centro (mai col coltello) e servito con burro e marmellata, venduto per strada in epoca Vittoriana.

Quello ammericano invece, la pound cake formato mignon, compare per la prima volta in un dizionario di American Regional English soltanto nel 1879.

Il muffin perfetto ha una briciola soffice ma non troppo densa e si distingue dalla sorella shampista (la cupcake) grazie al caratteristico muffin top, espressione gergale utilizzata anche per indicare quella porzione di pancia che solitamente affiora quando cerchiamo disperatamente di rientrare nei jeans delle superiori.

La farina è sempre quella povera di glutine, lo zucchero quello bianco, sì al latte/latticello e poche le uova. La differenza la fa il metodo: creaming vs combine. C’è chi monta il burro con lo zucchero e chi sposa gli ingredienti secchi con quelli liquidi, senza troppe pippe mentali.

Nigella Lawson (men love her because they want to be with her, women love her because they want to be her).

Di ricetta perfetta per i muffin al cioccolato ce n’è solo una e fa rima con Nigella Lawson, nostra signora degli eccessi e dei twin set rosa color cipria. Sono anni che sperimento altre formule, ma alla fine torno sempre da lei, piangendo e chiedendo scusa al santino appeso in cucina.

Do una controllata al suo sito ma della ricetta non c’è traccia. In compenso scopro il kitchen queries, il corner delle domande dei fan impediti .

Io più che interrogarla su quanto sia giusto utilizzare una brisée sulla tatin invece che la sfoglia, le chiederei consigli su come indossare correttamente le cinture di sicurezza. (Come gestisci le tue ghiandole? Le sposti di lato? No perché io un problemino con le mie protuberanze ce l’avrei!)

Ma poi sta cosa che vai a mangiare gli avanzi freddi di frigo, col trucco intatto, le ciglia finte e la vestaglia di seta . Ma dico, l’hai mai comprato un mollettone di plastica? La tuta antistupro ogni tanto la metti?

Tempo di preparazione

10 minuti

Tempo di cottura

20 minuti

Dosi per

12 muffin piccoli

Ingredienti

  • 250 g di farina 00
  • 20 g di cacao amaro (2 cucchiai)
  • 10 g di lievito per dolci (2 cucchiaini)
  • 3 g di bicarbonato di sodio (½ cucchiaino raso)
  • 150 g di cioccolato fondente/gocce di cioccolato
  • 250 g di latte intero o buttermilk (latticello)
  • 175 g di zucchero
  • 80 ml di olio di semi di arachide
  • 1 uovo intero
  • 1 cucchiaino di estratto di vaniglia
  • 1 pizzico di sale

Muffin al cioccolato, ingredientiMuffin al cioccolato, ingredienti

Nigella gli ingredienti li declama in cup, ma io li ho pesati per voi, uno per uno. Non sentitevi in debito eh, non ce n’è bisogno. Preriscaldate il forno a 200° in modalità statica, piuttosto.

Preparazione

La procedura è di quelle elementari e a prova di idiota: da una parte gli ingredienti liquidi (latte o buttermilk, olio, uova es estratto di vaniglia) e dall’altra quelli “secchi” (farina setacciata con il lievito, il cacao, il bicarbonato, il cioccolato tritato grossolanamente ed il sale).

Muffin al cioccolato, ingredienti

Si da una bella mescolata ad entrambi i composti (in particolare le polveri) e poi si miscelano con un cucchiaio o una spatola, per pochi secondi.

Muffin al cioccolato, farina e cioccolato

Giusto il tempo di dissolvere la farina, meno vi sbattete e meglio è.

L’impasto finale risulta abbastanza liquido, non vi curate dei grumi e riempite la teglietta apposita (la dose è per una muffin tin da 12) precedentemente imburrata o foderata con i pirottini. Io solitamente li evito, ma solo perché mi vergogno a rosicchiare i residui dalla carta in pubblico.

Muffin negli stampiMuffin negli stampi

Ora non vi resta che cuocere le vostre tortine per 20 minuti, sempre a 200°.  Prima di infornare potete rincarare la dose aggiungendo altro cioccolato sulla superficie (100 g dovrebbero bastare). Modalità ventilata non contemplata, pena muffin deformi e troppo cotti in superficie.

Ottimi come merce di scambio o per coadiuvare una richiesta di denaro/favori.

Muffin al cioccolatoMuffin al cioccolatoMuffin al cioccolato

Il muffin si sente a suo agio a temperatura ambiente, anche per tre, che dico quattro giorni.

Muffin al cioccolatoMuffin al cioccolatoMuffin al cioccolatoMuffin al cioccolato

Il muffin vi evita di grufolare nel refrigeratore con il led azzurro sparato in faccia e può essere comodamente collocato sul comodino, accanto all’abat-jour.

Nel caso vi venga fame e la vestaglia da fatalona sia ancora in lavatrice.

[Crediti | Link: Food Timeline, Larousse Gastronomique, immagini: Rossella Neiadin]

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La ricetta perfetta: torta caprese

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Prima di tormentarvi col Natale e i grassi saturi mi ricongiungo a voi con la ricetta perfetta di una torta al cioccolato inventata a Capri, ecco perché si chiama torta caprese, quell’isola meravigliosa bagnata dal Tirreno dove tutto costa il doppio.

La prima volta che la vidi avevo 4 anni, ricordo il mare, il caldo abominevole e la giornata scandita dai miei “sono stanca/quando si mangia?” . Sono passati 24 anni da allora e le cose che odio di più sono ancora camminare sotto il sole cocente e “patire” la fame.

Niente amici con l’insalata (caprese). La torta caprese è quel dolce che ha salvato tutte le mie gitarelle e scampagnate scevre di frigorifero. Una torta al cioccolato e mandorle con una lista di ingredienti succinta e naturalmente (vivaddio) priva di glutine.

Torta caprese Giallaranci mitili impazziti di luce

Stando a quanto scritto su “Giallaranci mitili impazziti di luce”, libercolo molto grazioso sulla cucina caprese (e con un titolo notevole), il dolce in questione nasce sull’isola negli anni ’50, per errore. Sì perché quando è buio e hai sonno è facile (?) confondere il cacao con la farina, soprattutto se la inali.

Torta Caprese al cioccolatotorta Caprese al cioccolato con coltello e cucchiaino

Verità o sogno mendace, la caprese si prepara imbastendo una proporzione alchemica tra farina di mandorle, cioccolato fondente, zucchero, burro e uova.

Less is more, dicono quelli che suonano il blues.

Sempre sul libro dei mitili incazzati e fotofobici leggo una ricetta simile a quella (famosissima) di Lydia Capasso, ma identica a quella del Maestro AMPI, Francesco Elmi. E se delle cozze con le turbe comincio a dubitare, di un uomo che tatua le donne con il cioccolato mi fido ciecamente.

INGREDIENTI

ingredienti per la Torta Caprese

dose per uno stampo da 26 cm

  • 250 g di zucchero
  • 250 g di burro morbido
  • 250 g di mandorle (o farina di mandorle)
  • 250 g di cioccolato fondente al 70%
  • 6 uova medie a temperatura ambiente.

Aromi a scelta, opzionali (io non li ho messi):

  • la buccia grattugiata di mezzo limone non trattato
  • la buccia grattugiata di mezza arancia
  • un bicchierino di rum
  • la polpa di una bacca di vaniglia.

Le mandorle, pallide o tostate, vanno ridotte in farina. Meglio tenerle in freezer per un’oretta e passo tutto al cutter (il calore generato dalle lame potrebbe provocare la fuoriuscita di oli indesiderati). Non è necessario accanirsi e ottenere una polvere finissima, un po’ di granella sotto i denti fa sempre piacere. Ps. Se qualcosa va storto vi autorizzo a chiamare la postina del Polident.

Il lievito è il demonio, ma la farina è peggio. Superfluo anche l’amido di mais, la fecola e tutte le polveri bianche che vi vengono in mente. C’è chi aggiunge briciole di biscotto o pane tostato per tamponare l’umidità del dolce. Senza motivo, per quanto mi riguarda.

Torta Caprese al cioccolatouna Torta Caprese

Il cioccolato. Al 55%, al 66%, chi offre di più? Io mi son fermata al 70% ma si accettano scommesse.

Tempi di cottura

La cottura della torta caprese è quella nel tradizionale ruoto svasato, che poi è lo stesso utilizzato per la pastiera di grano. Niente panico, una tortiera con fondo amovibile andrà benissimo, l’importante è imbroccare le temperature ed i tempi. Perché se la caprese cuoce troppo si secca al centro e, come amiamo dire noi genti campane, “annozza” (strozza).

Preparazione

Inizio a preparare la ricetta della torta caprese perfetta sciogliendo il cioccolato a bagnomaria e preriscaldando il forno a 180°, modalità statica.

Tiro fuori le mandorle (non tostate) dal freezer e le disintegro, a intervalli di qualche secondo, in un banalissimo robot da cucina.

Il cioccolato fuso si è intiepidito, lo aggiungo al burro morbido leggermente montato con le fruste e amalgamo il tutto con cura. In un’altra ciotola monto i tuorli con 200 g di zucchero semolato e li aggiungo al composto di burro e cioccolato, mescolando delicatamente con una spatola.

Monto gli albumi a neve ferma con i 50 g di zucchero superstiti (danno un po’ di sostegno alla massa) aggiungo al composto di tuorli e cioccolato la farina di mandorle e completo l’opera con i bianchi montatati a neve. Mescolo con garbo dal basso verso l’alto, non voglio sgonfiare l’impasto.

Verso in uno stampo circolare foderato con carta forno (e non infarinato) e lo faccio per due motivi:

– Odio la pellicina biancastra sui dolci al cioccolato, al limite uso il cacao
– Se aggiungiamo la farina il discorso del gluten-free va a farsi benedire. E poi con la carta forno vi vengono fuori i bordini belli precisi.

Lascio cuocere la torta caprese a 175°-180° per 35/40 minuti, prova stecchino permettendo. La torta deve rimanere umida al centro, ma il giusto.

Una volta raffreddata capovolgo la torta caprese sul piatto di portata e cospargo con una tormenta di zucchero a velo. Vi risparmio i Faraglioni disegnati col cacao, fa troppo mare d’inverno.

Torta Caprese fetta

una fetta di Torta Caprese

Mare mare, qui non viene mai nessuno a farci compagnia.
E meno male, così la torta la mangio tutta io.

[Crediti | Altervista, Tzatziki a colazione, Ampiweb, Francesco Elmi, Youtube]

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Regali di Natale fai da te: speciale biscotti con 10 ricette perfette

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Il calendario dell’Avvento segna meno nove (MENO NOVE!), la lista dei regali di Natale si allunga per contrappasso e voi siete ancora indecisi tra il maglione a coste che punge e il profumo che fa venire il mal d’auto. Forse è il caso di smettere di comprare nel mucchio e affiancare a certi doni piccole porzione di meraviglia e di cibo fai da te, fatto in casa, fatto come si deve insomma.

Così il malcapitato il maglione lo mette, ma almeno non vi toglie il saluto

Regali di Natale fai da te, biscotti

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Dieci ricette for the win.
Proprio come le signorine americane perbene, sospinta dal fervore natalizio e dalle ali dell’incoscienza ho cominciato ad impastare, spignattare e sfornare biscotti a ripetizione, riuscendo ad imprecare solo un paio di volte. L’obiettivo era quello di prepararne a tonnellate, da distribuire tra il parentame e quelle idrovore che mi ritrovo per amici.

E siccome ho fatto un lavorone immane ora vi tocca pure stare qui, buoni buoni, e sorbirmi per almeno due post.

Gli otto stadi della perfezione sotto forma di biscotto.
Prima di parlare di dosi e ingredienti qualche trucco per ottenere biscotti in formissima, per evitare cioè che le vostre stelle ed abeti prendano in cottura il contorno del fallimento e le sembianze di una macchia di Rorschach.

Biscotti, regali di Natale fai da te

1. Agenti lievitanti
Questa è facile. Qualunque sia la ricetta che avete scelto di seguire, limitate l’uso di bicarbonato e affini. Con i dovuti accorgimenti si possono ottenere biscotti friabilissimi e leggeri, anche omettendo il lievito per dolci.

2. Temperatura del forno
Assicuratevi che il forno arrivi a temperatura: il calore repentino cuocerà immediatamente il biscotto ed eviterà fastidiosi spiattellamenti.

3. Stay cool
Lavorate gli impasti in ambienti piuttosto freschi, avrete a che fare con panetti burrosi e, a volte, appiccicosi. Infarinate la spianatoia, senza esagerare, e tenete sempre in movimento il disco di pasta . Se necessario spolverate gli eccessi di farina con un pennello.

4. Lavorazione
Accorciate i tempi ed impastate quel poco che serve a tenere insieme tutti gli ingredienti.

5. Burro
Utilizzate un burro di qualità, che ha una percentuale d’acqua minore.

6. Questione di spessore
Il biscotto perfetto oscilla tra i 4 mm ed 1cm di spessore, prendete bene le misure.

7. Cottura
Cuocete su un foglio di carta forno o sul Silpat (il tappetino di silicone), l’attrito preserverà la forma dei biscotti ed il vostro sistema nervoso.

8. Chill babe
L’ultimo accorgimento ed il più importante. Una volta terminato l’impasto avvolgete il tutto nella pellicola, appiattite con il palmo delle mani e trasferite in frigorifero per almeno un paio d’ore (meglio se per un’intera notte).

Dopo aver steso la pasta con il matterello e ricavate le forme, trasferite sulle placche foderate con carta forno e riponete nuovamente in frigorifero per una/due ore circa. In questo modo il burro ricristallizzerà ed i biscotti, nonostante il calore, non cederanno di un millimetro.

Fase due: il restauro
Molto bene, i biscotti sono belli che raffreddati e pronti per il restyling. Piccola parentesi: non mi piace il cibo eccessivamente decorato e manipolato, perché diventa incarnazione di una bellezza che vorrei non finisse mai.

Ben vengano le glasse e gli zuccherini, è Natale dicono, ma senza dimenticare che il gusto, come nella vita del resto, viene prima di tutto.

Regali di Natale fai da te, restuaro biscotti

La ricetta perfetta: Royal Icing
Vi lascio la mia ricetta preferita per la ghiaccia reale (Royal Icing) , molto in voga tra i decoratori di mezzo mondo e pluritestata. L’aggiunta di cremor tartaro la rende “elastica” e resistente, adatta anche a decorazioni per gente che ha tanta, tantissima pazienza (vedi brush embroidery, extension work, ecc..).

Ingredienti:

1 albume

¼ di cucchiaino di cremor tartaro

200/250 g di zucchero a velo setacciato

½ cucchiaino di glucosio

Versate in una ciotolina il cremor tartaro ed aggiungete gradualmente l’albume, mescolando con una forchetta. Trasferite il composto nella planetaria o in una ciotola più ampia e avviate la macchina (o lo sbattitore elettrico) con la frusta “a foglia”, aggiungendo gradualmente lo zucchero a velo setacciato.

Quando la ghiaccia formerà il cosiddetto “becco” (o stiff peak) aggiungete il glucosio e versate il composto in un contenitore a chiusura ermetica, con pellicola a contatto.

Abbiate pazienza e fate riposare il tutto per 24h. Ripassate tutto al setaccio (da 1 a 3 volte) e provate a formare un archetto di ghiaccia tra le dita. Se cede rovinosamente aggiungete poche gocce d’acqua o di albume.

Si conserva a temperatura ambiente fino a 5 giorni, ma voi utilizzatela subito.

E se è la prima volta che vi approcciate ai biscotti date uno sguardo a questo video, che spiega come tracciare le linee di contorno.

Qui invece trovate le istruzioni per fabbricare i cornetti da decorazione in carta forno. Tenete a portata di mano un panno inumidito, vi servirà per pulire i beccucci (meglio cominciare con un numero 1 o 2) e se vi capita di sbagliare, aspettate un paio di minuti e grattate via il misfatto con uno stuzzicadenti.

Ricette: le prime cinque

Regali di Natale fai da te, biscotto

Gingerbread man (watch out boy, she’ll chew you up)

Regali di Natale fai da te, Gingermanbread

Il mio omino sembra preoccupato. E’ un tipo sveglio, avrà intuito che sono una mangiauomini.

Gingerbread o pan di zenzero, sfido chiunque a trovare un biscotto più natalizio di questo. Nato da una tradizione tutta europea, l’impasto è caratterizzato da un mix profumatissimo di spezie (zenzero, cannella, noce moscata, chiodi di garofano) e dalla melassa, l’ingrediente che ne determina la consistenza.

Dose per 20 biscotti grandi:
815 g di farina 00
1 cucchiaio più un cucchiaino di zenzero macinato
1 cucchiaio di cannella in polvere
1 cucchiaino di chiodi di garofano macinati
½ cucchiaino di noce moscata grattugiata
1 cucchiaino di bicarbonato (6 g circa)
1 cucchiaino di sale
283 g di burro leggermente morbido
220 g di zucchero di canna
2 uova intere
330 g di melassa (meglio se di zucchero di canna)
8 ml di estratto di vaniglia

Le dosi sono strambe perché convertite da cup e tablespoon. Chiederò a Gesù Bambino che americani e britannici facciano pace con le bilance.

N.b. Oltre che carini e coccolosi, questi biscotti sono veramente buoni.

Si inizia setacciando la farina con lo zenzero, la cannella, i chiodi di garofano, la noce moscata, il bicarbonato ed il sale.
A parte si monta il burro con lo zucchero (frusta a foglia se utilizzate la planetaria) per circa 3 minuti e si aggiungono le uova, una alla volta.

Si aggiunge la melassa (la trovate nei market bio) e l’estratto di vaniglia ed infine la farina setacciata con le spezie. Si lavora il composto per circa 30 secondi, deve risultare morbido ma non appiccicoso. Se assomiglia alla colla delle elementari aggiungete poca farina alla volta. Dividete l’impasto in due panetti, avvolgete nella pellicola, schiacciate e ripenete in frigorifero per almeno due ore.

Quando l’impasto si sarà rassodato stendete con il matterello tra due fogli di carta forno e ritagliate i vostri omini (qui trovate il template che ho usato io). Trasferite in una teglia foderata con carta forno e riponete i biscotti crudi in frigorifero per 30 minuti/1h. Preriscaldate il forno a 180° e cuocete 8/10 minuti, a seconda della grandezza.

Prolungando ulteriormente la cottura otterrete dei biscotti dai bordi leggermente croccanti. Lasciate intiepidire nella teglia per qualche minuto e trasferite su una gratella fino a completo raffreddamento.

Decorate a piacere con ghiaccia reale, zuccherini e caramelle. Con questo stesso impasto potete realizzare anche la casa tamarra di Hansel e Gretel. Fatela kitschissima e postatemi una fotografia.

Sugar cookies aka sablé alla vaniglia e cacao
Una ricetta tutta italiana (a tratti francese) per i classici cut-out cookies, i biscotti ritagliati con gli stampini. Potete farne di tutte le forme: fiocchi di neve, abeti, stelle, Fender Stratocaster e Voodoo Child.

Regali di Natale fai da te, sugar cookies

La ricetta, di un buono indescrivibile, è del pasticciere/maestro cioccolatiere/a tratti prestigiatore Gianluca Aresu.

Per la frolla alla vaniglia

450 g di farina debole
300 g di burro
150 g di zucchero a velo
50 g di uova intere
mezza bacca di vaniglia
un pizzico di sale

Per la frolla al cacao

400 g di farina debole
50 g di cacao in polvere
300 g di burro
150 g di zucchero a velo
50 g di uova intere
un pizzico di sale

Lavorazione identica per entrambe le ricette, contenti?

Si setaccia la farina (nella frolla al cacao: farina+cacao) e si tiene da parte. Montate il burro leggermente morbido con lo zucchero a velo , unite l’uovo al quale avrete aggiunto precedentemente il sale. Aggiungete la polpa della vaniglia alla frolla bianca e ultimate con la farina.

Impastate fino a tenere insieme il tutto, formate un panetto e coprite con pellicola. Schiacciate leggermente fino a formare un disco e riponete in frigorifero per un paio d’ore.

Infarinate leggermente la spianatoia, stendete l’impasto (4/5 mm di spessore)e coppate con gli stampini leggermente infarinati. Trasferite su una teglia foderata con carta forno e riponete nuovamente in frigorifero per 30 minuti/1h.

Infornate a 170° e cuocete per dieci minuti circa, i biscotti devono colorarsi lievemente sui bordi.

Regali di Natale fai da te, biscotti a forma di bottone

Io ne ho realizzati alcuni a forma di bottone e accoppiati con una ganache al cioccolato fondente (di cui vi parlerò)

Biscotti Linzer

Regali di Natale fai da te, biscotti Linzer

Come la famosa crostata, ma in formato mignon. Capolavoro della pasticceria austroungarica, il dolce di frolla con l’accento di Linz si prepara sostituendo una parte della canonica farina con nocciole o mandorle tritate, profumando l’impasto con chiodi di garofano e cannella, e farcendo con confettura di lamponi o mirtilli rossi.

L’acidità della frutta servirà a sgrassare il palato ma non le coronarie.

Ingredienti:

250 g di farina debole
250 g di farina di mandorle
200 g di zucchero
250 g di burro freddo
2 uova medie
1 pizzico di sale

per profumare:
1 cucchiaino raso di cannella in polvere
la punta di un coltello di chiodi di garofano macinati
la polpa di un baccello di vaniglia

per la finitura:
zucchero a velo

Stavolta cambiamo tecnica, ci diamo alla “sabbiatura”.

Si inzia setacciando la farina con le mandorle polverizzate, le spezie ed il sale, si aggiunge il burro freddo tagliato a pezzetti e si forma una specie di sfarinato, lavorando il composto con i polpastrelli (o in un cutter). Si forma un incavo, come per una normale frolla, si aggiungono le uova e lo zucchero e si batte leggermente con una forchetta.

Si impasta velocemente fino a formare un panetto (basteranno pochi secondi) e si copre con pellicola . Obbligatoria la sosta in frigorifero per qualche ora.

Quando l’impasto si sarà rassodato stendetelo ad uno spessore di 4mm circa e coppate con gli stampini festonati.

Trasferite su una teglia e cuocete a 180° per dieci minuti circa. Lasciate intiepidire per cinque minuti circa e ripassate i dischetti leggermente caldi nello zucchero a velo. Farcite con la confettura e complimentatevi con voi stessi.

Regali di Natale fai da te, speculoos

Speculaas/ Speculoos / Spetta che te lo spiego.

Speculoos, regali di natale fai date

La pronuncia cambia a seconda del paese d’origine, il sapore anche. Tipici dei Paesi Bassi, Belgio, Germania e pure Francia, questi biscotti speziati vengono preparati per festeggiare San Nicola, a forma di San Nicola.

Passato il santo, passata la festa. E la fame? Neanche per sogno.

La ricetta, fatta, rifatta e amata de profundis viene dal blog del Cavoletto.

Ingredienti:

550 g di farina 00
400 g di zucchero di canna
225 g di burro
3 cucchiai di cannella in polvere
70 g di latte
15 g di bicarbonato

Nb. Questi biscotti possono essere confezionati anche utilizzando i tradizionali stampini in legno, basta diminuire la quantità di bicarbonato.

Gli speculaas si preparano così: si dispone la farina setacciata con le spezie ed il bicarbonato su una spianatoia , formando una fontana. Al centro si aggiungono il burro morbido, lo zucchero ed il latte, e si lavora il tutto velocemente fino ad ottenere un panetto. L’impasto va diviso in due parti, coperto con pellicola e lasciato riposare in frigo per circa 2 ore.

Una volta rassodato può essere steso con il matterello (a 4mm di spessore) e ritagliato con una rotella o uno stampino.

E’ preferibile disporre i biscotti distanti l’uno dall’altro, tendono ad allargarsi durante la cottura.

Gli speculaas cuociono in forno preriscaldato a 160° per 10/15 minuti, o fin quando i bordi saranno diventati belli croccanti.

Le ricette ve le ho date e i consigli pure. Forse è il caso di prendere fiato, sperando di aver instillato in qualcuno la voglia di infarinarsi mani, gomiti, e perché no, fin nelle mutande.


REGALI DI NATALE la serie:


1. Per chi cucina molto.
2. Per gli irriducibili del libro di cucina.
3. Per gli hipster che amano le riviste indie.
4. Per i pentolai convinti.
5. Per i futuri chef.
6. Per chi vuole spendere meno di 10 euro.

L'articolo Regali di Natale fai da te: speciale biscotti con 10 ricette perfette proviene da Dissapore.

Regali di Natale fai da te: speciale biscotti (seconda parte)

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Promettere e mantenere è una cosa che porta lontano. O porta del cibo, biscotti di Natale per la precisione, come in questo caso.

Biscotti che possono sostituire (o accompagnare) altri regali di Natale tipo il pigiama di pile che fa le scintille per la cugina, o l’ennesimo paio di ciabatte per il nonno. Non è che a furia di regalargliele diventa un millepiedi, non è così che funziona. Prestatemi un po’ di attenzione, ve ne prego, e distribuite amore sotto forma di biscotto.

LEMON MELTAWAYS.

Biscotti di Natale, Lemon meltaways

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Non si capisce da dove siano spuntati fuori, nessuno ne rivendica la paternità. Una cosa però posso garantirla: sono terribilmente buoni. Appartengono alla grande famiglia degli shortbread, quei biscotti anglosassoni (scozzesi a dire il vero) costituiti da una parte di zucchero, due parti di burro, tre parti di farina e una parte di senso di colpa.

I lemon meltaways, il nome parla chiaro, hanno un gusto di limone bello deciso, si sciolgono in bocca e si depositano sui fianchi.

Lemon Meltaways

Ricetta tratta dal blog Cannelle et Vanille.

Ingredienti:

160 g di burro morbido
125 g di zucchero a velo
1 bacca di vaniglia
la scorza grattugiata di 2 limoni non trattati
30 ml di succo di limone
260 g di farina 00
20 g di amido di mais
1 pizzico di sale
zucchero a velo per la finitura

Versate nella planetaria, o nella ciotola, il burro morbido, lo zucchero, la scorza di limone e i semini della vaniglia. Lavorate il tutto fino ad ottenere una crema spumosa ed omogenea, unite il succo di limone ed il sale e continuate a mescolare.

Versate la farina setacciata con l’amido di mais e spegnete la macchina quando si sarà formato l’impasto. Date al panetto la forma di un salsicciotto di circa 5cm di diametro, avvolgendolo stretto nella pellicola (o nella carta forno) e dimenticatelo in frigo almeno 3 ore (meglio se per un’intera notte)

Preriscaldate il forno a 180° e, una volta raggiunta la temperatura, tagliate il cilindro di impasto a fette dello spessore di 1cm.

Posizionate le rondelle su una teglia foderata con carta forno, distanziandole tra loro (si dilateranno leggermente), e cuocete per circa 12 minuti.

Biscotti di Natale, Lemon meltaways

Lasciate intiepidire leggermente i biscotti e tuffateli nello zucchero a velo, occhio a non farli raffreddare del tutto o lo zucchero non aderirà (e non è una bella cosa).

Sablé al cioccolato e fior di sale di Pierone Hermé.
Occhei, lo ammetto: questa ricetta non ha niente a che fare con il Natale. Contiene però una dose stordente di cioccolato, tanto cioccolato, che fa il funambolo tra lo zucchero, il burro ed il fior di sale. La ricetta non è mia, e ci mancherebbe, ma del pâtissier Pierre Hermé. Tratta da quel gioiello sfaccettato in pagine che è Infiniment.

Sablé al cioccolato e fior di sale

Ingredienti:

175 g di farina 00
30 g di cacao amaro in polvere
5 g di bicarbonato di sodio
150 g di burro morbido
120 g di zucchero di canna
50 g di zucchero a velo
3 g di fior di sale
1 cucchiaino di estratto di vaniglia
150 g di cioccolato fondente al 70%

Tritate finemente il cioccolato con un coltello da pane, otterrete con facilità delle lamelle sottilissime. Miscelate la farina con il cacao ed il bicarbonato e setacciate tutto con cura.

Versate il burro morbido in una ciotola e lavoratelo fino ad ottenere una pomata, aggiungete lo zucchero di canna, lo zucchero a velo, il sale e la vaniglia e montate fino ad amalgamare tutti gli ingredienti. Aggiungete in un sol colpo le polveri ed il cioccolato tritato ed impastate per pochi secondi.

Come per i biscotti al limone, formato un cilidretto di pasta di circa 4cm di diametro aiutandovi con la pellicola e lasciate riposare nella parte più bassa del frigorifero per circa 2-3 ore.

Munitevi di coltellaccio affilato e ritagliate dei dischi spessi circa 1cm, posizionateli su una teglia addobbata con carta forno, distanziandoli di almeno 3cm l’uno dall’altro.

Sablé al cioccolato e fior di sale

Cuocete a 180° in modalità ventilata per 12 minuti circa e lasciate raffreddare completamente, o almeno provateci, prima di trasferire i biscotti in una scatola di latta (sissì, credici).

Baci di dama e di sano campanilismo.

Baci di dama

Una ricetta tutta italiana, tanto per ribadire chi comanda. Confesso di aver un debole per questi dolcetti piemontesi nati in quel di Tortona (AL) nei primi del ‘900 e preparati secondo tradizione impastando mandorle, zucchero, burro e farina (niente uova!). Ho scelto di preparare la versione alle nocciole, la preferisco, barattando una Tonda Gentile delle Langhe con una nocciola di Giffoni.

Sono una donna del sud, cercate di capirmi.

Ingredienti:
200 g di farina
200 g di burro
60 g di zucchero semolato
240 g di farina di nocciole (o mandorle)
1 bacca di vaniglia
1 pizzico di sale

Per la ganache al cioccolato fondente ( da una ricetta di Luca Montersino)

175 g di cioccolato fondente al 55% / 60%
25 g di massa di cacao (un cioccolato al 99% andrà benone)
150 g di panna fresca
25 g di zucchero semolato
25 g di sciroppo di glucosio (sostituibile con un miele poco saporito, tipo acacia)
25 g di destrosio (o zucchero)
40 g di burro

Baci di dama, ricetta montersino

Miscelate la farina, le nocciole tritate finemente, lo zucchero ed il sale. E se partite dalle nocciole intere, come la sottoscritta, tritatele al mixer insieme allo zucchero (meglio tenerle un po’ in freezer prima di tritarle).

Aggiungete la polpa della vaniglia ed il burro tagliato a tocchetti ed impastate come se si trattasse di una frolla. Formate un panetto, avvolgetelo nella pellicola e lasciatelo raffreddare in frigorifero per un paio d’ore.

Nel frattempo ci si da al cazzeggio? Enne- O. Avete una farcitura da preparare, fa tutto parte di un disegno ben preciso.

Versate in un pentolino la panna insieme allo sciroppo di glucosio, il destrosio e lo zucchero e portate a bollore. Spegnete il fuoco ed unite le due dosi di cioccolato tritato, mescolate fino a sciogliere ogni particella visibile ed aggiungete il burro, emulsionando con un minipimer.

Coprite la ganache con pellicola a contatto e lasciatela addensare.

Baci di dama

Cucù, l’impasto è pronto per essere manipolato. Scaldatelo leggermente con le mani, formate dei cilindri sottili, tagliate in tocchetti e rollate delle palline di 1/1,5 cm circa. Disponetele su una teglia (non le schiacciate!) foderata con la solita carta e rimettete in frigo per altre due ore.

La pazienza verrà ripagata ed i vostri baci non si afflosceranno in cottura. In compenso potrebbe cascarvi qualcos’altro ma so’ dettagli.

Cuocete i biscotti a 170°, in modalità statica e per 9/10 minuti circa. Lasciate raffreddare completamente e accoppiate i dolcetti farcendo con la ganache al cioccolato.

I Pepparkosi.

Biscotti di Natale, Pepparkakor

I Pepparkakor svedesi (qualcuno mi illumini sulla pronuncia) sono il corrispettivo norreno del pan di zenzero e vantano una tradizione antichissima risalente al 1300.

Preparati dalle suore e venduti al pari di un farmaco, si differenziano per spessore, consistenza (ne esistono di dieci tipologie) e forma: omini, capre, maialetti o i tradizionali cavalli (Dala) ispirati a Sleipnir, il destriero di Odino. In gran parte rossi, in alcuni casi blu o grigi, ma comunque molto diversi dal mio, così sobrio che potrei battezzarlo Priscilla, la regina del deserto.

Molto apprezzata in rete la ricetta tratta dal romanzo tutto svedese di Pippi Calzelunghe, l’unica donna al mondo ad avere una scimmia domestica col maglione ed un controllo totale sui propri capelli.

Biscotti di Natale, Pepparkakor

Ps. Sì, su quei cuoricini c’è scritto proprio Zlatan. Un omaggio adolescenziale e sturmuriano al mio fidanzato svedese immaginario.

Ingriedienti:
2 cucchiai di cannella in polvere
1 cucchiaio di zenzero tritato
1 cucchiaino di chiodi di garofano tritati
1 cucchiaino di cardamomo tritato
1 cucchiaino di sale
1 cucchiaio di bicarbonato di sodio
300 g di burro
250 g di zucchero semolato
150 g di zucchero di canna
1 uovo
la buccia grattugiata di 1 arancia (o limone)
300 ml di golden syrup (“ljus sirap”)
300 ml di panna fresca
1,1 kg di farina 00

Montate il burro con le due dosi di zucchero, aggiungete le spezie miscelate al bicarbonato e l’uovo intero. Addizionate la scorza grattugiata di arancia , il golden syrup, la panna e infine la farina.

Otterrete un impasto piuttosto appiccicoso e problematico, che necessita di almeno dodici ore di ibernazione in frigorifero. Avvolgete nella pellicola e mettete da parte.

Una volta terminata l’attesa stendete l’impasto sulla spianatoia ben infarinata (non scendete sotto i 3mm) e ricavate le vostre formine. Trasferite sulla carta forno e cuocete a 180° in modalità ventilata per 8/10 minuti (per un biscotto più croccante prolungate la cottura di qualche minuto).

Vanillekipferl.

Biscotti di Natale, Vanillekipferl

Il mio canto di Natale termina con questa famosa ricetta austriaca, ma anche un po’ altoatesina, bavarese, ungherese e ceca.

Nata nei caffè viennesi dopo la guerra austro-turca (la luna simboleggia la vittoria sulla Turchia) conta pochi ingredienti ed una preparazione piuttosto semplice. Procuratevi delle bacche di vaniglia profumate e prendete gli utlimi appunti.

Biscotti di Natale, Vanillekipferl

Ingredienti

300 g di farina
250 g di burro morbido
125 g di zucchero
3 tuorli
125 g di farina di mandorle

Zucchero vanigliato per la finitura

Montate il burro morbido con lo zucchero fino ad ottenere una crema chiara e spumosa. Aggiungete i tuorli, uno alla volta, e continuate a montare fino ad amalgamare gli ingredienti.

Addizionate la farina di mandorle, incorporatela con cura ed infine unite la farina. Lavorate il composto per pochi secondi, formate un panetto con le mani e avvolgete nella pellicola. Schiacciate leggermente fino ad ottenere un disco e lasciate rassodare nel frigorifero per almeno un paio d’ore.

Formate dei cordoncini di pasta, tagliateli a tocchetti di 3,5/4cm ed assotigliatene le estremità, incurvateli in una mezzaluna (date un’occhiata a questo video) e disponeteli sulla solita teglia foderata con la carta forno. Trasferite in frigorifero per 30 minuti ed infornate a 180° per 10 minuti circa, o fin quando i bordi dei biscotti si saranno leggermente colorati.

Biscotti di Natale, Vanillekipferl

Lasciate intiepidire per qualche minuto e rotolate nello zucchero a velo vanigliato (meglio se autoprodotto).

Sistemarsi per le feste.

I biscotti li abbiamo preparati, la messa in piega ce la siamo rovinata. Ora non ci resta che impacchettare il tutto al meglio, magari sistemando le nostre creaturine in barattoli di vetro agghindati a dovere, scatoline di latta infiocchettate o in teglie per plumcake.

I più buoni potrebbero allegare lo stampino d’acciaio utilizzato per confezionare i biscotti, o ricopiare la ricetta su una cartolina apposita.

Biscotti di Natale, pacchetto

Magari gli amici/parenti recepiscono il messaggio e l’anno prossimo provvedono da soli (kidding). Vi lascio un paio di foto da cui trarre ispirazione e i link a tutte le etichette stampabili più carine trovate in rete.

Regali di Natale fai da te, biscotti

(Etichette stampabili 1, Etichette stampabili 2,  Etichette stampabili 3, Etichette stampabili 4, Etichette stampabili 5)

Regali di Natale fai da te, biscotti

(Etichette stampabili 1, Etichette stampabili 2, Etichette stampabili 3,  Etichette stampabili 4)

E non sperticatevi nei ringraziamenti eh, non ce n’è bisogno.

REGALI DI NATALE la serie:

1. Per chi cucina molto.
2. Per gli irriducibili del libro di cucina.
3. Per gli hipster che amano le riviste indie.
4. Per i pentolai convinti.
5. Per i futuri chef.
6. Per chi vuole spendere meno di 10 euro.
7. Per i drogati del fai da te/biscotti di Natale 1.

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La ricetta perfetta | Dolci di carnevale: krapfen e bignè fritti

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Se a Carnevale siamo costretti ad indossare una maschera in più potremmo dire lo stesso della taglia dei pantaloni.

E’ quel periodo dell’anno in cui non friggeremmo solo i dolci di Carnevale pure le assi del tavolo, quella progressione di felicità e unto in cui le nonne e le zie incuranti della messa in piega diventano artiste del mestolo forato.

Impara l’arte e mettila da qualche parte.

Io, generalmente, sui fianchi.

dolci di carnevale, krapfen

E le chiacchiere (frappe/cenci/galani/cippirimerli) le abbiamo fatte, di castagnole ne abbiamo parlato più e più volte, le graffe che te lo dico a fa’, manco le zeppole ci siamo fatti mancare.

Eppure un paio di cosette inedite per voi rompini le ho trovate, due ricette per rubarvi il cuore, come fa il colesterolo.

KRAPFEN, KRAFFEN, INSOMMA AVETE CAPITO
Il krapfen, dolce carnevalesco di origine austro-tedesca, altrettanto diffuso in Trentino Alto-Adige, Friuli Venezia Giulia e Veneto, consiste in una palletta letale di pasta lievitata fatta di farina, zucchero, uova, latte e lievito, profumata con la buccia di limone ed annegata nello strutto.

Una foto pubblicata da Dissapore (@dissapore) in data:

Una foto pubblicata da Dissapore (@dissapore) in data:

Nonno della “graffa”, si differenzia dall’italica bomba, o bombolone, per la ricchezza dell’impasto e la farcia, quasi sempre confettura.

La ricetta è di quel diavolo dall’occhio ceruleo di Luca Montersino, illustrata nel suo volume “Peccati di Gola” con la chiarezza di un maestrino di una scuola di provincia.

KRAPFEN

dose per 10-15 pezzi

300 g di farina forte per lievitati

80 g di zucchero

220 g di uova intere

80 g di burro morbido

10 g di lievito di birra

2 g di sale

0,5 g di olio essenziale di limone (o la buccia grattugiata di un limone)

½ bacca di vaniglia bourbon

Per la farcitura:

crema pasticciera

Per la frittura:

strutto o olio di arachidi

Verso gli ingredienti nella planetaria in quest’ordine: prima lo zucchero, poi la farina , il lievito fresco sbriciolato ed infine metà delle uova.

Comincio ad impastare con il gancio e lascio lavorare la macchina a media velocità per cinque minuti circa. Quando l’impasto inizia a prendere “nervo” aggiungo il resto delle uova e e lascio lavorare ancora.

Una volta ottenuto un impasto liscio, elastico e omogeneo aggiungo il burro morbido, un pezzetto alla volta, in più riprese. Controllo che il composto sia perfettamente incordato (prelevo un pezzetto di pasta e lo allargo tra le mani fino a formare un velo) ed aggiungo il sale.

Questa fase di lavorazione necessita di 30 minuti circa, mantenete la calma.

Mi sposto sulla spianatoia leggermente infarinata, modello la creatura in una pallina e lascio che lieviti in frigorifero per un’intera notte. Montersino suggerisce un riposo di sole due ore, che si sappia.

Riprendo l’impasto, lo stendo sulla spianatoia infarinata ad uno spessore di 2cm e ritaglio dei cerchietti di 5-6 cm di diametro. Spolvero un vassoio con abbondante farina e lascio lievitare per 4 ore circa.

dolci di carnevale, krapfen

Casa mia è freddina, Montersino fa il figo perché ha la cella di lievitazione (30° per 1h e 30′).

Scaldo l’olio a 160° e inizio la sessione di frittura. E’ importante far cuocere i krapfen 2 minuti per lato e giocare con la fiamma per regolare la temperatura dell’olio. Potreste ritrovarvi con dei krapfen bruciati fuori e crudi dentro. ‘Na tragedia in pratica.

I miei sembrano venuti bene, soffici, per niente unti e con un bella cavità centrale.

dolci di carnevale, krapfen

Lascio scolare su carta assorbente, rotolo nello zucchero semolato e farcisco con la sac à poche traboccante di crema.

Dolci di carnevale, krapfen

Facciamo che vi chiamate tutti Ramon ed io vi colpisco al cuore?

Dolci di carnevale, krapfen

LORO LI CHIAMANO CHOUX, VOI BIGNE’

Io non li chiamo, li mangio direttamente.

La seconda ricetta, testata più volte dalla sottoscritta, è griffata dal pasticciere Leonardo Di Carlo e tratta dal suo fortunato libro “Tradizione in Evoluzione”. Un volume con un approccio tecnico-scientifico che anche gli enthusiast come me riescono a sfogliare.

Il bignè fritto perfetto, diverso da quello al forno per aspetto e consistenza, deve essere asciutto, con una camicia sottile (pure qua?!) e vuoto al centro.

Dolci di carnevale, bignè frittiDolci di carnevale, bignè fritti

L’impasto contiene una percentuale maggiore di acqua, pochissimo burro ed una quantità inferiore di uova.

Il risultato è un composto sostenuto, compatto, che assorbe pochissimo olio durante la delicata fase di frittura.

BIGNE’ FRITTI DI CARNEVALE

dose per 40-50 pezzi

Per la pasta bignè:

250 g di acqua

200 g di farina

50 g di burro

3 g di sale

250 g di uova intere

Per la crema pasticciera con la “i”:

500 g di latte intero (oppure 400g di latte + 100g di panna fresca)

100 g di tuorli d’uovo

120 g di zucchero semolato (si può ridurre fino a 100 g)

40 g di amido di mais

1 bacca di vaniglia (o la buccia grattugiata di 1 limone)

Inizio preparando la crema pasticciera. Così si fredda in pace ed io evito di braccarla col cucchiaio nell’attesa.

Scaldo leggermente il latte con i 100g di panna e 20 g di zucchero in un pentolino. Lascio in infusione la bacca di vaniglia privata dei semi per 30 minuti circa.

In una ciotola mescolo a mano i tuorli, lo zucchero (100 g) l’amido di mais setacciato e la polpa della vaniglia fino ad amalgamare tutti gli ingredienti.

Porto a bollore il latte e ne verso metà nella ciotola con i tuorli. Giro velocemente con una frusta e verso il tutto nel pentolino ancora sul fuoco.

Faccio cuocere la crema a fiamma dolce, girando certosinamente, fino a raggiungere una temperatura di 82°. Verso la crema ormai addensata in una boule e copro con pellicola a contatto. Lascio raffreddare completamente.

Dolci di carnevale, bignè fritti

Verso in un pentolino l’acqua, aggiungo il burro tagliato a tocchetti ed il sale e porto tutto a bollore. Unisco la farina precedentemente setacciata in un sol colpo e lavoro il composto con una frusta. Grumo non ti temo.

Lascio cuocere per circa 2 minuti, continuando a mescolare, e mi sposto dal fuoco quando il composto si compatta sotto forma di “palla”, staccandosi dalle pareti della pentola.

Trasferisco l’impasto nella ciotola della planetaria e lo allargo, schiacciandolo verso i bordi, per abbassarne la tempera e facilitare l’evaporazione dei liquidi.

Monto la frusta piatta, la “foglia”per gli amici, aziono la macchina a velocità media e aggiungo un uovo alla volta (è importante unire il successivo solo quando il precedente è completamente assorbito). Per quelli a cui piace sbattere: montate le frustine ad elica per gli impasti.

A fine lavorazione ottengo un impasto liscio, cremoso e piuttosto sodo.

Riempio la sac à poche armata di bocchetta liscia n°10 e comincio a dressare (a formare insomma) dei mucchietti regolari su un foglio di carta forno. Trick: per eliminare l’antiestetica “puntina” premete con la dita leggermente inumidite.

Metto su la pentola con l’olio di arachidi e attendo che la temperatura raggiunga i 170°-175°. In realtà Leonardo suggerisce di cuocere a 160° fino a rigonfiamento, aumentare la temperatura a 170°-175° fino a sviluppo totale, quindi riabbassare la temperatura per terminare. Un triplo carpiato no?

Ritaglio il mio fondo di carta in tanti quadratini e tuffo i bignè nell’olio bollente , pochi pezzi per volta. Insieme alla carta, sì.

Cuocio pochi pezzi alla volta e lascio scolare su un vassoio foderato con carta assorbente fino a completo raffreddamento.

Altra chicca: il pasticciere suggerisce di ripassare i bignè in forno a 100° per cinque minuti circa.
Io l’ho fatto e non me ne sono pentita.

I bignè sono freddi, la crema pure, tanto vale farcirli e azzannarne un paio.

Immaginate di affondare le labbra in un guscio morbido di pasta sferzata dallo zucchero, il ripieno che scoppia nella bocca e si schianta sulle papille, il profumo della vaniglia che inebria i neuroni.

Dolci di carnevale, bignè fritti

Voi immaginate eh. Io intanto mangio.

[Crediti | Link: Dissapore, Leonardo Di Carlo, Dolce e salato. Tutte le foto sono di Rossella Neiadin]

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Pizza fatta in casa: la pizza fritta

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Qualcuno in redazione sostiene che io abbia un gran cu.. /fortuna ad essere nata in Campania, e che tuttavia questa peculiarità, caratterizzante con veemenza, non mi renda immune dal fare esperimenti con la pizza fritta fatta in casa.

Raccolgo il guanto, ma con prudenza, e do il via a questo lungo processo di indottrinamento partendo con la ricetta della pizza fritta. Perché è più facile (dicono).

Unta dal signore

La pizza fritta, street food per eccellenza della Napoli povera del dopoguerra e della mia Napoli, fortissimamente mia dal lunedì al venerdì di qualche tempo fa, della mia casa di studentessa a Via Nilo, dell’acquaiola dei Tribunali, del signore che vende le uova sotto i porticati, dei soprannomi che mi avevano affibbiato (Marunnella e Biancaneve i miei preferiti) e del cibo da portar via più buono dell’universo intero.

Fatta di farina, acqua, sale e un pizzico di lievito, può essere tonda o allungata (il famoso pescetiello/battilocchio), ripiena di ricotta e cicoli o “completa”, da mangiare calda, rigorosamente, e avvolta in un foglio di carta gialla.

E come se la faccenda non fosse già abbastanza complicata e fumosa di ricette della pizza fritta ne ho testate tre:

  • Quella “scostumata” della Masardona, friggitoria leggendaria a pochi passi dal brusìo della Stazione Centrale, e con un’aggiunta di pochi nanogrammi di zucchero e latte
  • La ricetta di Maria Cacialli, la figlia del mio presidente preferito, in quel dei Tribunali
  • Il “battilocchio” di Gino Sorbillo, il pizzaiolo playboy che ha ridato lustro alla friggitoria storica di zia Esterina proprio pochi giorni fa.

Manca solo la versione della pizzeria De’ Figliole, una delle mie preferite. Cerco benefattore che mi spifferi la ricetta della pizza fritta sua, che si sappia.

Ingredienti

La pizza fritta della Masardona

Ingredienti:

500 g di farina di media forza
12 g di sale fino
250 ml di acqua (io ne ho aggiunti altri 100 ml circa)
½ cucchiaio di latte fresco
1 pizzico di zucchero
5 g di lievito di birra fresco

impasto della pizza fritta fatta in casa

La pizza fritta di Maria Cacialli

500 g /750 g di farina di media forza
25 g di sale
500 ml di acqua
1 g di lievito di birra fresco (io ne ho messi 2 g)

pizza fatta in casa e fritta

La pizza fritta di Gino Sorbillo:

825 g di farina di media forza
500 ml di acqua
30 g di sale fino
5 g / 7 g di lievito di birra fresco (io ne ho messi 5 g)

Per la farcitura:

ricotta asciutta (Sorbillo utilizza quella di bufala)
cicoli (i ciccioli in pratica)
pepe
pomodoro San Marzano o Corbarino
provola / fior di latte (meglio evitare la mozzarella, troppo acquosa)
salame tipo Napoli
basilico fresco

ingredienti per la pizza fritta di sorbillo

Varianti

scarola, olive nere e acciughe

salsiccia e friarielli (i broccoli).

Preparazione

Ed ecco come preparare la ricetta della pizza fritta autentica. Più o meno idratato, salato o con lo zucchero, l’impasto va lavorato alla stessa maniera. Io ho ripetuto per tre volte la stessa procedura, e senza perdermi d’animo.

Ho versato l’acqua intiepidita in una bacinella capiente e disciolto paziantemente il sale, ho stemperato con le dita il lievito e fatto un mulinello per amalgamare il tutto. Ho aggiunto la farina setacciata a pioggia , poco alla volta, e cominciato ad accarezzare la pasta fino ad ottenere un panetto soffice. Per ricordare a me stessa che toccare il cibo è bello, ogni tanto me ne dimentico.

Nota sulla farina: ho utilizzato una farina W 240/260 molto in voga tra i pizzaioli. Non mi chiedete il falling number, non sono ancora pronta per questo.

Ho terminato la lavorazione nella planetaria, a mano non sono capace, fino a quando la pasta non ha cominciato a slappare e a staccarsi dai bordi della ciotola.

Puntata:

Ho trasferito l’impasto in una ciotola trasparente leggermente unta, coperto con un panno leggermente inumidito e lasciato lievitare a temperatura ambiente per 10 ore.

pizza fritta fatta in casa impasto coperto

Staglio

Ho ripreso l’impasto ormai lievitato e cominciato a fare “lo staglio” dividendo la massa in tanti panetti (palline/pesetti) da 140-150 g e arrotolandoli col palmo della mano.

impasto panetti pizza fritta

Appretto

Ho disposto i panetti su un tagliere di legno leggermente infarinato, l’ideale sarebbe sistemarli negli appositi contenitori in plastica o faggio, ho coperto con dei canovacci (non a contatto) e atteso 3 ore prima di procedere con la stesura.

panetti per pizza fritta

Ho versato abbondante olio di arachidi in un tegame largo e dai bordi piuttosto alti e lasciato il termometro da cucina a portata di mano.

Ho allargato i panetti con la punta delle dita e assottigliato alla meglio i bordi strisciando sul piano di lavoro.

impasto pizza fritta

In questa fase è preferibile limitare lo spolvero di farina, per evitare di sporcare l’olio. Per fare un riassunto del procedimento, e soprattutto assistere ad una stesura consona a tratti artistico/poetica guardare qui.

Ho sistemato la farcia al centro del disco aiutandomi con un cucchiaio, chiuso a mezzaluna e schiacciato i bordi con forza. Dovete prendere la pizza a pugni, letteralalmente.

ricotta per ripieno della pizza fritta

Ho afferrato il mio panzerottino per le orecchie e l’ho adagiato nell’olio caldo (170°) come se fosse un lenzuolo.

Alternativa: per ottenere la classica pizza fritta tondeggiante basta sovrapporre due dischi di pasta (da 80/90 g), come fa il pizzaiolo Enzo Piccirillo nel video linkato sopra.

Ho rigirato la pizza aiutandomi con una pinza e un mestolo forato e lasciato scolare il fagotto sfrigolante sulla carta assorbente.

Ho assaggiato i miei campioni, a occhio si faceva fatica a distinguerli, e mi son piaciuti tutti.

Nonostante i tanti difetti di lavorazione (imparerò) sono abbastanza soddisfatta del risultato, l’unica cosa che avrei ritoccato delle ricette, le ultime due, è la dose di sale (troppo).

pizze fritte fatte in casa

2 pizze fritte pronte

una pizza fritta homemade

Considerazioni finali

Gestire questi impasti non è semplicissimo, lo dico da profana. Le variabili per la pizza fritta sono tante e tali che non riesco a decretare quale sia la ricetta migliore.

pizza fritta in mano

Volontari disposti a replicare l’esperimento e darmi un feedback? Non fatevi pregare, dài.

[Crediti | Link: Dissapore, Scatti di Gusto, YouTube, immagini: Rossella Neiadin]

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Tiramisu: la ricetta perfetta

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Io l’avevo detto, come il più cattivo dei Terminator. “I’ll be back”, sono di nuovo qua, e ho portato pure IL dolce. Niente meno che la ricetta del tiramisù. Venite pure a riabbracciare “la ricetta perfetta” di Dissapore.

Riprendo il bandolo del ricettario dal dolce italiano più democratico e famoso al mondo, imperituro sui menù di casa nostra, prima che arrivasse l’orrido tortino al cioccolato dal cuore di lava e farina cruda.

Il tiramisù ha una formula senza dubbio vincente: l’uovo che dà la struttura, la sontuosità del mascarpone che avviluppa il palato, il biscotto tremulo, la caffeina che stimola i sensi e smorza gli zuccheri, il cacao amaro che salda e comprime una specie di furioso Big Bang di sapori.

Piace (quasi) a tutti, la sua unità di misura è la teglia.

tiramisu al cucchiaio

Che il tiramisù l’abbia inventato Speranza Gatti, cuoca del Camin di Treviso, o sia nato al Ristorante Le Beccherie (che nel frattempo ha chiuso), presso l’Albergo Roma di Tolmezzo o nella cucina de Il Vetturino, che ne rivendichi la paternità Puffo Inventore o Pippo Baudo, poco importa.

La mia versione preferita del tiramisù rimane quella (improbabile) della maîtresse trevigiana, pare lo somministrasse ai suoi amanti al posto del Cialis.

tiramisu-2

Il tiramisù secondo Iginio Massari. Potevamo non scomodare lui, Iginio Massari, il pasticciere dei pasticcieri, su un tema tanto dibattuto?

Andiamo con ordine.

tiramisu-bicchiere

Tuorlo crudo, sì o no? La ricetta tradizionale del tiramisù prevede i tuorli crudi, ma chi ha la testa sulle spalle sa che dopo un quarto d’ora la combinazione tuorlo crudo/zucchero diventa fonte di inquinamento batterico.

Il tuorlo va necessariamente “cotto” con uno sciroppo di zucchero a 116°-121°.

Mascarpone: voglio farlo a casa. Senz’altro un mascarpone fresco fa “la barba” a qualsiasi prodotto industriale, farlo a casa non è un’operazione particolarmente complessa. Basta unire 1,2 grammi di acido citrico per litro di panna, portarlo ad 82 gradi, lasciarlo a questa temperatura per circa 20 minuti e poi conservarlo a circa 4 gradi per 48 ore.

Si elimina la parte liquida e si ottiene un ottimo mascarpone.

Il caffè nel tiramisù, diluito, zuccherato, alcolizzato?
Diluito mai, 1 parte di zucchero ed 1 di caffè, liquore al caffè, se piace.

E i savoiardi? Sarebbe opportuno, per un buon tiramisù, avere dei savoiardi freschi, che assicurano un buon inzuppo grazie alla leggerezza della pasta e ad un’ottima alveolatura.

Il savoiardo fresco viene cotto a temperature lievemente più alte e, per sua natura, mantiene un’umidità del 28/30 % (è un biscotto che fa parte dei biscotti speciali, visto che non viene cotto due volte ed ha più dell’8% di umidità).

Un prodotto industriale, in presenza di un tasso di umidità così elevato, non resisterebbe molto sugli scaffali.

Insomma, avete sentito il maestro? L’uovo crudo è un ingrediente da archiviare.

tiramisù-2

Panna + limone = mascarpone. Il mascarpone non è altro che panna “acidificata”, diversamente e zitellamente panna.

Molti pasticcieri, e io con loro, alleggeriscono la crema del tiramisù aggiungendo una parte di panna fresca semimontata. Migliora la texture e in generale, il sapore del dolce (io vorrei capire perché ce l’avete a morte con la panna..)

Ma se siete dei puristi e disdegnate le aggiunte, ecco la ricetta del pasticciere Claudio Pistocchi da Firenze, l’uomo che ci fa sognare con l’omonima torta al cioccolato.

Claudio è del partito del Pavesino, meringa all’italiana, base tiramisù pastorizzata, caffè ristretto e mascarpone. Easy.

tiramisu-7

Savoiardi vs. Pavesini per il tiramisù: stress test

Uh, quanto mi piacciono questi giochini.

Ebbene miei cari, era un po’ di tempo che volevo farlo, trovare il modo per incoronare una volta per tutte il biscotto perfetto per il tiramisù.

I contendenti al titolo*:

– Savoiardo artigianale sardo (anche noto come pistoccus o pistoccheddus)
– Biscotto di Novara (leggermente più spesso del Pavesino)
– Savoiardo tradizionale fatto in casa

biscotti-tiramisu

Tutti i biscotti sono stati inzuppati per poco più di un secondo, in una bagna di caffè amaro a temperatura ambiente.

3 Ingredienti per 3 biscotti: i Savoiardi e i Biscotti di Novara sono fatti solo e soltanto di uova, zucchero e farina (in proporzioni differenti).

biscotti-savoiardi-novara-tiramisu

Non me ne vogliate, ma ho escluso dal test i savoiardi più diffusi, quelli di pietra pomice impastati con la colla da parati.

Vi giuro, piuttosto mangerei lo zucchero a cucchiaiate come la Regina Vittoria d’Inghilterra, quei parallelepipedi rasposi li detesto.

tiramisu-caffe

savoiardi-caffe

Tornando a noi, rapida carrellata dei responsi: 1. Il savoiardo fatto in Sardegna è impenetrabile, troppo gnucco e mollicoso 2. Biscotto di Novara. Ho provato a bagnarlo il giusto ma è fisicamente e meccanicamente impossibile.

Bavoso e sbrodolino: bocciato

3. E’ lui, l’ho trovato. Non fa una piega, composto, asciutto ma non troppo, in altre parole, perfetto.

confronto-savoiardi-pavesini-tiramisu

Non c’è storia, il savoiardo fatto in casa dà una pista agli altri due. E adesso vi dico anche come si fa. Dal libro “Tradizione in Evoluzione” di Leonardo Di Carlo:

180 g di albumi
150 g di zucchero semolato 120 g di tuorli
150 g di farina setacciata
zucchero a velo per lo spolvero

Prima di preparare la “meringa”, solite e dovute accortezze:
-le uova devono essere sempre a temperatura ambiente
-la ciotola e le fruste che useremo per montare gli albumi devono essere pulite e prive di ogni eventuale traccia di grasso o tuorlo.

Partiti.

Accendo il forno a 180°

Ungo tre teglie rettangolari e rivesto con carta da forno, il burro fuso mi aiuterà a tener salda la carta.

Verso gli albumi nella ciotola e faccio schiumare per un minuto circa, aggiungo lo zucchero semolato a pioggia e monto con le fruste fino ad ottenere una meringa soda e lucida.

Aggiungo i tuorli d’uovo battuti, una cucchiaiata alla volta, e mescolo dall’alto verso il basso per evitare di sgonfiare il composto.

Setaccio la farina e la aggiungo alla montata di uova in tre volte, sempre mescolando dal basso verso l’alto.

Verso in una sac à poche munita di bocchetta liscia (larga 1cm) e sprizzo i savoiardi distanziandoli tra loro.

Cospargo con abbondante zucchero a velo setacciato, lascio riposare per 10 minuti e giù ancora, altra nevicata di zucchero.

savoiardi-cottura
Cuocio fino a doratura (circa 10 minuti).

Aspetto che i biscotti si raffreddino completamente prima di tirarli via dalla carta forno.

savoiardi-fatti-in-casa-2

Altra ricetta, quella di Iginio Massari:

100 gr di tuorlo d’uovo 45 gr di zucchero
1/2 bacca di vaniglia 145 gr di albumi
40 gr di zucchero
70 gr di farina 00
23 gr di fecola di patate
zucchero a velo per lo spolvero

Tecnica diversa, risultato chevvelodicoaffà.

Preriscaldo il forno a 220°.

Monto separatamente i tuorli con la loro dose di zucchero (45g) e la vaniglia, faccio la stessa cosa con gli albumi (40g). Setaccio la farina con la fecola, per eliminare eventuali grumi e areare le polveri.

Incorporo 1/3 degli albumi montati a neve nei tuorli e mescolo con una spatola dal basso verso l’alto. Aggiungo metà delle polveri ed un altro terzo degli albumi, mescolo con delicatezza, poi di nuovo farina e quindi l’ultima dose di albume superstite.

Trasferisco il composto in una sac à poche come sopra, formo i savoiardi sulla carta forno, doppio passaggio di zucchero a velo e cuocio per 6-7 minuti in fessura, incastrando un cucchiaio di legno tra il forno e lo sportello.

savoiardi-fatti-in-casa

Fatevi guidare dall’istinito, le ricette sono entrambe facili e affidabili.
Nota: i savoiardi di Di Carlo sono più dolci e croccanti, quelli di Massari più strutturati e soffici.

Ultimo passaggio obbligatorio, la lettura del testo sacro Tiramisù e Chantilly di Luca Montersino. È da lì che arriva (in parte) la ricetta perfetta del tiramisù.

Ingredienti

Per la base tiramisù pastorizzata:

175 g di tuorli (8-9 circa)
340 g di zucchero semolato
100 g di acqua
1 bacca di vaniglia

Per la crema tiramisù:

450 g di base tiramisù pastorizzata 500 g di mascarpone
500 g di panna fresca

Per il tiramisù classico (dose per 8 persone)*

1 kg di crema tiramisù
500 g di savoiardi
800 g di bagna al caffè a temperatura ambiente (io uso caffè in purezza, senza zucchero)

60 g di cacao amaro

*Utilizzando tutta la dose di crema tiramisù ho riempito 3 pirofile medie

savoiardi

Preparazione

Inizio a preparare la ricetta del tiramisù partendo dalla base: verso l’acqua in un pentolino d’acciaio (100 g), aggiungo lo zucchero semolato e afferro il termometro da cucina. Nell’attesa, lo sciroppo deve raggiungere la temperatura di 121°, recupero le fruste elettriche e faccio schiumare leggermente i tuorli con la polpa della vaniglia.

Verso velocemente lo sciroppo nei tuorli, facendo scivolare il liquido sulle pareti della ciotola e a debita distanza dalle fruste (questa roba schizza, è magma puro). Monto il composto fino a raffreddamento e metto da parte.

Importante: per vedermi all’opera su una ricetta simile date un’occhiata al video della meringa italiana. E non dimenticate che la base tiramisù può essere preparata in anticipo e stoccata in congelatore per 10/15 giorni.

STEP 2: la crema. Lavoro il mascarpone con una frusta, fino a renderlo una crema, e aggiungo una piccola dose di base tiramisù. Una volta amalgamati i due composti aggiungo il resto della base tiramisù e continuo a mescolare.

Aggiungo la panna “lucida”, montata ma non troppo, e mescolo d-e-l-i-c-a-t-a-m-e-n-t-e dal basso verso l’alto

crema-tiramisu

Dispongo la mia trincea di pirofile, catena di montaggio savoiardo-caffè-strato di crema. L’inzuppo è ponderato ma rapido, il caffè amaro, che mi bilancia la crosticina di zucchero del biscotto, la porzione di crema generosa.

Faccio due strati di biscotti, incrociati, termino riempiendo una sac à poche di crema tiramisù e ingioiello con tanti spuntoncini, tutti rigorosamente storti.

crema-mascarpone-tiramisu

tiramisu-6

Ripongo il tiramisù in frigorifero per due lunghissime, interminabili ore.

tiramisu in frigorifero

tiramisu-mono

Cospargo il tiramisù con una pioggia di cacao, tanto cacao, e mi preparo psicologicamente al weekend.

tiramisu-bicchiere-cacao

tiramisu-monoporzione

Com’era quella storia della maîtresse?

[Crediti | Link: Dissapore | Immagini: Rossella Neiadin]

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Struffoli: la ricetta perfetta

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Come Pac-Man in un livello bonus di Natale, come Pollicino sulla strada del reparto diabetologia.

Alla piramide dorata di quel guardone di Ambrogio (lo chaffeur televisivo del Ferrero Rocher) ho sempre preferito la montagnella di struffoli custodita nella credenza di mia nonna, per i quali non esiste una formula, perché Nunzia è una performer estemporanea.

Sua nipote, invece, è una meticolosa forte, e si dona al prossimo sotto forma di ricette.

piatto-struffoli-napoletani

Unti dal signore

Lo struffolo è un dolcetto partenopeo il cui nome deriva da strongoulos, che in greco significa “di forma tondeggiante”.
Forse introdotto dagli ellenici (in Grecia preparano dolcetti simili) o nato sotto la dominazione spagnola (vedi dolcetti andalusi), è sulle nostre tavole dal ‘600 in poi, o almeno così riporta la “Lucerna de corteggiani” di Giovan Battista Crisci.

Farina, uova, strutto (poi sostituito dal burro), zucchero, liquore (all’anice/Strega/marsala..) e nulla più, un tuffo nell’olio bollente e poi il miele, a volte unito allo zucchero cotto.

Immancabili i confettini colorati, arancia, cedro e la tradizionale cucuzzata (zucca candita alla napoletana).

struffoli-macro

Gli struffoli e la banda del fritto natalizio: simili alla cicerchiata marchigiana, abruzzese, molisana ma anche umbra, anime affini della cicerata lucana e calabra, dei purcedduzzi salentini, dei sannacchiudere tarantini, della pignoccata siciliana.

Alcuni preparati per il Carnevale, ingrediente più ingrediente meno, ma sempre e romanticamente baciati dal miele.

Do’s & Don’ts

ingredienti-struffoli

Mi sento come il topo intrappolato nel Mars, per districarmi tra questo pasticcio zuccheroso e unto ho deciso di disturbare  Armando Palmieri, giovane pasticciere napoletano e già insegnante presso Alma, la Scuola Internazionale di Cucina Italiana.

Fisique da rugbista con la manualità di un gioielliere (qui le sue creazioni, ammirare prego) e Big in Japan, direbbero gli americani della musica.

Seguiteci.

Struffolo perfetto, a cosa somiglia.

Lo struffolo perfetto deve essere morbido e scioglievole, non deve opporre  resistenza al palato.

struffoli-fritti

Cosa si fa sempre, cosa non si fa mai

Quello che è sempre bene fare è lasciar riposare l’impasto almeno 12 ore e meglio se sottovuoto, (questo per garantire una qualità organolettica), quello che invece sarebbe meglio evitare, infarinare troppo gli struffoli che in frittura fanno schiuma.

setacciare-struffoli

Quale farina

La farina ideale è quella debole con uno scarso tenore proteico.

La frittura

Olio: va bene un semi di girasole o arachidi, che hanno un buon punto di fumo. Si porta a 180°, lo si fa scendere a 170° e si frigge.

Il miele

Acacia, è perfetto.

perfetta-ricetta-struffoli

… e come si conservano?

Una volta fritti si fanno asciugare per bene e si stoccano chiusi in busta, meglio se sottovuoto. Passaggio nel miele: è un’operazione che si può fare in un secondo momento.

ricetta-perfetta-struffoli

La ricetta perfetta (anzi due)

Una per chi li preferisce croccanti, firmata Sal De Riso, l’altra per chi ama la versione “soffiata” , quella di Armando, con una piccola aggiunta di lievito.

La ricetta di Sal De Riso:

500 g di farina debole
4 uova intere
50 g di burro
50 g di zucchero semolato
60 g di vino bianco
8 g di sale
buccia di limone/arancia/mandarino grattugiata

miele millefiori
arancia candita
cedro candito
confettini colorati

olio di semi di arachide per la frittura, oppure una miscela di strutto (70%) e olio extravergine d’oliva (30%)

struffoli-ingredienti-2

La ricetta di Armando Palmieri

500 g farina debole da biscotteria
300 g uova intere (circa 5)
40 g zucchero semolato
30 g burro
Zeste di agrumi (arancia e limone)
3 g sale fino
Liquore Strega o grappa qb
5 g lievito chimico in polvere
Circa 300 g miele d’acacia
Confettini per la decorazione (diavolilli)
Canditi misti di qualità
2 litri olio di semi di arachide

Procedo allo stesso modo per entrambe le ricette.

impasto-struffoli

Classica fontana di farina (nella versione di Armando va setacciata con il lievito), verso le uova al centro, aggiungo lo zucchero. Batto con una forchetta e unisco il sale, disciolto in un po’ d’acqua, le bucce degli agrumi grattugiate, il vino/liquore ed infine il burro morbido. Non mi sposto dal tagliere fin quando ho ottenuto un impasto liscio e compatto.

Nota per i più pigri: potete ricorrere alla planetaria munita di gancio.

Lascio riposare la pasta in un contenitore chiuso ermeticamente per un paio d’ore circa.

Formo dei bastoncini di circa 1cm di diametro, infarino leggermente per evitare che la pasta si appiccichi al coltello, dispongo i miei salamini in fila e taglio degli gnocchetti lunghi 1cm.

struffoli-formatura

taglio-struffoli
Setaccio i graziosi bocconcini con cura, eliminando ogni traccia di farina residua, e li lascio riposare su un foglio di carta forno per 10 minuti.

struffoli-setaccio

Mi sposto ai fornelli e attendo che l’olio di semi di arachidi raggiunga la temperatura di 180°.

Friggo gli struffoli fino a doratura, devono avere il colore della crosta del pane, lascio scolare sulla carta assorbente.

struffoli-cotti

Riscaldo il miele in un tegame molto ampio, aggiungo gli struffoli freddi e dò una rimestata con la cucchiarella.

Aggiungo la frutta candita (arance e cedro di Diamante) ed i confettini (voi metteteci i diavolilli multicolor e i cannellini, a casa mia non li amano).

struffoli-piatto

Bene, la mia scintillante corona di struffoli è pronta (frettolosa io, mi è colato il miele al centro), ho riempito un esercito di piattini ed ho ancora una scorta di struffoli nature da condire più in là, tanto si conservano.

struffoli-napoletani-ricetta

Il problema con questi cosi è che quando inizi ti viene difficile smettere.

struffoli-napoletani-5

Tipo adesso, ne sto “assaggiando” un paio.

Sono gli ultimi due, giuro.

E poi ce ne sono alcuni veramente bruttini, meglio farli fuori prima che arrivino gli ospiti.

ricetta-struffoli-napoletani-3

ricetta-struffoli-napoletani

struffoli-napoletani-natale-2

Uh, c’è del miele sulla tastiera. Vado a lavarmi le mani eh, scusate..

[Crediti | Link: YouTube, Alma | Immagini: Rossella Neiadin]

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Spaghetti alle vongole: la ricetta perfetta

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Buona parte delle mie trasferte votate alla gozzoviglia scellerata inizia con un sms dell’amico Zairo: “Oh maaa, un grande spaghetto e vongole?”, dove “grande” è solitamente seguito da un preciso avvicendamento di pietanze cult (una grande pizza/carnazza/cuoppo di pesce/dolce in Costiera Amalfitana).

Dicevamo, spaghetti con le vongole, o alle vongole, oppure a vongole, aka il piatto delle feste che mi piace di più.

E’ la Vigilia di Natale, va in scena lo spettacolo che si replica puntuale da quando ho imparato a mangiare a tavola con i grandi: lo zio romano ha crivellato il portafoglio a colpi di aragosta e astici semoventi, nel salotto buono c’è cibo stipato dappertutto, balcone che fa corrente perché oh, il baccalà fritto e i broccoli puzzano.

A un tratto c’è sempre quello che, dalla parte più buia e fumosa della cucina-saloon, si alza di colpo e spara:

“Anche se nonna ha fatto due primi, due spaghetti in bianco (indovinate con cosa) ce li dobbiamo mangiare comunque”.

Silenzio-assenso.

E quindi a cena ultimata, mentre io solitamente inizio a mangiare gli struffoli con le mani, si tirano fuori le ingenerose pagelle, perché l’anno prima gli spaghetti erano più al dente, il sugo era sciapo, e poi i pescivendoli a Natale ti fanno sempre fesso.

E’ il suo momento, la replica di mia nonna non si fa attendere: “L’anno prossimo ce ne andiamo al ristorante!”.

Peccato non le creda mai nessuno.

Gallina, verace o filippina (la vongola)

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Da una parte il lupino, la vongola povera, dall’altra la verace, quasi scomparsa, e in mezzo, a rompere le conchiglie la filippina, quella monovalve allevata nel fango (bleah).

La Dosinia exoleta, il lupino appunto, ha uno scrigno di forma subtriangolare con rigature concentriche, per una pezzatura che si aggira intorno ai 3-4 cm. La sorella verace, più grande e carnosa, ha conchiglia ovale e arriva a misurare 5-6 cm.

C’è chi preferisce l’una all’altra, io non discrimino e le mangio entrambe.

Metodologia e stili

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La zia Maria le fa spurgare in acqua e sale per 2 ore, 35 grammi per litro, dice.

La vicina di casa scuote la testa, perché con l’ammollo si annacqua il sapore: meglio far aprire le vongole a secco, in una padella ampia, fuoco vivo per 3 minuti al massimo, sughetto da parte e filtraggio, per eliminare la sabbia.

Ma dico, siamo matti? L’amico sgamato con la passione per i molluschi vota per l’ammollo più filtraggio, molluschi e sughino da parte, aglio, olio e peperoncino sfrigolanti e di nuovo tutto dentro. Pasta scolata al dente, mestolo di acqua di cottura e spadellamento rapido. Prezzemolo. Fine.

Vino bianco dipende, pepe sempre, i più fortunati depurano le vongole in acqua di mare.

E la pasta, brodosetta o cremosa? Come vi piace, ovvio.

Monomanìe e varianti

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Spaghetti, spaghettoni, vermicelli. Linguine ne abbiamo? E fresine? Pasta all’uovo no, che sennò diventiamo nemici.

Pomodoro per alcuni, pomodorino schiacciato per altri, a questo punto citare Cannavacciuolo è d’obbligo: “A tavola mangio quello che piace, allora se mi piace un po’ di pomodoro mettici sto c***o di pomodoro“.

La ricetta perfetta

Quando la bramosìa dello spaghetto profumato di mare comincia a fare il solletico, mi basta girare la curva e sono già a Vietri, nel ristorante che fa gli spaghetti alle vongole più buoni del circondario (anche lo chef Gennarone Esposito viene a mangiarli qui, tzè).

Invece che fare una telefonata a Michele De Martino, lo chef del Ristorante Evù, decido di irrompere nella sua cucina, quando i clienti non sono ancora arrivati e Anna, la proprietaria, tiene ancora le luci basse e la musica spenta.

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Un paio di minuti per coordinarsi con Alessandro, il cuoco in seconda, e mi fa trovare due padelle sul fuoco.

“La prima facciamola sciuliosa (scivolosa), con il sughetto più lento, l’altra con una pasta di Gragnano, che rilascia più amido, come la faccio io”.

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michele-de-martino-evu

De Cecco a sinistra, Gentile (la pasta) a destra, per un dosaggio che rimane lo stesso:

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dose per 4 persone

400 g di spaghetti
800 g di vongole*
1 spicchio d’aglio
peperoncino
pepe
prezzemolo tritato
olio extravergine quanto basta

*Michele acquista vongole già depurate in pescheria, ma mi consiglia l’ammollo in acqua fredda, salata, per circa 2 ore.

spaghetti-vongole-ingredienti

Partiamo.

Lo chef fa bollire la pasta in acqua poco salata, nel frattempo mette a soffriggere l’aglio (nella seconda padella grattugiato) con le spezie ed il prezzemolo: “bisogna stare attenti, sennò il prezzemolo diventa amaro”.

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Quando l’aglio ha preso colore (biondo, mi raccomando) getta le vongole così, a manciate.

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Fa saltare a fiamma viva per 30 secondi circa, aggiunge un mestolo di acqua di cottura e lascia evaporare.

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Sfumato il tutto copre con il coperchio, abbassa la fiamma e lascia cuocere per altri 30 secondi.

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Le vongole si sono aperte: nella prima versione conserverà i gusci, nella seconda tirerà via ogni mollusco con la pinza, direttamente in padella (“ho le dita cotte ormai”)

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E’ il momento di aggiungere la pasta, scolata molto al dente. Ultimi 2-3 minuti di cottura e spadellamento vigoroso per far addensare.

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La procedura è di quelle semplici e rapide, le vongole gommose e lo spaghetto flaccido non piacciono a nessuno.

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Ci siamo, primo impiattamento rapido, lo spaghetto che ricade sensuale su se stesso, con quel sughetto paradisiaco che lo percorre tutto, fino a toccare il fondo del piatto.

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Cremoso e avvolgente il secondo, mantecato alla perfezione, è quello che abbiamo fatto fuori per primo (altrimenti s’incollava, mica per altro)

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Dopo aver assaggiato, ringrazio Michele, mentre Anna mangia la sua porzione di spaghetti.

Rileggo gli appunti in fenicio e trascrivo in forma leggibile, piego quindi il foglietto da passare a mia nonna il 24 sera. Perché anche quest’anno, come tutti gli anni, di andare al ristorante proprio non se ne parla.

[Crediti | Link: Antonino Cannavacciuolo, Gennaro Esposito | Foto: Rossella Neiadin]

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Spaghetti con colatura di alici: la ricetta perfetta

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Forse non tutti sanno che a Cetara, piccolo villaggio nella costiera amalfitana, il periodo di pesca delle alici per la colatura inizia con la festa dell’Annunciazione, il 25 marzo, e si conclude il 22 luglio, ricorrenza di Santa Maria Maddalena. E’ il periodo migliore perché le femmine si avvicinano alla riva per deporre le uova.

Per la pesca si usa ancora il metodo secolare del “cianciolo” (lampara), mentre la lavorazione avviene “scapezzando” (eviscerando) le alici, cospargendole di sale, e mettendole dentro un contenitore per ventiquattro ore.

Ma il momento culminante della lavorazione consiste nel taglio in tre parti di una botte di legno, normalmente rovere o castagno, e l’uso di una di queste, detta “terzigno“, nel passaggio successivo.

Al suo interno si alternano diversi strati di alici cosparsi di sale grosso sino al riempimento del terzigno usando la tecnica “testa/coda“. Tutto viene sigillato con un disco di legno, detto “tompagno“, sul quale si poggia un peso, di solito una voluminosa pietra marina.

La pressione e la progressiva maturazione delle alici fanno affiorare al di sopra del coperchio un liquido prezioso che rappresenta la base della colatura. Raccolto e inserito all’interno di grosse bottiglie da cinque litri tappate con foglie di origano fresco, viene esposto al caldo sole dell’estate che fa evaporare l’acqua lasciando un liquido ultra concentrato.

Più tardi, tra ottobre e novembre, il liquido torna nel terzigno infiltrandosi lentamente fra le alici rimaste a maturare.

Infine a dicembre, inizia la vera spillatura della colatura. Forato il terzigno nella base inferiore usando un attrezzo chiamato “vriale” si dà il via al gocciolamento della colatura raccolta in appositi recipienti di vetro. Servono 30 chili di alici per produrne un solo litro.

A quel punto è uno splendido liquido color mogano, di grande sapidità. Poche gocce bastano a condire spaghetti e linguine, meglio ancora se di Gragnano.

ingredienti, colatura alici

Pasquale e i due Gennaro

A Cetara, dire colatura di alici significa evocare Pasquale Torrente*, chef del ristorante Al Convento, e Gennaro Castiello, che insieme allo chef Gennaro Marciante, è patron del ristorante Acquapazza.

Entrambi producono colatura di alici nei proprio laboratori e la utilizzano nei modi più disparati. Uno dei due ci fa anche il Bloody Mary, per dire. L’altro ha i capelli lunghi e quel fare chic che contraddistingue i nativi della Costiera Amalfitana.

Torrente: “ La produzione della colatura ha origini centenarie. Nasce dal bisogno dei pescatori di ricavare dalle alici una serie infinita di prodotti, condimento compreso. “

Castiello: “ La colatura è retaggio del garum, la salsa di pesce che ritroviamo nei ricettari di Apicio. Ciò che differenzia le due preparazioni è soprattutto l’eviscerazione dei pesci, che nel primo caso non avveniva”.

Un lavorone insomma, che giustifica anche il prezzo medio di una colatura prodotta artigianalmente.

La pasta con la colatura è tipica delle tavole natalizie cetaresi, e visto che ho ancora gli addobbi che girano incuranti per casa direi che siamo in tema.

La preparazione

Pasta con la colatura di alici

E la preparazione?

Torrente: “ Molto semplice. Bisogna emulsionare l’olio d’oliva a crudo in un recipiente di coccio e aggiungere l’aglio, il peperoncino e il prezzemolo. La pasta non va assolutamente salata e soprattutto condita a crudo, amalgamandola al resto degli ingredienti.”

Castiello: “ Si parte dagli spaghetti al dente e cotti senza alcuna aggiunta di sale, basta la colatura a dare sapidità. A parte si prepara un’emulsione di olio extravergine e colatura, con l’aggiunta di aglio, prezzemolo e un mestolo di acqua di cottura. La pasta va condita lontano dal calore ed ogni commensale può regolare a piacimento il quantitativo di colatura.”

Mi ritiro in cucina con una grossa X alla voce “coefficiente di colatura”. Eppure ricordo che l’altro Gennaro, Marciante, mi disse che ragionando in grammi il quantitativo ideale per 100 gr di pasta si aggira intorno ai 5.

Spaghetti con la colatura di alici di Cetara

Pasta con la colatura di alici

Ingredienti:
400 gr di spaghetti
2 cucchiai di olio extravergine di oliva
1 spicchio d’aglio
2 cucchiai di colatura di alici di Cetara (io ne metto quattro)
1 ciuffo di prezzemolo
peperoncino q.b.

Pasta con la colatura di alici

Metto in una ciotola di coccio molto ampia l’olio extravergine di oliva, il prezzemolo spezzato con le mani, l’aglio sbucciato e leggermente schiacciato, la colatura di alici e il peperoncino. Do una mescolatina veloce con una forchetta e tengo da parte.

Parola d’ordine: senza sale. Recitatiamolo in coro a mo’ di preghierina. Gli spaghetti si tuffano nell’acqua bollente e sciapa ma nessuno se ne accorgerà.

Lascio che l’acqua si carichi di amido e ne aggiungo un mestolo al condimento emulsionando speranzosa. Verso gli spaghetti al dente nella ciotola e tiro su con un paio di forchette per far presa sul condimento.

Servo con una manciatina di prezzemolo tritato e nulla più.

Evitate i piatti fondi come il mio, il condimento vi finirebbe giù nelle scarpe e rovinereste un piatto veramente eccezionale.

[Crediti: Immagini: Rossella Neiadin]

L'articolo Spaghetti con colatura di alici: la ricetta perfetta proviene da Dissapore.

Angel cake: la ricetta perfetta

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“Salire uno alla volta”, l’ho letto stamane dal display della bilancia.

Non è colpa mia, dannata mostruosità digitale, se abbiamo spento i fornelli l’altroieri, non è mica facile schivare il cibo natalizio di mia nonna, che impasta e frigge animali, vegetali e pure minerali.

Abbiamo esagerato tutti in queste due settimane di bagordi, anche in redazione mi invitano alla frugalità: per oggi una cosa leggera, che qui son tutti gonfi come delle zampogne.

torta-cioccolato-lamponi

Per fortuna di me si fidano.

Fly on my sweet angel

You are gonna rise [cit.]

La torta degli angeli, angel cake o più precisamente angel food cake, è un dolce leggerissimo e naturalmente privo di grassi, latte e derivati. Da non confondere con la chiffon cake, che i grassi ce li ha e pure i tuorli d’uovo, si prepara montando albumi e zucchero (molto zucchero), un pizzico di cremor tartaro e farina da biscotteria.

Alta e soffice, bianchissima dentro e dorata fuori, ha l’aspetto rustico delle torte americane nate nella seconda metà dell’800′, o almeno così pare.

Sarà per l’apporto calorico “contenuto” (i dolci dietetici NON esistono), gli albumi che avanzano sempre, il ciambellone bicolore che avrà stufato: come anticipato nella nostra disamina dei trend Google, quella dell’angel cake è la quarta ricetta più cercata del 2015.

Io ne ho sperimentate un po’ da quando mi hanno regalato l’anelatissimo stampo con i piedini:

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Ebbene sì, la torta ha una teglia dedicata e una preparazione un po’ stramba: l’impasto va versato nello stampo non imburrato, il dolce in cottura deve saldarsi sul fondo per poi essere capovolto in fase di raffreddamento (così si stiracchia per bene e non si deforma) mentre i tre denti di metallo lo tengono sollevato dal piano d’appoggio e favoriscono la fuoriuscita dei vapori.

La tortiera si può sostituire con uno stampo da gugelhupf (il ciambellone alsaziano/austriaco/svizzero/tirolese) in silicone, uno di quelli tanto carini e cesellati, o con uno stampo da ciambella in alluminio dal fondo amovibile.

Tips and tricks

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Si monta facile e si smonta peggio, come una scrivania Ikea.

Seguono semplici regolette per una “meringa” perfetta:

1 – Lavare accuratamente ciotole e fruste, gli albumi non vanno d’accordo con residui di grasso e tracce di tuorlo, che inibiscono la montatura.

2 – Utilizzare uova a temperatura ambiente. I più spigliati possono scaldare gli albumi a bagnomaria, portandoli ad una temperatura di 45°, per migliorarne le capacità schiumogene. Occhio a non superare i 58° o le proteine cominceranno a denaturare.

3 – Aggiungere acidi: come il tartrato acido di potassio (cremor tartaro, lo trovate in farmacia) o l’acido citrico (succo di limone), che stabilizzano la schiuma e la mantengono bianca.

4 – Zucchero: vietato ridurre la dose da incorporare agli albumi. Da una parte ritarda la formazione della schiuma, dall’altra aiuta a stabilizzarla e addensarla.

5 – Sale, basta con questa storia. Non ci va il sale nella montata di albumi, punto.

La pianto con i tecnicismi, siete venuti qui per la ricetta.

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Ne ho testate diverse, e tutte troppo dolci per il mio palato. Ho anche scoperto che la ricetta del pettinatissimo pasticcere Luca Montersino è simile a quella di Stephanie George (Joy of baking), la blogger americana che ha una videoricetta per tutto, tranne per il buon gusto in fatto di arredamento.

Ebbene, riducendo un po’ di zucchero da entrambe sono riuscita ad ottenere una torta posata ed armoniosa, con una mollica areata, umida e soffice.

La ricetta perfetta

Ingredienti

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360 g di albumi a temperatura ambiente
200 g di zucchero semolato
5 g di cremor tartaro
150 g di farina 160-180W (debole)
100 g di zucchero semolato (io ne metto 50)
10 g di amaretto (sostituibile con rum)
2 g di buccia di limone grattugiata (facoltativa)
2 g di sale
1 bacca di vaniglia
1 cucchiaio di succo di limone (facoltativo, io lo metto)

Variante al cacao: sostituite 25 g di farina con altrettanto cacao amaro (setacciatelo insieme ai 125 g di farina), no succo di limone.

Premessa: la dose è per uno stampo da 20-22 cm di diametro, io ne ho utilizzato uno più grande.

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Per prima cosa preriscaldo il forno a 175°-180°, modalità statica.

Verso gli albumi nella ciotola della planetaria munita di frusta, aggiungo il cremor tartaro ed il succo di limone, avvio la macchina. Lascio montare per un paio di minuti, fin quando il miscuglio di uova e acidi non avrà ottenuto la consistenza schiumosa che vedete in foto. Stadio “soft peak”, come direbbero negli States.

albumi-montati

Aggiungo la prima dose di zucchero semolato (200 g) in più riprese, aumento la velocità e attendo che la meringa da morbida e lucida diventi stabile, firm nella lingua autoctona.

Nel frattempo setaccio la farina più volte insieme alla seconda dose di zucchero (50 g) e aggiungo un pizzico di sale.

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La meringa, vaporosa, bianchissima e ipnoticamente increspata dalla frusta è pronta. Faccio la consueta prova del becco, sta su che è una bellezza.

meringa

Aggiungo le polveri in due step, mescolando con garbo dal basso verso l’alto, per non sgonfiare il composto, la polpa della vaniglia ed una goccia di liquore.

Verso l’impasto nello stampo NON imburrato, mi raccomando, e liscio il tutto con una spatola (alcuni la affondano nel composto per eliminare eventuali bolle d’aria). Importante: la teglia va riempita fino a ¾ del volume.

Metto tutto in forno, 180° per almeno 30 minuti, faccio la prova stecchino per accertarmi che il dolce sia cotto. Capovolgo lo stampo e lo lascio lì, sul tavolo, fino a quando la torta non si sarà raffreddata completamente.

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Faccio scorrere la lama del coltello tra la crosticina dorata del dolce e le pareti della teglia, sformo e capovolgo sul piatto da portata.

Lo zucchero “bucaneve”

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Lo zucchero è infame e pure igroscopico, si scioglie e si infiltra ovunque.

Traducendo: non potete setacciare barili di normale zucchero a velo sulla angel cake, una torta piuttosto umida e già dolce per natura, e pretendere che rimanga lì per giorni, intonso.

Dovete spignattare e preparare una polverina speciale, adesso vi spiego come.

(A) Like a Pro

da una ricetta di Luca Montersino

250 g di zucchero a velo
10 g di burro anidro
5 g di burro di cacao
5 g di alcol puro 95°
1 bacca di vaniglia

(B) Versione furba

da una ricetta di Adriano Continisio, ambasciatore dell’arte bianca e infaticabile panificatore

100 g di zucchero semolato
15 g di cioccolato bianco tritato al coltello
3 g di amido di mais
vaniglia in polvere

La procedura è la stessa per entrambe le ricette, dovete soltanto afferrare un mixer, collegare la spina alla corrente e pigiare il tasto ON.

Gli sgamati della pasticceria, con il burro di cacao nella dispensa, seguiranno il metodo Montersino, mentre quelli che fanno la spesa comoda dal lattaio in fondo alla strada avranno bisogno di una tavoletta di cioccolato bianco (di buona qualità).

Tutti quanti verseranno nel mixer in movimento: A) lo zucchero a velo, il burro anidro fuso, il burro di cacao fuso, l’alcol e la vaniglia o B) lo zucchero semolato, il cioccolato bianco tritato, l’amido di mais, la vaniglia.

Risultato: uno zucchero finissimo ed “ingrassato” dal burro di cacao, praticamente impermeabile, inalterabile e immortale.

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La nostra torta è bella che imbiancata, candida, fin troppo.

Dicono che soffiando via lo strato di zucchero siamo sulle 100 kcal circa a fettina, un cucchiaio di yogurt e un po’ di frutta fresca messa in cima non dovrebbero far danni.

Ma siccome in questa rubrica non c’è spazio per le diete e si gode solamente, al diavolo le tabelle e passatemi il cioccolato.

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Un po’ di ganache strafottente e dei lamponi freschi. Lemon curd consigliabile, chantilly (quella vera) e ananas, apple butter e cannella, salsa all’arancia e zenzero, vado avanti?

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Di detox manco a parlarne, bastano un po’ di buon senso e quattro passi. E poi esistono cose come il pilates, la milonga, la pole dance.

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E pure una ginnastica che si fa in due, generalmente.

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Insomma, cucinate, divertitevi e non rompete le scatole.

[Crediti | Link: The kitchn, What’s cooking America, Joy of baking, Alice, Profumo di lievito | Immagini: Rossella Neiadin]

L'articolo Angel cake: la ricetta perfetta proviene da Dissapore.

Iginio Massari: chiacchiere di Carnevale

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Odore di fritto. Sul pianerottolo, fritto. Nel portone, fritto. Per le scale, fritto.

Il fritto  non si deposita solo su vestiti e cappotti, ce l’avete dentro, è parte di voi. Padellate d’olio come acqua battesimale, durante il periodo di Carnevale  friggiamo anche le posate: se non è unto  non ci piace, se è dolce e grasso ci facciamo il bagno dentro.

Chiacchiere, Bugie, cenci, cròstoli o grostoli, stracci, pampuglie, sprelle, frappe, sfrappe (oppure sfrappole!), sono loro la vera attrazione della festa. Spesso vendute a prezzi esorbitanti, a volte cotte al forno, comunque preparate con ingredienti semplici.

Farina, uova, zucchero, poco burro ed un bicchierino di liquore, ritagliate in una moltitudine non codificata di forme, necessariamente friabili, leggere e fondenti.

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Pronto, c’è Iginio?

Dopo la ricetta delle frittelle di mele ci abbiamo preso gusto, decidiamo di importunare nuovamente lui, Iginio Massari.

Il pasticcere dei tituli, per elencare tutti i suoi riconoscimenti dovrei prendere delle ferie. Ha un fan club con migliaia di iscritti, i colleghi lo venerano, la gente fa la fila per mangiare il suo panettone: talmente carismatico che riesce a dare un senso anche a programmi televisivi come Masterchef.

Oltre a scandire pazientemente la ricetta, quella contenuta nell’iconico librone Non Solo Zucchero vol.2, neutralizza tutti i miei quesiti da rompina con la calma di un monaco buddista.
Si vede che avrò “rispettato il tema”.

Procediamo.

Farina forte, chi l’avrebbe mai detto.

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La farina ricca di proteine ha la capacità di gonfiarsi in fase di cottura, rendendo questo fritto leggero, poiché assorbe pochissimo olio.

“Riposo” dell’impasto. Devo proprio?

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Il riposo dell’impasto serve per facilitare le “tirate”, per formare lo strato sottile di pasta, ma una volta stesa sottilmente bisogna cuocerla subito per far sviluppare le bolle.

Componente alcolica, qual è la sua funzione

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L’alcol è un induritore cellulare e in questo caso anche un aroma. Inoltre rende il fritto più colorito e appetibile. L’alcol evapora a 45°C e fa anche da lievito rapido.

Perché prediligere olio di arachidi e qual è la temperatura adeguata a questo tipo di fritto

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L’olio di arachidi o di girasole dà delle sensazioni di leggerezza.Non tutti gli oli o grassi sono ideali per questi fritti e non tutti i fritti chiedono di essere croccanti
La temperatura ideale è di 176°C , è importante friggere per pochi secondi, sia sopra che sotto

E a quelli che usano il lievito chimico cosa diciamo?

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Se s’incorpora il lievito chimico , la pasta deve essere più spessa, le cotture prolungate, ci sarà più assorbimento di olio in cottura.

Io non utilizzo lievito chimico . Non serve.

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Chicca: “Quando si cuoce bisogna prestare attenzione alla quantità di vapore che fuoriesce, quando diminuisce troppo, viene a mancare la pressione nella pasta e entra con prepotenza il grasso di frittura.”

Insomma, avete sentito l’oracolo?

La ricetta perfetta

Ingredienti

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500 gr di farina forte 300-320W (potete sostituirla con una farina tipo Manitoba tagliata con un 20% di farina 00 comune)
60 gr di zucchero semolato
60 gr di burro morbido
175 gr di uova intere (3 – 4)
4 gr di sale
scorza di 1 limone
50 gr di Marsala

Olio di semi di arachide per la frittura

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Prima di iniziare tiro fuori il burro dal frigorifero e attendo pazientemente che diventi morbido.

Setaccio la farina in una ciotola bella ampia e aggiungo lo zucchero semolato ed il burro. A parte batto le uova con un pizzico di sale, serve ad amalgamare il tuorlo con l’albume, peso il tutto e verso nella ciotola di prima.

Unisco il sale, il Marsala e la scorza del limone grattugiata finemente. Finemente, scriviamolo di nuovo, perché se vi si incastra una scorzetta nei rulli della macchina ve la prendete con me.

Impasto il tutto velocemente, giusto il tempo per fare assorbire i liquidi, e mi sposto sul tagliere

Lavoro bene l’impasto fino ad ottenere un panetto liscio e sodo, avvolgo la mia palletta nella pellicola e lascio riposare per un’ora a temperatura ambiente.

Col matterello ho un rapporto difficile, quindi getto le remore nell’organico e afferro l’aggeggio per tirar la pasta. Prelevo poco impasto e tiro la sfoglia gradualmente, fino ad arrivare all’ultima tacca.

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Ritaglio dei rettangoli non troppo precisi e faccio due segnetti al centro con la rotellina.

E’ importante bucare la pasta prima della frittura (o le vostre chiacchiere diventeranno un unica bolla gigante) e soprattutto friggere in più momenti, per evitare che l’impasto si secchi.

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Mi dirigo verso i fornelli e metto su l’olio, la temperatura deve raggiungere i 175°-180°, e friggo pochi pezzi alla volta.

La sfoglia è così sottile che le chiacchiere cuoceranno in pochi secondi.

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Scolo con un mestolo forato e poggio su un vassoio rivestito di carta da cucina.

Servo con una generosa spolverata di zucchero a velo leggermente vanigliato.

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Adesso non vi resta che recuperare quei due o tre ingredienti e provarci.

Fatelo, o vi mando a casa Iginio.

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Non so se siete al corrente, ma il Maestro, tra le tante cose, ha anche un passato da pugile.

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[Crediti | Immagini: Rossella Neiadin]

L'articolo Iginio Massari: chiacchiere di Carnevale proviene da Dissapore.

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